tag:blogger.com,1999:blog-76376474983598602422024-02-19T05:34:00.192+01:00BLACK VIBRATIONSCloud Dankohttp://www.blogger.com/profile/10915042894150122937noreply@blogger.comBlogger123125tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-43549087043253336872015-02-06T10:58:00.002+01:002015-02-06T10:58:30.370+01:00NUOVO SITO BLACK VIBRATIONS!<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrNbZwG942ZfzB0wIejNpVXPP4Aii-pj5iwx0196__qJBw0twgbGhRFw13tfTsF4d9TXojgIEW5vq-mwYDbD0MYjGrcyGhsiOwCPCo_KW96gopqMiSir5U4DCtcYtqG0tjX8Uoh9u2M4jr/s1600/sito.PNG" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgrNbZwG942ZfzB0wIejNpVXPP4Aii-pj5iwx0196__qJBw0twgbGhRFw13tfTsF4d9TXojgIEW5vq-mwYDbD0MYjGrcyGhsiOwCPCo_KW96gopqMiSir5U4DCtcYtqG0tjX8Uoh9u2M4jr/s1600/sito.PNG" height="286" width="400" /></a></div>
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E' online il nuovo sito "Black Vibrations" all'indirizzo <a href="http://www.blackvibrations.com/">www.blackvibrations.com</a><br />
Potrete essere sempre aggiornati sulle date dei nostri dj set, i vari reportage fotografici e naturalmente tanta buona musica da ascoltare!<br />
Il presente blog, con tutti i contenuti e testi, rimarrà online e cercheremo di aggiornarlo con nuovi articoli che parlano degli artisti che più ci piacciono.<br />
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Continuate a seguirci!<br />
Black Vibrations staff.<br />
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Nella Svizzera di fine anni ’60 il cantante Barry Window, figlio di un batterista sudafricano, viene a sapere che a Basilea c’è una nuova cantante di colore che ha una verve vocale molto interessante e soul e, con l’hammondista/flautista Joel Vandroogenbroeck, parte alla ricerca di Dee Dee McNeil.<br />
L’incontro avviene al Chemi Hutte dove la McNeil si esibiva in concerti rock.<br />
Window e Vanderoogenbroeck restarono in silenzio rendendosi conto che le voci che erano giunte sino a loro su quella cantante dall’aspetto gentile e delicato erano vere.
Dee Dee si era trasferita dagli States da poco e lentamente s’integrava nella cultura e nella società svizzera.<br />
L’Europa di quegli anni accoglieva ogni stimolo proveniente dagli USA senza alcun scetticismo, una forma di gratitudine socio culturale verso l’impresa di “liberazione” compiuta dagli alleati durante la seconda guerra mondiale, e il migliori mezzi di trasmissione erano rappresentati da cinema e musica. L’influsso degli USA nella scena europea si ritrova in quei tentativi di imitazione dei prodotti culturali americani presenti in ogni territorio del vecchio continente.
Ovvio che venuto a conoscenza della presenza di una cantante americana qualunque musicista avrebbe fatto il tentativo di coinvolgerla in un progetto ritenuto “interessante”. Sia Barry che Joel, del resto, erano appassionati di quella straordinaria musica che arrivava da oltreoceano e rimasero sorpresi dal sentire cantare Dee Dee.<br />
I tre si sedettero a tavolino e iniziarono uno scambio di storie reciproche coinvolgenti e l’idea di mescolare musicalmente le esperienze di ciascuno fu di facile presa, fu così che il trio iniziò a lavorare per metter su i Movements con l’idea di sviluppare le capacità soul delle voci di Dee Dee e Barry.<br />
Il progetto fu messo su in poco tempo e ai tre si unirono Barney Wilen (sassofonista franco-americano che vantava nel suo curriculum collaborazioni con Miles Davis, Art Blakey and The Jazz Messengers e altri, oltre a diversi dischi jazz molto ben venduti in Germania), Ronald Bryer (chitarrista inglese e grande appassionato dei Beatles), Peter Giske (bassista rock alla ricerca di uno stile soul…) e Wolfgang Papp (batterista che non aveva mai suonato ne preso lezioni sino ad allora ma che dimostrò di essere in possesso di un sound black poderoso e vitale).<br />
Su questa miscela musicale le doppie voci di Dee Dee e Barry si presentavano alla grande arricchendosi di nuovi timbri e il prodotto fu un disco uscito nel 1968 - Soul Hour – per l’etichetta tedesca MPS e firmato Dee Dee, Barry and The Movements.<br />
Il disco, di stretta matrice soul jazz, è una bomba che si sviluppa in 8 tracce, 7 cover e 1 pezzo originale, in cui i duetti vocali tra Dee Dee e Barry sono gustosissimi e si alternano a parti solistiche strumentali contornate da un uso armonioso del flauto, dell’hammond aggressivo e graffiante al punto giusto e dalla batteria cruda e dura. Si parte on Get Out My Life Woman cover ben riuscita della celebre versione di Lee Dorsey, poi Summertime (maestosa), Soul Time (scritta da Joel Vanderoogenbroeck), Funky – Funky Broadway (ripresa e rivisitata dal pezzo di Dyke and The Blazers), Midnight Our (di Wilson Pickett, grande passione di Dee Dee), It’s Allright (di Ray Charles, altra grande passione di Dee Dee), Willow Weep For Me (versione di Alan Price e ripresa, poi, da Wes Montgomery) e, in ultimo, la strepitosa Hold On, I’m Coming che non ha bisogno di presentazioni.<br />
Il gruppo si sciolse subito dopo per ragioni che non sappiamo e il disco, unico straordinario prodotto, non raggiunse alte posizioni nelle classifiche dell’epoca.<br />
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Oggi è molto ricercato dai collezionisti e la sua quotazione si aggira attorno ai 170 euro e non è facile da trovare nella sua versione originale. Sono di facile reperibilità le ristampe messe in circolazione dalla Sonorama, sia in cd che in vinile, nel 2011.<br />
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Qualche parola sul destino dei componenti della band: la carriera di cantante di Dee Dee McNeil si fermò ad un secondo disco in versione solista, Rappin Black In A Withe World (1971, ma ha avuto un buon successo con i testi e gli arrangiamenti prodotti per molti artisti tra i quali anche Nancy Wilson e Watts Prophets.
Barry Window si fermò ad un album solista nello stesso anno di Soul Hour.
Ronald Bryer ha collaborato all’album solista di Window e ad altre produzioni sino alla sua morte avvenuta nel 1973.
Peter Giske e Wolfgang Papp hanno continuato a suonare alternando percorsi jazz a momenti rock, senza grandissimo risultati.
Barney Wilen e Joel Vandroogenbroeck hanno avuto un buon successo producendo anche dischi di ottima fattura.
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Buona musica.<br />
Vincenzo Altini<br />
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Round Midnight e il sogno di Nica.<br />
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“<i>Buonasera a tutti, io sono Nica e questa sera saremo con voi direttamente dal Five Spot Café ed ascolterete la bella musica del Thelonius Monk Quartet, con Charlie Rouse al sassofono, Roy Haynes alla batteria e Ahmed Abdul – Malik al basso…”. Poi una pausa e le prime note di Pannonica che superano il rumore di fondo dell’ambiente, un attimo di silenzio e la voce di Monk: “ …Ciao a tutti, io sono Thelonius Monk. Mi piacerebbe suonare un pezzo composto non molto tempo fa, dedicato a questa bella signora qui. Credo che suo padre le diede quel nome dopo aver visto una farfalla che cercò di catturare. Non credo che abbia mai preso quella farfalla, ma ecco la canzone che ho composto per lei”.</i><br />
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Fermiamoci un attimo e cerchiamo di capire dove siamo e con chi, perché questa non è parte di un archivio ufficiale ma un nastro registrato per gioco e ritrovato molti anni dopo.<br />
La realtà, però, ci dice chi erano i protagonisti – anzi, LA PROTAGONISTA – di questa storia fatta di amore, di incontri e di musica.
