07/04/10

STEVIE WONDER


1962: Un ragazzo di dodici anni, cieco dalla nascita, incide un disco cantando le canzoni del suo idolo, Ray Charles.
2008: La stessa persona, a quasi sessant’anni, intraprende un tour mondiale, che lo porta anche in Italia, con l’entusiasmo di un esordiente.
Tra questi due momenti, oltre quarant’anni di musica che ha ispirato la maggior parte degli artisti soul e r’n’b moderni. La musica della mente di Stevie Wonder.

”Music of my mind” è proprio l’album di Stevie Wonder che fa da spartiacque tra la carriera del cantante r’n’b sdolcinato e quella di un autore consapevole dei tempi in cui vive. Dopo essersi fatto conoscere come il ragazzino prodigio polistrumentista e l’interprete di tanti successi (Fingertips, Uptight, For once in my life, My cherie amour), Stevie, il cui vero nome è Steveland Hardaway Judkins (successivamente divenuto Morris), attende la scadenza del suo contratto con la Motown per rinegoziare gli accordi e ottenere il pieno controllo della sua musica. Nasce “Music of my mind” (1972), prodotto, scritto e quasi totalmente suonato da Wonder. I testi sono ancora acerbi, ma già si intravede il successo nel futuro. Fanno capolino i primi sintetizzatori, il suono è rilassato e le canzoni sembrano una legata all’altra in una suite unica, proprio come succede in un altro disco storico dell’epoca, “What’s going on” di Marvin Gaye.

Nello stesso anno esce “Talking book”, introspettivo e ricco di osservazioni sociali, composto soprattutto da ballad (You are the sunshine of my life); tra i brani spicca Superstition, un crossover funk/rock inizialmente scritto da Stevie per il chitarrista Jeff Beck.
L’album è un grande successo, bissato nel 1973 da “Innervisions”, probabilmente il disco della consacrazione. Stevie è finalmente maturo per affrontare con la sua sensibilità e la giusta intuizione i problemi nazionali: dal messaggio di Martin Luther King (Higher round) al pericolo delle droghe (Too high), dalla spiritualità (Jesus children of America) allo sfruttamento e alle ingiustizie subite dai neri (Living for the city). La sua colorita narrazione viene condita da un irresistibile funk e, in alcuni casi (Don’t you worry ‘bout a thing), da sonorità latineggianti.
L’incidente d’auto nel quale rischia la vita, dopo tre soli giorni dall’uscita di “Innervisions”, non blocca la sua creatività: nel 1974 è la volta di “Fulfillingness’ first finale”, una raccolta di buone canzoni, impreziosite dall’apporto di Minnie Riperton e dei Jackson 5, che compaiono nei cori.

Il vero capolavoro è alle porte, ma bisogna aspettare due anni. Stevie ha in mente un progetto ambizioso, ricco di idee e di spunti musicali. Ma ci vuole il tempo necessario per realizzarlo.
Si chiude in studio anche per quarantotto ore di seguito, senza mangiare né dormire, alla ricerca dell’ispirazione giusta. E quando arriva, i musicisti sono pronti ad accorrere, a qualsiasi ora, per contribuire alla realizzazione del sogno.
L’attesa diventa tale che, negli ultimi mesi di registrazione, i musicisti del gruppo indossano magliette con la scritta “Abbiamo quasi finito”, per rispondere alle richieste pressanti dei fan. Nonostante i consigli di chi riteneva fosse una mossa rischiosa quella di pubblicare un doppio album, Stevie va avanti per la sua strada e, nel 1976, esce “Songs in the key of life”: due lp più un ep a 45 giri contenente quattro brani, arricchito da un libretto con testi e ringraziamenti.
Della serie, le idee non mancano. Il disco è ricco di temi e di riferimenti musicali, tanto da risultare uno dei suoi dischi con più successi e con più brani campionati da rapper e cantanti r’n’b.
In Sir Duke, Stevie omaggia Duke Ellington, recentemente scomparso, con un inno gioioso carico di fiati; Isn’t she lovely è dedicato alla figlia Aisha appena nata (sono suoi i pianti e le risate registrate a inizio canzone). I wish è stato utilizzato da Will Smith per Wild wild west; Pastime paradise ha fatto la fortuna di Coolio, che lo ha trasformato in Gangsta’s Paradise.
Non mancano stupende canzoni d’amore come As (ripresa anche da Mary J. Blige e George Michael) e Summer soft, strizzate d’occhio all’America latina (Another star) e denunce sociali (Village ghetto land).

Un disco completo, difficile da ripetere. Infatti, Stevie non riesce a ritrovare la stessa vena creativa dei suoi ultimi album. A lunghe pause, fa seguire dischi complicati (il quasi totalmente strumentale “Journey through the secret life of plants”) o produzioni nelle quali emergono solo alcuni brani (è il caso della reggaeggiante Master blaster contenuta in “Hotter than July”).
Lo spostamento in una direzione più pop, negli anni ’80, gli conferisce un grande successo di vendite. I just called to say I love you, colonna sonora del film The woman in red, è il suo singolo più venduto ma anche il meno amato dalla critica, dai suoi fan e da… Barry, commesso del negozio di dischi di Rob Fleming (Alta fedeltà, Nick Hornby), che si rifiuta di venderlo a un cliente perché “è una merda sentimentale e fuori moda”.

Per ritrovare il vero Stevie Wonder bisogna aspettare il 2005. In “A time to love”, si sente la voglia di ritornare al suo suono e il singolo So what the fuss ne è l’esempio: un energico funkettone nel quale Prince si diverte a schitarrare qui e là.
E’ un buon segnale per il futuro, chissà che non arrivi un nuovo “Songs in the key of life”.

Mr.Soundelicious

4 commenti:

  1. Che Classe, Che Uomo...
    Un Mito!!!
    Ho perso l'occasione di vederlo dal vivo :(

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  2. Peccato Yayo, ero a Milano per il concerto... mi vengono ancora i brividi!

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  3. Ahahahah!!!!!! Sto impazzendoooo!!!
    Il 5 Luglio Stevie in concerto all'Arena di Veronaaaa!!!!
    CI SARò!!!
    Cascasse il mondo!!!

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  4. 5 luglio arena di Verona...io c'ero...spettacolo!

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