01/03/11

THE ROOTS

Al microfono Black Thought (Tariq Trotter), alla batteria Questlove o ?uestlove (Ahmir Khalib Thompson), al basso Hub (Leon Hubbard), Kamal (Scott Storch) alle tastiere, Knuckles alle percussioni, Captain Kirk alla chitarra e Malik B anche lui al microfono…questa è la formazione di un gruppo ormai diventato storico nel mondo della musica black: The Roots!

Nonostante il loro genere sia stato catalogato come “alternative” hip hop, insieme ad altri gruppi del calibro di Blackalicious o Common, la longevità dei loro successi è tutt’oggi evidente anche dopo 24 anni di carriera.

È un successo apparentemente inspiegabile, il motivo? Bè loro rappresentano l’altra faccia dell’hip hop: la frangia con una dignità culturale ben lontana dal genere che in quel periodo avrebbe deteriorato buona parte della produzione negli anni ‘90.

The Roots non indossano catene d’oro da mezzo chilo, non impugnano pistole e nei loro video non vanno in giro con macchinone costosissime, non usano toni violenti o sessisti, insomma si discostano in tutto e per tutto da quello stereotipo di rapper cafone che mangia hamburger bevendo champagne.

Da cosa lo si intuisce? Basta ascoltare Things Fall Apart del 1999, nel quale professano una forte critica nei confronti di quella malsana commercializzazione dell’hip hop, ovvero quel colonialismo indecente che da lì a poco avrebbe distrutto le radici della musica Black nel mondo dell’hip hop!

Phrenology è il titolo dell’album pubblicato nel 2003, semplice come citazione colta: questo termine indica la scienza che studia la personalità in base alla conformazione del cranio… Personalità elementare in un cranio molto piccolo è il modello del pubblico di massa moderno, questa è l’unica spiegazione che mi sento di dare al tanto osannato successo di tutte quelle orrende sonorità tanto ipercompresse quanto stucchevoli che tanto vanno di moda oggi.

L’incontro tra l’MC Black Thought e il batterista Questlove risale all’ormai lontano 1987, nella Philadelphia High School for Creative Performing Arts. Inizialmente i due non hanno i soldi per permettersi giradischi, mixer, microfono e soprattutto la giusta quantità di vinili per produrre rap a regola d’arte, quindi, per sbarcare il lunario, cercano di ricreare le ritmiche della Golden Age con la batteria dello stesso Questlove, il quale ha dalla sua parte un talento straripante, e inoltre, provenendo da una famiglia di grandi musicisti doo wop, già a 13 anni era un vero maestro con le bacchette.

E così The Square Roots, il primo nome del gruppo, decidono di esibirsi dovunque capiti l’occasione, dai marciapiedi alle feste o sul palco della loro scuola.

In questo periodo si aggiungono il bassista Hub e il rapper Malik B e con questa formazione comincia il periodo di rodaggio che li vede impegnati tra New York e Philadelphia, diventando rapidamente un gruppo molto gettonato nella realtà underground.

Nel 1993 arriva la loro prima grande occasione, quando viene loro chiesto di rappresentare l’hip hop statunitense a un festival tedesco; per l’occasione incidono l’album Organix con l’intento di venderne qualche copia durante i concerti.

Le antenne dei professionisti dell’etichetta DGC/Geffen ne captano il talento, e nel ’95 arriva la pubblicazione dell’album Do You Want More?!!??!

È un disco prodotto senza nessun tipo di campionamento, senza ricorrere a materiale registrato, in cui è la stessa crew a suonare la propria musica; proprio per questo però, il disco non ha successo, perché è il periodo del pieno boom del G-Funk (ghetto-funk o gangsta-funk) e quindi la loro trasgressività nel proporre un hip hop strumentale, passa inosservata agli occhi del grande pubblico.

In questo stesso anno la line up si espande, con l’ingresso di due membri fondamentali per l’evoluzione del gruppo, ovvero il tastierista Kamal e il beat boxer Razhel the Godfather of Noyze.

Questa nuova formazione dà vita nel 1996 a Illadelph Halflife, preceduto dal singolo Clones, che raggiunge rapidamente la Top 5 della rap chart, un brano dalle sonorità pungenti tipiche del rap underground, per il quale è stato prodotto anche un bellissimo video, che ripercorre tutte le quattro discipline della cultura hip hop, dal breakin rappresentato dal grande b-boy advocate Bobbito Garcia, al padre fondatore del movimento dei graffiti di strada Phase 2. Grazie anche all’influenza dei nuovi elementi, il gruppo scende a compromessi inserendo dei campionamenti nelle basi, rendendo così il prodotto finito un po’ più commerciale, ma mai tralasciando quello stile arguto e intelligente che li contraddistingue e che traspare anche nella hit Keep It Real.