Questa storia è semplicissima con un pezzo che fa da sottofondo che vorrei che ascoltaste in loop durante la lettura, perché mentre lo scribacchino da questa parte del pc batte le sue dita sulla tastiera, le note di Round Midnight sono nettamente in sottofondo e i polpastrelli fanno su e giù immaginandosi Monk sui tasti del pianoforte (ndr: effetto allucinogeno della musica…).
Round Midnight è uno degli standard jazz più noti ed eseguiti e, secondo molti, anche uno dei più difficili in assoluto sia per la bellezza espressiva del tema che per l’insolito giro armonico ed in ogni esecuzione colpisce e tocca l’animo degli ascoltatori.<br />
Di Round Midnight si può dire semplicemente che fa parte del patrimonio di ogni musicista jazz e l’elenco delle incisioni sarebbe solo indicativo e non esaustivo.<br />
Ma perché ci occupiamo di Round Midnight?<br />
Semplice… la protagonista di questa storia è la musica, come in molte altre, però con una chiave di lettura differente e molto intimistica.
Nel 1948 la Baronessa Kathleen Ann Pannonica de Konninswater (nata Rotshield) ascoltò la registrazione originale di Round Midnight, poco prima di partire per tornare a casa da un viaggio a New York, e rimase folgorata. Chiese al suo amico di far suonare ancora il disco, ancora ed ancora ed ancora, ed alla fine non partì più. Rimase a New York ed iniziò a girare per tutti i posti in cui c’era musica, cercando quel pianista straordinario. Nel giro di pochissimo tempo divenne parte integrante della comunità jazz.<br />
Nella New York di quegli anni i club erano piccoli e ospitavano la stessa clientela notte dopo notte. Questi posti erano frequentati da gente come Jack Kerouac, William Borroughs, Allen Ginsberg, Frank Sella e sul palco c’erano i vari Parker, Gillespie, Coltrane, Holiday e Davis ma non Monk.
Thelonius era stato arrestato per possesso di eroina nel 1951 e gli era stata tolta la licenza per suonare nello stato di New York e il suo pubblico era composto dalla sua famiglia – la moglie Nellie e i figli Toot e Barbara. In questo stato di “prigionia musicale” Monk trascorreva ascoltando in radio i suoi colleghi ed amici che suonavano e la sua depressione aumentava.<br />
<br />
L’occasione per l’incontro avvenne nel 1954 quando Pannonica decise di concludere la sua ricerca e tornarsene a casa.
Monk era stato invitato a suonare a Parigi e la baronessa volò lì con la sua amica Mary Lou Williams, altra grande pianista jazz. L‘incontro fu folgorante e la baronessa non riuscì più a staccarsi da quell’uomo e dal suo mondo sino a diventarne una compagna fedele, un’accompagnatrice ufficiale, l’angelo custode.
<i>“ Avevo bisogno di un interprete per capire quello che diceva, io non conoscevo l’inglese di Thelonius ma era il più bell’uomo che avessi mai visto. Era un uomo molto grande, ma la sua presenza era ancora più grande. Ogni volta che entrava in una stanza la dominava.”.</i><br />
Basta guardare qualche foto di Pannonica e Monk insieme. Lo sguardo della baronessa è adorante, quasi mistico, non sottomesso ma di estrema vicinanza e comprensione. Del resto Monk, già a quei tempi, dava segni di estrema difficoltà socio ambientale al punto tale da non poter essere lasciato solo. E così fu: Pannonica si trasferì a New York definitivamente (la sua famiglia la diseredò) e prese casa in una suite del Stanhope che divenne un cenacolo ed un rifugio per tutti i grandi della musica jazz. La sua casa era frequentata da Art Blakey, Sonny Clark, Kenny Drew, Horace Silver, Kenny Dorham, Charles Mingus e Charlie Parker. E fu nella suite della baronessa che Parker, ormai completamente debilitato dall’eroina e dall’alcool, trovò la morte, mentre guardava un programma televisivo il 12 marzo 1955.<br />
La dedizione di Pannonica fu totale.
I musicisti giravano con la Bentley di Pannonica. I locali, alcune volte, avevano strumenti non soddisfacenti e lei ne acquistava di nuovi.
E Monk?
Una sera, mentre giravano in macchina, Pannonica e Thelonius furono fermati dalla polizia. Nella macchina c’erano diversi grammi di marijuana che Monk usava abitualmente. In pochi istanti la baronessa razionalizzò la situazione: se avessero arrestato il pianista per lui sarebbe stata la fine. Disse che era tutta roba sua, rischiando una condanna a 10 anni, l’espulsione dagli stati uniti e la perdita della potestà sui figli che aveva avuto dal precedente matrimonio. Fu condannata a 3 anni poi cancellati per un vizio nella perquisizione dell’auto: i poliziotti l’avevano fatta senza chiedere il consenso della proprietaria.
Che ci sia stato amore tra Pannonica e Monk è una dato certo.<br />
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Negli ultimi anni della sua vita, Monk, ormai in preda alla schizzofrenia fu accudito ed ospitato, con la sua famiglia, a casa della baronessa e nel 1982, al funerale del pianista c’erano due vedove che piangevano e ricevevano le condoglianze del mondo intero.
Pannonica Rotshield è passata alla storia come Nica, il suo nomignolo attraverso le tante composizioni che le sono state dedicate: Gigi Gryece – Nica’s Tempo; Sonny Clark – Nica; Horace Silver – nica’s Dream; Kenny Dorham – Tonica; Kenny Drew – Blues for Nica, Freddie Redd – Nica Steps” Barry Harris – Inca; Tommi Flanagan – Telonica e Monk- Pannonica.
La BBC ha prodotto un documentario su di lei, nel 2009.
Nel film BIRD di Clint Eastwood, sulla vita di Charlie Parker, il suo personaggio è stato interpretato da Diane Salinger.
Nica è deceduta nel 1988, all’età di 75 anni, accudita da figli e pronipoti, non rimpiangendo nulla.<br />
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Buona musica.
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Vincenzo Altini<br />
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Quando si combinano 4 mc's talentuosi e stilosi, con 2 dj's e beatmaker che sono dei veri e propri ricercatori d'oro e delle affilatissime macchine del funk, il risultato è sicuramente esplosivo.<br />
Non a caso i Jurassic 5 (anche se in realtà sono 6), sono una perfetta miscela hip hop tra vecchia e nuova scuola a partire, non a caso, dal loro nome.<br />
I beats sono impregnati di funk e groove riportati sapientemente ai giorni nostri, incalzati dalle tecniche dei 4 maestri di cerimonia, ai quali alternano anche momenti di vero e proprio stile old school.<br />
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La location è la California, ed è proprio nel 1993 che i sei si riuniscono sotto lo stesso nome.<br />
Al microfono: Chali 2na, Akil, Zaakir e Mark 7even<br />
Sui tecnici: Dj Nu-Mark e Cut Chemist.<br />
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Cominciamo proprio da questi ultimi due personaggi. Due nomi che sono una garanzia e che hanno un certo peso sia nel mondo della conoscenza musicale e del collezionismo di vinili, sia per quanto riguarda la tecnica. Avere alle spalle Nu-Mark e Cut Chemist sicuramente ti fa partire molto avvantaggiato e con una base bella solida. Entrambi vantano collaborazioni con artisti di spessore, e sono anche promotori di eventi e progetti non indifferenti, come ad esempio "Freeze" di Cut Chemist creato in collaborazione con Dj Shadow.<br />
Basta conoscere i samples utilizzati per i beats di questi 2 signori per capire che ci si trova davanti a dei drogati di rare grooves.<br />
Mark 7even, Chali 2na, Akil e Zaakir calzano a pennello su questi beats, con parti molto "vecchia scuola", rappate da tutti e quattro gli mc's contemporaneamente, alternate ovviamente a rappate singole, sulle quali però spunta su tutti il vocione di Chali 2na dotato anche di una notevole tecnica.<br />
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La loro prima uscita discografica risale al 1995 con la pubblicazione di un singolo <b><i>Unified Rebelution</i></b>, passato quasi inosservato ma che con il tempo ha acquisito un certo valore, anche perchè si tratta di un pezzo notevole. Ma è con l'uscita nel 1997 di un EP intitolato proprio "Jurassic 5", al quale l'anno successivo sono state aggiunte delle tracce per stampare il loro primo disco dallo stesso titolo, che comincia il viaggio vero e proprio dei Jurassic 5.<br />
Tracce come <i><b>Jayou, Concrete Schoolyard </b></i>o la strumentale <i><b>Lesson 6: The Lecture</b></i>, rispecchiano tutto quello detto precedentemente e mettono un marchio forte sullo stile dei Jurassic 5.<br />
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Marchio che si conferma con la loro seconda uscita discografica nel 2000: l'album "Quality Control", dove la title track è una vera e propria mina (della quale potrete gustarvi anche uno spassoso video), ma che in generale spruzza hip hop e funk da tutti i pori. Le tracce <i><b>Twelve</b></i> e <i><b>The Influence</b></i> sono giusto 2 esempi di quello che è l'album per intero.<br />
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Con l'assenso del pubblico più affezionato all' hip hop genuino anni 80 e 90, continuano la loro avventura discografica pubblicando nel 2002 l'album "Power In Numbers" che contiene quello che è diventato ormai un classico: <i><b>What's Golden</b></i>. Ma inutile dire che i Jurassici sono una garanzia e anche il resto del disco è bellissimo. <i><b>Freedom, Thin Line, A Day At The Races</b></i> sono tutti pezzi potenti. Anche le collaborazioni presenti su questo disco sono di spessore, basti pensare a Big Daddy Kane, Nelly Furtado, Kool Keith e JuJu dei Beatnuts in veste di produttore.<br />
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Nel 2003 pubblicano "5 Alive" una sorta di raccolta dei loro pezzi migliori e tra live, concerti e collaborazioni si fanno attendere sino al 2006 per una nuova uscita discografica. Il titolo è "Feedback".<br />
Da evidenziare subito delle differenze con i lavori precedenti, specie nelle produzioni, quasi a presagire un allontanamento dal loro stile inconfondibile e dal loro forte marchio. Un cambiamento che forse non porta i risultati sperati, perchè di brani che spiccano tanto quanto quelli precedentemente evidenziati non ce ne sono. Il disco non è brutto, ma nemmeno notevole. Diciamo che purtroppo rispetto agli altri, passa un tantino inosservato.<br />
Sta di fatto che l'anno successivo il gruppo si scioglie, evidentemente c'era l'esigenza di alcuni membri di pubblicare lavori singolarmente ed intraprendere scelte e carriere soliste.<br />
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A parte una reunion fatta recentemente per dei concerti in alcuni festival, i membri più "in vista" dei Jurassic 5 ossia Chali 2na, Cut Chemist e Dj Nu-Mark stanno lavorando sodo singolarmente e vi consiglio di andare a cercare le loro produzioni, che sicuramente per quanto sono prezisne meritano dei capitoli a parte.<br />
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Dj Danko.<br />
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<br />Cloud Dankohttp://www.blogger.com/profile/10915042894150122937noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-74477981125091117912013-07-29T10:30:00.000+02:002013-07-29T10:30:05.812+02:00JOHN LEGEND<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinYUwreB6QN2DxlLnoeWQ8y7tvffVtSpiF-OEzP7O4oGPAyybgzn4sU_I92MgZP_2a7icJOLkF5i8fjxei2YlMebSBnYUX6oVxenZ3YFES8wHQyuo-KqCh2puxjaHayupyx5BbvXOqEiTK/s1600/john_legend.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="252" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEinYUwreB6QN2DxlLnoeWQ8y7tvffVtSpiF-OEzP7O4oGPAyybgzn4sU_I92MgZP_2a7icJOLkF5i8fjxei2YlMebSBnYUX6oVxenZ3YFES8wHQyuo-KqCh2puxjaHayupyx5BbvXOqEiTK/s320/john_legend.jpg" width="320" /></a></div>
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L'incontro con <b>The Roots</b> deve aver fatto bene a John Legend.
Negli album <i>Once again</i> ed <i>Evolver</i>, si sentiva puzza di sperimentazioni pop e sonorità modaiole, fatte con la consueta classe certo, ma il pericolo di cadere nelle mani del David Guetta di turno era a pochi passi. Invece, ?uestlove e soci l'hanno riportato alle radici con <i>Wake Up!</i>, tributo al periodo d'oro del soul con rivistazioni tutt'altro che scontate. L'aria buona respirata con la band deve essere piaciuta a John perché <i>Who did that to you</i>, dalla colonna sonora di <i>Djang</i>o, che in qualche modo preannuncia l'uscita del nuovo album, è un gran pezzo.
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Facciamo un salto indietro nel tempo, quando John Stephens, questo è il suo vero nome, terminato il college a Philadelpia, si trasferisce a New York per suonare in alcuni locali notturni, dove vende personalmente i suoi demo al termine dei concerti. Il ragazzo piace, non solo al pubblico, ma anche a colleghi ben più affermati. La fama che lo precedeva era ottima, anche grazie alla collaborazione con <b>Lauryn Hill</b> in Everything is everything, ma diventa Leggenda quando <b>Kanye West</b> lo prende sotto la sua ala protettrice e gli cuce addosso il nome d'arte. Prima lo inserisce in <i>Selfish</i>, hit degli Slum Village, e poi nel suo album <i>The college dropout</i>, che vende oltre due milioni di copie.
I due sono praticamente inseparabili - Legend accompagna Kanye West anche alla cerimonia dei Grammy - e il feeling della coppia fa pensare a tutti che il passaggio successivo sia proprio l'album di esordio di John Legend, che arriva nell'estate del 2004. In <i>Get lifted</i>, le idee sono di John, ma il suono, moderno e potente, è opera di Kanye. Il risultato è una bomba: è come se qualcuno avesse preso il soul degli anni '60 e '70, e lo avesse rimescolato in una macchina del tempo per trasportarlo ai giorni nostri. Un mix di classico e di fresco, di tradizione e di novità, che scala presto le classifiche Usa. John Legend dimostra di essere un ottimo autore, sia di ballad straordinarie come <i>Ordinary people</i>, sia di pezzi dal ritmo coinvolgente come <i>Used to love you</i>. In <i>So high</i>, sembra di entrare in una chiesa ad Harlem, mentre poco dopo ci si ritrova in un club con <b>Snoop Dogg</b> che lo affianca in <i>I can change</i>. Insomma, sono accontentati sia mamma e papà, appassionati dei classici della Motown, sia i figli che vogliono sculettare un po'.
Get Lifted vende tre milioni di copie in tutto il mondo, è disco di platino negli Usa con quasi 2 milioni di copie e, nel 2006, vince il Grammy Award come miglior album R&B.
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Il mondo di John Legend inizia a cambiare. Non deve più vendere personalmente i dischi al termine delle sue performance, anzi c'è la fila per acquistarli o per goderselo dal vivo, e scrive canzoni anche per altri artisti, tra i quali <b>Alicia Keys</b>. Ci sono grandi aspettative per il suo secondo album, che esce nell'ottobre del 2006. La fila di produttori di <i>Once again</i> è lunghissima: oltre al solito West, ci sono Will.i.am, <b>Raphael Saadiq</b>, Sa-Ra Creative partners.
Tutto sembra perfetto, forse troppo. A partire dalla cover e dalle foto interne, che ci mostrano un John Legend tirato a lucido e alla moda.