Il 1999 è un anno intenso e ricco di eventi per la band: il rapper Malik B esce di scena per problemi con la droga (riapparirà saltuariamente nei successivi album), ma è anche l’anno del terzo disco Things Fall Apart, grazie al quale il gruppo raggiunge finalmente la consacrazione a livello mondiale. Il conseguimento di questo enorme successo è dovuto anche alle numerose collaborazioni che hanno impreziosito l’intera opera: il cantante soul D’Angelo, Common, Mos Def, la club hit The Next Movement prodotta da Dj Jezzy Jeff. Ma è grazie soprattutto alla perla del disco, ovvero You Got Me, che le vendite raggiungono quasi il milione di copie: cantata dall’inimitabile Erykah Badu e scritta da una allora sconosciuta Jill Scott, questa meraviglia si aggiudica il Grammy award!

The Roots Come Alive è uno dei pochissimi album live della storia hip hop; viene registrato tra New York e Parigi e risale sempre al 1999. Forse incuriosito proprio da questa produzione, l’anno successivo, Jay-z li convoca per il suo Unplugged registrato per Mtv.

Dopo tutti questi successi e riconoscimenti, il gruppo si rimette in discussione lavorando su un progetto del tutto innovativo, abbandonando da subito l’idea di seguire una falsariga del successo ottenuto dal precedente disco.

Infatti nel 2002, dopo l’intenso lavoro progettuale in studio durato tre anni, portano alla nascita l’album Phrenology. Disco ricco di sfumature creative, in cui viene meno la vena jazz che aleggiava nelle precedenti produzioni lasciando il posto ad un rock razionale e più melodico.

Un pioniere come Afrika Bambaata sostiene che sia proprio il rock ad avere un rapporto di fratellanza con l’hip hop, e che quindi la connessione tra questi due generi è più diretta rispetto a quella commistione col jazz molto orecchiabile, ma poco incisiva ed energica.

Seguendo questa filosofia, questo album si potrebbe definire il più rap di tutta la discografia dei The Roots!

Questa formula vincente prende vita nel singolo di successo The Seed 2.0, nel quale partecipa lo stesso Cody ChessnuTT ovvero autore, vocalist e chitarrista del brano stesso già incluso nel suo album solista d’esordio The Headphone Masterpiece.

Molte altre efficaci collaborazioni danno alla luce brani davvero ben riusciti: Break You off con la calda voce di Musiq e anche l’ipnotica ritmica di Sacrifice, in cui una stranamente soave Nelly Furtado arricchisce il coro in sottofondo.

A poco meno di due anni, pubblicano The Tipping Point, titolo emblematico che riprende quel concetto dall’opera scritta da Malcom Galdwell, ovvero quel “punto critico” oltre al quale una semplice idea può diventare all’improvviso uno di quei fenomeni di massa, difficili da spiegare razionalmente. È un punto critico per la loro ricerca innovativa, perché in un ambiente, quello della musica hip hop, ormai fin troppo standardizzato, è sempre più difficile stupire le orecchie assopite delle masse. Ma proprio partendo dalla tradizione, prende forma un rap musicalmente riuscitissimo, in cui la ritmica incisiva di Questlove si fonde al meglio con i campionamenti ricercatissimi di Kamal, come nella miglior tradizione del genere hip hop. Dal rap su quarti molto ravvicinati di Black Thought sul campione di Supercar nel brano Don’t Say Nuthin’, o i richiami a Bob Marley nelle tonalità del ritornello di Guns Are Drawn, brano molto critico nei confronti della pubblica amministrazione americana, ma anche le ballatissime I Don’t Care e Stay Cool sono tutti tasselli che completano un puzzle perfetto, nonostante le importantissime assenze di Razhel e Malik B.

Poco dopo la pubblicazione di questo album, i rapporti con la casa discografica Geffen cominciano a rovinarsi del tutto, fino a spingere il gruppo ad orientarsi verso la famosissima Def Jam. Prima di questo epico passaggio però, a fine 2005 esce in due volumi separati Home Grown! The Beginner’s Guide To Understanding The Roots, nel quale sono presenti numerose chicche sia live che versioni inedite in studio.