Anche i suoni hanno perso l'odore della strada. Ci sono degli ottimi pezzi come il singolo <i>Save Room</i>, che campiona la versione di Gabor Szabo di <i>Stormy</i> dei Classics IV, <i>Pda We just don't care</i> (la nuova Ordinary people), <i>Each day gets better</i>, ma la sensazione è quella di aver perso la freschezza che contraddistingueva il primo disco per lasciare spazio a un lavoro eccessivo di cesellatura. Lo si nota anche dal numero di copie vendute, che rispetto a Get lifted passa da tre a un milione.
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Il tour che segue l'uscita del disco è entusiasmante e porta Legend in tutto il mondo, facendo apprezzare ancora di più le sue doti di intrattenitore, sia quando si esibisce con grande abilità al piano, sia quando si alza dalla sedia per far scatenare il pubblico.
Il successo dei live probabilmente fa pensare che la strada presa sia quella giusta e l'album successivo, <i>Evolver</i>, che esce nel 2008, è una sorta di copia di Once again. Anche qui ci sono i produttori e le voci del momento (<b>André 3000</b>, Brandy, <b>Pharrell</b>, Estelle), ma più che di una evoluzione, si tratta di un passo falso all'indietro perché i momenti trascurabili dell'album sono maggiori di quelli felici (It's over).
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Tutto finito? La nuova stella del soul ha già perso l'ispirazione? <br />
Niente affatto. E il merito è di... <b>Barack Obama</b>. Per sostenere l'elezione dell'attuale presidente degli Usa, nel 2008, John Legend e i “leggendari” The Roots decidono di registrare un ep di cover di brani soul degli anni '60 e '70, legati dall'impegno civile.
Il primo di questi è <i>Wake up everybody</i> di <b>Harold Melvin & the Blue Notes</b>. Al posto della voce di Teddy Pendergrass c'è quella di John Legend, accompagnato da <b>Common</b> e Melanie Fiona.
Il progetto piace così tanto agli artisti coinvolti, che diventa un album vero e proprio, nel quale troviamo <i>Hard times</i> di Baby Huey & the Babysitters, <i>Little ghetto boy</i> di Donny Hathaway, <i>Wholy Holy</i> di Marvin Gaye, <i>Hang on in there</i> di Mike James Kirkland. C'è spazio anche per un salto nel reggae con <i>Humanity</i> di Prince Lincoln Thompson e per un inedito, <i>Shine</i>, scritto dallo stesso Legend.
Sembra di essere tornati a Get Lifted, con John Legend di nuovo padrone della situazione, piuttosto che parte di un prodotto, e un suono volutamente grezzo, che riporta alle narici quell'odore forte che si respira solo nelle strade delle città in continuo fermento.
E come è successo per Get lifted, anche qui i riconoscimenti non si fanno mancare: l'album è stato premiato ai Grammy Awards 2011 nella categoria Best R&B album e i brani Shine e Hang on in There, in esso contenuti, si sono aggiudicato la statuetta rispettivamente come Best R&B song e Best traditional R&B vocal performance.
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Cosa ci aspetta per il futuro?
Per ora godiamoci, <i>Who did that to you</i>, inserita da <b>Quentin Tarantino</b> nella colonna sonora di Django, scritta da Legend dopo aver saputo dell'imminente lavoro del regista. Voleva assolutamente esserci in quella colonna sonora e ci è riuscito. Sarà per il suono vintage del campionamento utilizzato, <i>The Right to Love You </i>dei Mighty Hannibal's, ma il pezzo sembra scritto proprio per affrontare il nemico guardandolo dritto negli occhi dopo aver percorso una strada polverosa.
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Per il prossimo album, invece, dobbiamo solo aspettare qualche mese: il <b>3 settembre 2013</b> uscirà <i>Love in the future</i>: quale John Legend troveremo, quello di <i>Dance the pain away</i> con Benny Benassi o quello di <i>Made to love</i>, che il buon John ci fa ascoltare come assaggio del nuovo lavoro?
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Ne riparliamo dopo l'estate.
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<br />Vito Santamatohttp://www.blogger.com/profile/08695333125134373698noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-51851008235227681712013-03-12T10:57:00.001+01:002013-03-12T16:23:14.371+01:00DUKE ELLINGTON<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyjVvH4RHmurYo0nmwhECQdhd_HxNcYN3-icErCnJ8-c_tjMaMWkcBdd0uT3tm4mDySN5F_SjJYWTna2mCitpHvl7aLzMofBLeC4nfQM0p_SzjPGbjf6qGJEa6-4cWMh6RLd3xfR6W40Y/s1600/DUKE+Elli.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="236" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgyjVvH4RHmurYo0nmwhECQdhd_HxNcYN3-icErCnJ8-c_tjMaMWkcBdd0uT3tm4mDySN5F_SjJYWTna2mCitpHvl7aLzMofBLeC4nfQM0p_SzjPGbjf6qGJEa6-4cWMh6RLd3xfR6W40Y/s400/DUKE+Elli.jpg" width="400" /></a></div>
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Parlare di Edward Kennedy Ellington è come raccontare la storia della musica del 20°secolo condensandola in una parola perchè Ellington è la musica del secolo scorso. Per quel che mi riguarda si può semplicemente condensare l’intero discorso partendo da una parola di quattro lettere, semplice e veloce, comprensibile in ogni lingua perché Ellington è universalmente riconosciuto come the DUKE.<br />
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La sera del 29 aprile 1969 Duke Ellington compiva 70 anni ed era alla Casa Bianca per ricevere la Medaglia della Libertà, l’ennesimo riconoscimento per una carriera senza limiti e senza soste: la sera seguente avrebbe diretto la sua orchestra al Civic Center di Oklahoma City. Strada… sempre in strada. La sua casa era la strada da oltre mezzo secolo. Da dove trarre ispirazione se non dalla propria casa?
Ellington iniziò a suonare il piano giovanissimo, in adolescenza era già un band leader riconosciuto e stimato nella natia Washington. Poi, nel 1922 si trasferì a New York, per suonare nel complesso di Wilbur Sweatman ed entrare a far parte della prima storica big band, la Snowden’s Novetly Orchestra, in uno dei più eleganti locali di Harlem.<br />
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Harlem. Il centro della musica, il cuore del suono del ghetto. Il cuore della musica pulsante nelle notti, pieno di vita, di suoni di voglia di emergere. Harlem, culla dello swing in cui i temi orchestrali che rientravano nelle sonorità definite “growl” e “jungle” erano apprezzati e ricercati dai bianchi. Il jungle, in particolare, era gradito dai bianchi che vedevano nella gente nera creature non sviluppate e semplici, quasi primitive e legate alla loro terra madre, l’Africa, con giungle e savane i cui suoni esotici il jungle riproduceva. Lo stesso stile di Ellington, legato alla compiacenza della clientela – di prevalenza white - del Cotton Club, non era emancipato e raffinato.
Lasciamo perdere gli arricciamenti di naso all'ennesima manifestazione razzistica della civiltà americana e contestualizziamo il periodo. Siamo negli anni 20, subito dopo la prima guerra mondiale e prima della grande depressione (in realtà il periodo di crisi fece compiere grossi passi verso l'integrazione sociale tra bianchi e neri: la povertà colpiva indistintamente tutti) e la popolazione afroamericana, nella maggior parte del territorio statunitense, viveva in vecchie capanne in zone senz'acqua e senza luce. Le grandi città, poi, accentuavano il divario con la creazione di agglomerati ghetti.
Occorreva fare molta strada in tutti i sensi e la musica era lo strumento più facile ed immediato da utilizzare.<br />
La musica, secondo Ellington, era quello strumento che doveva far allontanare i pregiudizi ed unificare le popolazioni. Solo ballando allo stesso ritmo e amando gli stessi pezzi si potevano fare passi avanti.
Cosa si poteva fare di meglio se non ascoltare il suono della vita e della gente? Imparare dalla “terra” quello che la gente ascolta. Imparare ad ascoltare la vita.
Nella storia della musica americana i baluardi imprescindibili e determinati di ogni suono ed evoluzione musicale sono Blues e Swing.
Il blues è il suono della vita, della sofferenza e della passione. Il blues è quella parte di musica che ti prende e ti stende e non ti fa rialzare o che ti fa dire: Dove cazzo sono stato sino ad ora? Il blues governa le passioni, i suoni, le emozioni. Il blues parla. Il blues grida. Il blues ride e stride e frigna.
Lo swing, invece, è l’amore. E’ ciò che unisce e prende corpo. E’ quella parte della musica che permette a due strumenti di stare insieme e di parlarsi, di ascoltarsi, di dire di se dichiarando il proprio blues.
Si può descrivere lo swing prendendo ad esempio il sentimento che nasce tra due persone, ciò che c’è prima di ogni parola, di ogni gesto. Ecco… si può dire che il bacio, la parola, sia il blues e che il sentimento, ciò che spinge verso l’altro, che spinge a baciare a dire a cercare, sia lo swing. Lo swing è ciò che unisce portando con se le parole, i gesti, le storie.
In quest’ottica, parlare del più prolifico tra i musicisti americani diventa semplice ed immediato. Elemento centrale della sua vita e fonte d’ispirazione assoluta è la straordinaria capacità seduttiva che Edward Kennedy aveva. Seduceva con eleganza e con passione e per un personaggio eternamente sul palcoscenico appare come antitetico rispetto al gioco di distanze che si crea tra personaggio pubblico e spettatore. Ellington, in realtà, seduceva ed amava tutti allo stesso modo ed era affascinato dalle manie insolite dell’animo umano. Se due membri della sua prodigiosa orchestra litigavano o non andavano d’accordo, assegnava loro gli assolo uno dietro l’altro, costringendo il primo alla chiamata del secondo ed osservando quel che succedeva. Era il potere dello swing.
L’orchestra di Ellington era riconoscibilissima dalla forza dell’insieme e dalla straordinaria comunicativa di ogni strumento. Gli arrangiamenti, le composizioni, ogni singola nota era studiata in propensione della resa orchestrale consentendo, al tempo stesso, ad ogni strumento di essere valorizzato nelle sue funzioni. Nella musica afro americana dei primi tempi il contrabbasso e il piano svolgevano, sino a quel momento, funzioni ritmiche dando spazio solistico ai fiati ed alle voci. Ellington stravolse questo concetto organizzativo e assegnò ad ogni strumento un valore individualistico che accresceva il portato costruttivo orchestrale. Fu l’ingresso di Jimmy Balton (contrabbasso), nel 1939, a consentire questa rivoluzione concettuale e il contrabbasso venne aggiunto alla lista di strumenti in grado di esprimersi in parti solistiche vere e proprie. Sino a quel momento il double bass svolgeva il compito di motore dell’orchestra e controllore dei tempi della batteria.
Ogni strumento è importante come parte dell’insieme e ogni strumento è importante per la capacità espressiva che può dare. Il blues e lo swing.
Questo concetto consentì ad Ellington di mantenete unita la sua orchestra per oltre trent’anni, cosa non facile se si pensa alla litigiosità, all’individualità, all’esigenza di valorizzazione personale che muove l’animo di singoli individui, siano essi musicisti o meno, a cui furono contrapposti swing e seduttività carismatica del band leader. Se ci soffermiamo a riflettere su queste dinamiche individualistiche ciò che risalta è la difficoltà teorica e comprovata di gestire un’orchestra per tanti anni. Difficoltà consistente nell’elemento caos che ciascun istinto disgregativo porta in un insieme.
Ellington aveva a che fare con gente come Paul Gonslaves che dormiva sul palco e poi si svegliava per sparare profondissime e bellissime parti di blues; Johnny Hodges che tra una ballad e l’altra chiedeva soldi strofinando indice e pollice; Ray Nance strafatto al punto tale da non riuscire a trovare il bocchino. Come gestire tutto ciò e mantenere unita la band? Duke usava la forma, l’insieme teorico, per accogliere il caos, l’elemento disgregante, e la sua orchestra era salva.
Il jazz, divenne, con Ellington, “libertà di parola musicale” e la musica che aveva fatto ballare generazioni di americani bianchi (swing) iniziò ad intingersi di espressività e passione (blues). Ogni strumento aveva la sua parte orchestrale e la sua parte solistica. Tutti i musicisti divennero, così, protagonisti del suono che producevano. Il matrimonio tra blues e swing era sancito.
La musica di Ellington non invecchia mai, anche oggi a distanza di 40 anni dalla sua morte, perchè non smise mai di arricchirla. Mentre molti compositori americani copiavano la musica europea credendo che quella fosse il futuro, Ellington americanizzava il suo repertorio e il suo suono inventando nuovi modi per fare jazz. “Noi abbiamo la nostra musica. Non ho bisogno di studiare Stravinskij o Scriabin o Schonberg perché diventi più raffinata. Mi basta uscire di casa e guardarmi attorno e fare quello meglio quello che faccio già.”.<br />
<br />
Avrete notato che non ci sono titoli discografici. Non è una disattenzione ma un atto voluto. Ho cercato di raccontarvi l’uomo e il personaggio, inserendolo nel contesto della musica e cercando di descrivere quello che ha rappresentato ed ancor oggi rappresenta. La musica di Ellington, del resto, fa parte del patrimonio culturale di ciascuno di noi e se ne trovano le radici in ogni cosa ascoltiamo. Il concetto è semplice: Ellington ha modificato profondamente il jazz e la musica nera andando oltre i pregiudizi ed inserendo nella bellezza della musica la bellezza delle passioni.
L’invito di chi vi scrive è quello di ascoltare Ellington (tutto quello che vi viene a portata di mano) e di fare digging nella vostra mente considerando cosa sarebbe stato della musica se DUKE non ci fosse mai stato.<br />
<br />
Buona musica.<br />
<br />
Vincenzo Altini<br />
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<br />
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<a href="http://youtu.be/KV8Hj_E8LJc"></a>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-31857706190111423352013-01-16T18:00:00.000+01:002013-01-16T18:00:07.454+01:00HANNAH WILLIAMS & THE TASTEMAKERS - A Hill Of Feathers<br />
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="http://1.bp.blogspot.com/-FgteTEKBEbA/UPbGxXqKgOI/AAAAAAAAAD4/9k8rbhhMHtQ/s1600/cover.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="http://1.bp.blogspot.com/-FgteTEKBEbA/UPbGxXqKgOI/AAAAAAAAAD4/9k8rbhhMHtQ/s1600/cover.jpg" width="320" /></a></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
C’era una volta una ragazza che
in una delle sue prime uscite da cantante nei sobborghi di Londra, incontrò per
caso Sharon Jones (si proprio lei!).