L’inaspettato cambio di etichetta spaventa non poco i seguaci storici del gruppo, in quanto la Def Jam produce anche gruppi hip hop decisamente più pop; ma ovviamente stiamo parlando dei The Roots, che non si fanno influenzare sicuramente dalle esigenze commerciali dei produttori, anzi, il singolo Don’t Feel Right apre la strada ad un disco rabbioso e carico di coscienza civile, intitolato Game Theory. Con le sue rime infuocate, Black Thought diventa un intrattenitore educativo così come nel primo singolo, anche nei brani In The Music e False Media.

Altrettanto commovente è il brano Can’t Stop This, dedicato a J Dilla, grande amico e collaboratore dei The Roots, scomparso nel febbraio 2006.

Due anni dopo arriva Rising Down, il disco che più dei precedenti sottolinea l’integrità morale e creativa della band e il rifiuto a scendere a compromessi, dimostrando di avere il totale controllo artistico della loro musica.

In effetti lo stesso Questlove definisce quest’album come il più politico fino a questo momento, in quanto vengono trattati argomenti impegnati quali la dipendenza dalle droghe, le differenze di trattamento all’interno delle carceri e più in generale la vita a Philadelphia. Di certo non sono messaggi tranquillizzanti quelli lanciati dalla band, basti pensare che la data del lancio ufficiale del disco cade proprio il 16esimo anniversario dai famosi disordini di Los Angeles, scatenati dall’assoluzione di quei famosi poliziotti che furono ripresi a picchiare il nero Rodney King.

Altri brani significativi sono I Will Apologize, un tributo al grande Fela Kuti, e anche Criminal, una riflessione intensa sulle ingiustizie della vita di strada, e anche il singolo Birthday Girl nella quale spicca la voce del cantante dei Fall Out Boys, Patrick Stump.

Nei due anni che seguono Obama diventa presidente, la band diventa ospite fisso del Late Night With Jimmy Fallon e lo storico bassista Hub lascia il posto a Owen Biddle, grazie al quale, provenendo da una scuola più jazz fusion, The Roots cominceranno ad orientarsi verso una black progressiva anni 70. Ne sono una prova, nell’album How I Got Over, la collaborazione con artisti meno rap come i Monster Of Folk e Joanna Newsom nei brani Dear God 2.0 e Right On.

Nuove melodie psichedeliche e nottambule, con un flow decisamente superiore alla media tanto da chiamare in causa, sempre con estremo rispetto creativo, la buonanima di Curtis Mayfield in Walk Alone; per non parlare della base old school di Radio Daze, alla quale si abbina una tastiera quasi orientale dell’ottimo Kamal.

Il brano Wake Up Evereybody, al quale partecipano John Legend, Common e Melanine Fiona, viene pubblicato durante il periodo della campagna elettorale di Obama, e successivamente nel 2010 nasce l’album Wake Up!

È un progetto portato avanti dai The Roots insieme al talentuoso cantante John Legend, una raccolta di grandi classici intramontabili, magistralmente reinterpretati dalla potente voce dello stesso Legend, accompagnato dalle metriche di Black Thought e dal “direttore d’orchestra” Questlove.

Sembrerebbe troppo facile tirare in ballo titoli come Little Ghetto boy o I Can’t Write Left Handed per riscuotere un successo già bello e pronto ma attribuibile solo agli autori originali, ma sicuramente il talento e la passione che trasudano da questa collaborazione, rendeno queste pietre miliari della black music assolutamente moderne e le note ormai metabolizzate, rievocano in chiave attuale quelle genuine emozioni che solo la musica di qualità riesce creare.

Dopo tanti anni ormai, le “radici” di questo gruppo si sono ben saldate nonostante il terreno non sempre fertile e, grazie alla loro robusta qualità, continuano a trasformare ciò che assorbono in frutti carichi di sostanze nutritive per la mente di chi li sa apprezzare. The Roots, proprio come “radici”, tramutano tutto ciò che assimilano dall’ambiente circostante, in un messaggio efficace, diretto e decisamente realistico del nostro vivere quotidiano… Mai nome più azzeccato per questa band hip hop!

Claudio Valerio

4 commenti:

  1. L'ultimo album con John Legend è uno spettacolo!
    Comunque sia "Le radici" rimangono per Me una delle migliori band degli ultimi 20 anni!

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