Dall’alto della sua posizione, dopo aver sentito cantare la ragazza,
sorpresa dalla potenza e dal calore della sua voce; le disse semplicemente: <i>«…you’re blessed!</i><i>» </i>che in inglese non significa solo
<i>“benedire” </i>ma è un modo per
ringraziare qualcuno dopo aver, in questo caso, goduto di una performance
musicale emozionante.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Lei è Hannah Williams, londinese
di nascita; fin da quando iniziò a camminare ha avuto a che fare con la musica,
complice una famiglia intera di musicisti. L’episodio al quale mi riferivo
pocanzi, risale a quando la Williams pubblicò il suo primo singolo, un 45 giri
uscito sotto la Mondegreen Records, un’etichetta indipendente. Da allora venne
sempre seguita da gente come Sharon Jones, Charles Bradley e Craig Charles che
con il suo show su BBC radio le diede non poca visibilità. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La svolta per Lei arriva quando
incontra Hillman Mondegreen, leader della band dei Tastemakers, che s’innamora
letteralmente delle doti canore di Hannah Williams e la invita a diventare la
voce leader della band. Talentuosi, puliti nelle esecuzioni, mai invadenti, i
Tastemakers sono il supporto ideale per una voce profonda, calda e potente come
quella della Williams.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Così iniziano varie produzioni e
tour promozionali in giro per l’Inghilterra e non solo, partecipando a vari
festival. Nel 2011 mandarono in delirio il pubblico del <i>“Jazz Re:Found Festival” </i>anticipando l’esibizione di Afrka
Bambataa! Sharon Jones e Charles Bradley li hanno già definiti la <i>“next big thing” </i>della scena soul
Europea tanto da volerli come gruppo di spalla per i loro ultimi tour inglesi. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
La svolta avviene quando dopo aver
inciso un vinile <i>“home made” </i>vengono
contattati dalla Record Kicks, etichetta indipendente di Milano che gli propone
un contratto per un disco. E così, nel giro di pochi mesi, nasce <i>“A Hill of Feathers” </i>album di debutto
per Hannah Williams & The Tastemakers. Un concentrato di deep soul e deep
funk come non se ne ascoltavano da anni.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Il deep funk, per definizione, è
quel funk “sporco”, quello graffiante e se vogliamo più “pesante”… quello di
Betty Davis e James Brown per intenderci. Mentre per deep soul s’intende il
cosiddetto “Southern soul”, cioè quel soul che proveniva da Memphis, dalla
Georgia e dal Mississippi. Alcuni nomi? Sam & Dave, Aretha Franklin, Al
Green, Rufus Thomas, Otis Redding, Isaac Hayes, Willie Hutch e molti altri.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
L’influenza dei nomi che vi ho
appena elencato è chiarissima in questo disco, ed è un piacere scoprire come
Hanna Williams & The Tastemakers hanno saputo attingere dai mostri sacri
della black music per tirare fuori un lavoro come questo!<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i><br /></i></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>“A Hill of Feathers”</i> si apre con <i>Work It Out</i>, primo singolo estratto, uscito il 10 settembre, ad
anticipare l’uscita dell’album. Un pezzo che secondo chi vi scrive è una vera
delizia per l’udito. Beat minimale per dare spazio alla profonda e tagliente
voce di Hannah Williams, davvero una perla.<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Si prosegue con <i>Tell Me Something (Liberites)</i>, altro
pezzo dal sapore soul che la dice lunga sulle doti canore della nostra Hannah,
davvero un portento. Neanche il tempo di riprendersi, ci lanciamo in uno dei
miei pezzi preferiti dell’album che è <i>Do
Whatever Makes You Feel Hot</i>, brano dal sapore retrò che, come dice la stessa
Hannah in questo pezzo, vi farà muovere i fianchi come se stesse ascoltando
James Brown!<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
A seguire troviamo due pezzi: <i>Don’t Tell Me</i> e <i>The Kitchen Strut</i> che, per un attimo, vi trasporteranno nei 70’s in
un’atmosfera stile “Soul Train” a ballare a ritmo di funk, magari a partecipare
alla celebre <i>“Line dance”</i>!<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Break, con <i>Washed Up</i>. Brano lento, malinconico, a tratti struggente… <i>“deep”</i> appunto. Anche in questo pezzo le
contaminazioni della Stax Records e del southern soul sono inequivocabili,
pezzo drammaticamente bello! <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<i>(When Are You Gonna) Say You're Mine</i>, altro brano intenso, quasi
blues, con Hannah Williams che si diverte a “giocare” con le sue corde vocali
alternando acuti graffianti a dolci rientri con cambi improvvisi di tonalità,
concludendo però con dolcezza. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Ci avviamo alla conclusione
dell’album <i>con Get It (Part 1)</i> e <i>I'm A Good Woman</i>; due pezzi freschi dal
sapore reaggae misto a funk. Anche qui le doti vocali della nostra Hannah non verranno
risparmiate! Chiusura con <i>Things To Come</i>,
brano strumentale tutto da gustare che da quasi l’idea di essere una sorta di tema
conclusivo, ad un album che non deluderà sicuramente gli appassionati di soul e
funk.<o:p></o:p></div>
<br />
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Un disco breve, che scivola via
che è un piacere. Subito si riesce a percepire quel “senso del groove” che
viene dall’anima, formatosi dopo anni di esperienze e ottime basi culturali e
musicali. Uno stile, quello di Hanna
Williams paragonato da qualcuno a quello di Etta James o a quello di Betty
Davis; con i Tastemakers che con loro sound pulito, lineare e cristallino
rendono questo davvero un ottimo disco. Sound moderno, legatissimo però a
quelle che sono le radici della musica soul e funk in tutte le sue
sfaccettature. Assolutamente consigliato per chi ama questo genere di black
music. <o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Insomma… se Sharon Jones <i>“l’ha benedetta”</i> un motivo ci sarà, no?<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Buona Musica!<o:p></o:p></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
Yayo</div>
<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
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<div class="MsoNormal" style="text-align: justify;">
<br /></div>
Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-61268603777233760582012-12-10T20:23:00.004+01:002012-12-10T20:23:53.995+01:00SABU MARTINEZ<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkg6EafghfS_mZ4eaZe3JVSeMPB9kTtQILbp5hjD3d7cBGosIzQnNIPDdi24jMw7WMCDy-YFrUbli3ctSTjyRP9rlrakpYwNJ5DFsWsG8vuNINvUTUxC1uG_RLvlqh3YUlBCAotgZQzv_R/s1600/sabu.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="225" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkg6EafghfS_mZ4eaZe3JVSeMPB9kTtQILbp5hjD3d7cBGosIzQnNIPDdi24jMw7WMCDy-YFrUbli3ctSTjyRP9rlrakpYwNJ5DFsWsG8vuNINvUTUxC1uG_RLvlqh3YUlBCAotgZQzv_R/s400/sabu.jpg" width="400" /></a></div>
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Come la vedreste se vi dicessi che la vita di Sabu Martinez passa dal collaborare con artisti del calibro di Art Blakey, Dizzy Gillespie, Thelonious Monk, Horace Silver e JJ Johnson, al suonare in locali da tutt'altra parte del mondo per poche decine di persone?<br />
E questo di certo non per sua incompetenza come musicista, visto che è considerato uno dei migliori percussionisti della storia...<br />
Ma andiamo con ordine....<br />
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Sabu nasce nel 1930 in una New York povera e violenta ma, come per pochi altri, Sabu riesce ad evitare le strade che lo avrebbero portato molto probabilmente steso sull'asfalto con una pallottola in fronte, e lo fa grazie alla musica che lo rapisce quanto era ancora giovanissimo.<br />
Le percussioni sono le uniche armi che lo accompagneranno per tutta la vita.<br />
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Diventa subito amico di altri due importantissimi percussionisti, Mongo Santamaria e Ray Barretto, e a soli 18 anni, nel 1948, grazie al suo favoloso talento, sostituisce niente meno che Chano Pozo, tragicamente deceduto, nella Dizzy Gillespie Big Band che in quel periodo girava anche con Charlie Parker.<br />
Ovviamente avere delle doti notevoli e suonare nella Dizzy Gillespie Big Band non fece altro che puntare i riflettori verso questo giovane percussionista che, come su detto, collaborerà con grossi nomi della scena jazz del periodo, non solo in esibizioni live ma, come del caso di "Cu-Bop" di Art Blakey & The Jazz Messangers (1957), anche in importanti dischi.<br />
<br />
Non mancano album pubblicati a proprio nome e, alcuni di essi, oggi sono molto ricercati e costosi nelle edizioni originali. "Palo Congo" per la Blue Note Records del 1957, "Sorcery!" del 1958, "In Orbit" e il favoloso "Jazz Espagnole" del 1960 rappresentano la prima parte della carriera di Louis Sabu Martinez.<br />
<br />
Purtroppo però, ci troviamo in un periodo particolare e se la musica riesce a toglierti dalla brutta strada e dalla violenza, a volte ti apre le porte di un tunnel lungo e buio, dal quale è difficile uscire: quello dell'eroina.<br />
E Sabu in questo caso non fa eccezione, e si ritrova a fronteggiare una perdita di fama e stima da parte di pubblico ma soprattutto di persone con cui lavorava e divideva esperienze di vita.<br />
E' anche per questo che decide di trasferirsi prima a Baltimora e successivamente a Porto Rico dove naturalmente collabora con alcuni musicisti locali.<br />
<br />
Siamo nel 1967 e proprio a Porto Rico Sabu conosce una ragazza svedese, Agneta Brogestam, di cui si innamora. Visto che la ragazza si trova lì solo per vacanze, cerca di convincere Sabu a trasferirsi in Europa e non appena quest'ultimo riceve delle opportunità lavorative anche in Svezia, prepara valigie e congas e decide di andare a vivere dall'altra parte del mondo.<br />
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Già nel suo primo anno "svedese" collabora con molti musicisti come Merit Hemmingson e con la Swedish Radio Jazz Orchestra.<br />
Nel 1968 pubblica in Svezia il primo disco a suo nome: "Groovin' With Sabu Martinez" per l'etichetta Metronome.<br />
Collabora anche con molti musicisti finlandesi e nel corso degli anni sposa un'altra ragazza, Christina.<br />
<br />
Nella piccola città di Hedemora apre una scuola per percussionisti e nel 1971 pubblica l'album "Aurora Borealis" in collaborazione con la Bjorbobandet Orchestra. Tra l'altro in quest'album è presente anche il figlio di Sabu: Johnny Martinez.<br />
<br />
Nel 1973 pubblica quello che forse è considerato il suo album più bello: "Afro Temple".<br />
Con il suo mix di sonorità jazz latin funk afro cuban è un vero e proprio orgasmo per le orecchie. Provare per credere.<br />
<br />
Oltre a pubblicare dischi ed insegnare percussioni nella sua scuola, Sabu e gli altri musicisti, insieme alla comunità latina del posto, si ritrovavano la sera a suonare al famoso Cafè Ricardo di Stoccolma, situato nella città vecchia, dove ogni serata si trasforma in un'orgia musicale.<br />
Diventa la mecca dei musicisti jazz e latini e anche della scena progressive Svedese. Un piccolo bar che conteneva al massimo 30 persone, ma che sprigionava tanta di quella energia da diventare un posto di culto.<br />
<br />
Purtroppo disgrazia vuole che nel 1978 Sabu muore, a soli 48 anni, a causa di un' ulcera gastrica, dopo aver appena collaborato con il leggendario sassofonista Sahib Shihab.<br />
Molti dei suoi lavori, o registrazioni live rimaste oscure per anni, vedono la luce grazie alle pubblicazioni dell'etichetta Mellotronen che rispolvera la storica collaborazione con Sahib Shihab più alcune registrazioni effettuate nelle Radio Svedesi.<br />
<br />
Ringrazio la Mellotronen perchè, almeno personalmente, mi ha dato la possibilità di ampliare la conoscenza di questo favoloso musicista, dandomi l'opportunità di scoprire altro suo materiale.<br />
Se vi piace ascoltare la musica di Mongo Santamaria, Ray Barretto, Candido ecc.. non potrete fare a meno di Sabu...<br />
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Consiglio spassionato.<br />
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Dj Danko<br />
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<br />Cloud Dankohttp://www.blogger.com/profile/10915042894150122937noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-20858059262846882812012-11-06T11:11:00.001+01:002012-11-06T11:16:24.267+01:00AMY WINEHOUSE<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnaT8jtu6ijYc7e6YkVq5lZDZbSw7VG4Mj83CJsC-x0kmlTTCCUFMwaq6Q3s0iQI3d1GtXWifA8tFHhnhquNsIJnGSjCl8HaML9daIIWs2xtDVoqqKxQxZeM1duAOcOBkJJAgZdnu13Hbv/s1600/amy-bv.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="134" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnaT8jtu6ijYc7e6YkVq5lZDZbSw7VG4Mj83CJsC-x0kmlTTCCUFMwaq6Q3s0iQI3d1GtXWifA8tFHhnhquNsIJnGSjCl8HaML9daIIWs2xtDVoqqKxQxZeM1duAOcOBkJJAgZdnu13Hbv/s320/amy-bv.jpg" width="320" /></a></div>
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Acquistare <b>Lioness: Hidden Treasures</b> (2011) è stata una impresa per molti fan di Amy Winehouse.<br />
Perché pensi che un lavoro postumo possa essere incompleto, con pezzi rabberciati alla meglio, realizzati senza aver rispettato le volontà dell’artista. Oppure perché sai che, se fosse il disco migliore di Amy, saresti attanagliato dal rimpianto e dalla malinconia di non poterla più ascoltare un’altra volta.<br />
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Il testamento musicale di Amy Winehouse è un po’ tutte queste cose messe insieme.<br />
Puoi trovarci piccole perle, come la versione reggaeggiante di <i>Our day will come</i> di Ruby & the Romantics, o <i>Body and soul</i> con Tony Bennett, probabilmente l’ultima vera incisione in studio di Amy, ripresa in un video nel quale i due si guardano con quel mix di attrazione e rispetto, l’uno rapito dal talento di lei, l’altra in ossequio al mito di un meraviglioso mondo al quale apparteneva anche <b>Frank Sinatra</b>, altro grande punto di riferimento di Amy. <br />
In <i>Like smoke</i>, basata su un coro di Amy che si ripete per tutto il brano, si realizza finalmente l’unione con Nas. Stessa data di nascita (14 settembre), stesso produttore (Salaam Remi), e un continuo inseguirsi fatto di sample e giochi di parole: In my bed di Amy, contenuta in Frank, si sviluppa sul campionamento di Made you hook di Nas, il mr Jones di Me & Mr Jones (da Back to black) è proprio il rapper statunitense, che di cognome fa Jones.<br />
Troviamo anche qualche pezzo in fase di lavorazione, che segue la linea del secondo album (<i>Between the cheats, Will you still love me tomorrow</i>), le versioni originali, e più asciutte, di <i>Tears dry on their own</i> e di <i>Wake up alone</i>, una versione alternativa - la preferita di Amy - di <i>Valerie</i> e la sua interpretazione di <i>The girl from Ipanema</i>. Questo classico della bossanova è proprio il brano con il quale Amy, armata di chitarra e di carisma, si è presentata a <b>Salaam Remi</b>, il produttore di <b>Frank</b>, il suo primo disco. <br />
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Nell’album di esordio (2003) c’è tutto il talento, ancora inespresso, di questa giovane cantante britannica, ma anche la sua voglia di rompere gli schemi e non restare ingabbiata in un cliché. <br />
L’errore di Remi, ottimo produttore di Fugees e Nas, è proprio quello di voler inserire la sua voce in un suono perfetto da moderno jazz club, che mal si addice alla sregolatezza di Amy. Lei è quel tipo di cantante che va lasciata a briglie sciolte, che quando sta per salire sul palco, più che sostenere un concerto, sembra dover andare a fare shopping da H&M, ma che quando è lì, ed è nella serata giusta, puo’ tenere testa anche a Mick Jagger, come è successo nel 2007 durante il festival dell’isola di Wight.<br />
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Amy non è la stellina del r’n’b tutta honey e sugar, piuttosto non le manda a dire al maschio di turno, come succede in <i>Stronger than me</i>, primo singolo di Frank, che la rivela al grande pubblico.<br />
È un concentrato di Count Basie, Frank Sinatra, Donny Hataway, Sarah Vaugan, Salt’n’Pepa e Beastie Boys: una miscela esplosiva, elegante e sfrontata al tempo stesso, che la fa diventare unica.<br />
Il disco pur essendo schietto, Frank appunto, e ricco di spunti interessanti che fanno pensare alla nascita di una nuova stella, non convince del tutto Amy, che dichiara di sentirlo suo solo al 20% e che preferisce cantarlo durante i live ma non riascoltarlo.<br />
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Probabilmente c'è più sintonia con <b>Mark Ronson</b>, il produttore di <b>Back to black</b> (2006), il disco della consacrazione a livelli mondiali. Come se fosse un fratello maggiore, Mark la ascolta pazientemente in lunghe chiacchierate, in studio o lungo le strade di Manhattan, e coglie la voglia di Amy di fare un salto nel soul degli anni ’60, quello delle Ronettes e di Aretha Franklin, della Motown e della Stax, realizzato con voci femminili formidabili e band vigorose. Grazie anche all’apporto dei Dap Kings, il “gruppo di casa” della etichetta Daptone, che accompagna costantemente Sharon Jones in album e tour, Amy e Mark riescono a creare un’atmosfera speciale e un suono vintage, reso attuale dai temi trattati nelle canzoni. Dal famoso invito a ricorrere alle cure in <i>Rehab</i>, al quale Amy risponde con uno strafottente “No, no, no”, al funerale del suo cuore - celebrato in un video a tinte dark - in <i>Back to black</i>, dall’avvertimento di <i>You know I’m no good</i> (Ti ho detto che sono una combina guai, lo sai che non sono buona) ai dolori e alle sofferenze di <i>Love is a losing game</i> e <i>Tears dry on their own</i>. <br />
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In questi pezzi c’è <b>tutta Amy, senza barriere e filtri</b>, come se si guardasse allo specchio e ci raccontasse quello che prova. Ci sono la sua sensibilità e la sua ironia, la sua onestà e la sua vulnerabilità, i suoi problemi con la droga e l’alcol, la tormentata storia d’amore con Blake Fielder-Civil, i suoi idoli e i suoi demoni, ma soprattutto il suo grande talento. Ed è quello che ci mancherà e che difficilmente riusciremo a trovare a breve in un’altra artista.<br />
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Skull Snaps: una coppia di parole che merita di essere scolpita nella memoria di ciascuno di voi.<br />
Sono parole che rappresentano la musica e la storia. Una storia fatta di anonimato, di ricerca e genialità.<br />
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Correva l’anno 1973. Il funk, il funk rock e il jazz rock erano padroni incontrastati della scena e il mondo iniziava ad attraversare un periodo di crisi economica nato dalle conseguenze del '68. E, come in tutti i periodi di crisi, l’attimo importante è il rimboccarsi le maniche e dare libero sfogo alla creazione artistica.<br />
Skull Snaps in questo è un album feticcio dove originalità e creatività sono ampiamente dimostrate dalla costruzione che partendo dalla copertina - pazzesca!!! – arriva all’equilibrio delle 9 tracce, una più bella dell’altra. Il tutto rappresentato su un vinile della piccola casa discografica GSF.<br />
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Gli Skull Snaps nascono da una combinazione, sviluppatasi a più riprese, tra Samm Culley - basso e voce, Ervan Waters – chitarra e voce, George Bragg – batteria e voce, a cui in sede di registrazione si unirono i fratelli di Erwan al solo scopo di arricchire ulteriormente il sound della band.
La formazione, però, trae origine dall’incontro e dall’amicizia tra Samm Culley ed Erwan Waters - nata nel periodo in cui gli stessi suonavano per i The Diplomates (un gruppo northern soul che ha pubblicato una serie di 45 giri di successo tra il 1963 ed il 1970 come Here’s A Hearth – 1964 o Accept Me - 1969) – e il batterista George Bragg.<br />
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L’incontro clou avvenne alla fine degli anni 60 quando i tre si ritrovarono a suonare in una jam session. Quel che ne venne fuori fu un’alchimia di suoni che li portò a decidere d’intraprendere una nuova esperienza. Nacque il progetto The Soul Three.
I Soul Three avevano una caratteristica. Il loro sound, seppure composto da una formazione di trio sembrava prodotto da un gruppo ben più corposo. Il segreto era nella forte personalità che le voci, tra cori e cantato melodico, manifestavano inserendosi sui break di batteria fragorosi e le armoniche composte tra chitarra e basso. I Soul Three furono contrattualizzati da diversi locali di taglio minore nella zona del Queens ma non riuscirono a registrare alcun disco.
Nel 1970 nacque l’esigenza di spostare il raggio d’azione della band dal Queens al Maryland senza perdere le piccole scritture e per salvare capre e cavoli si optò per un nuovo nome: The Skull Snaps.<br />
Il nome della band, alquanto singolare, fu dovuto ad alcune dichiarazioni che il trio prese dai fans.<br />
Alla fine dei concerti – racconta Samm Culley – gli veniva detto che il loro modo di suonare faceva sussultare e scattare i teschi più velocemente delle menti. Da qui: The Skull Snaps.<br />
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L’originalità del nome e la pienezza del suono della band attirarono l’attenzione di quelli che erano stati il produttore e l’arrangiatore dei successi dei The Diplomats – George Kerr e Bert Keynes – che contattarono la GSF e portarono – era la fine del 1972 – The Skull Snapps in sala di registrazione.
L’album fu pronto in un mese, registrato in una sala a Somerville in via d’allestimento, e la sensazione che il sound prodotto fosse all’avanguardia rispetto ai tempi fu immediata.<br />
Le nove tracce sono prova di uno straordinario affiatamento orchestrale, merito dell’arrangiamento e della partecipazione alla scrittura dei pezzi da parte di George Kerr, e danno vita ad uno dei più originali album funk della storia. All’interno, nel viaggio attraverso l’ascolto dei pezzi, ritroviamo il meglio di Ray Charles, dei Meters, dei Whatnauts, Escort e O’Jays, fusi in un gioco di voci batteria e chitarra STRAORDINARIO.<br />
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Pezzi come I’m Your Pimp o It’s A New Day non hanno bisogno di presentazione o di essere raccontati. La straordinarietà dei break e l’armonia delle voci li rendono unici.
Di questa straordinarietà se ne sono resi conto artisti come Eric B. & Rakim, Guru, Dj Jazzy Jeff & The fresh Prince, Digable Planets, Dj Shadow, Rob Dougan, Black oon, The Prodigy e Ol’Dirty Bastard che hanno campionato i vari break prodotti da George Bragg.<br />
La band non ha prodotto altri dischi. Il successo non fu tale da guidarne la carriera verso altari e gloria e ciascuno di loro proseguì il lavoro di sessionista con altri gruppi. Samm Culley, ad esempio, si è ritrovato più volte nelle registrazioni di FatBack Band, Nick Ashford, Valery Simpson e altri. Sino al 2005, quando la band, su iniziativa della Record Aztec, si è riunita per una serie di tour finalizzati a promuovere la ristampa del mitico album.<br />
Una curiosità.
Prima di chiudere le registrazioni, il pezzo sul quale tutti avrebbero scommesso era I’m Falling Out Of Love.<br />
È stato il destino a scegliere It’s A New Day.<br />
Buona Musica<br />
Vincenzo Altini<br />
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<a href="http://4.bp.blogspot.com/-gLGn7LQdesc/UEXqCDZmRWI/AAAAAAAAADU/CdSSOhEF9ic/s1600/44530.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" src="http://4.bp.blogspot.com/-gLGn7LQdesc/UEXqCDZmRWI/AAAAAAAAADU/CdSSOhEF9ic/s1600/44530.jpg" /></a></div>
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Chi di voi, appassionati di musica non ha mai sentito parlare della maledizione dei 27 anni? Esatto, la stessa maledizione che viene menzionata quando si parla di artisti come Jimi Hendrix, Janis Joplin o come nella recente scomparsa di Amy Winehouse. Pensiamo anche ad artisti come Tupac Shakur o a Notorious B.I.G. scomparsi a 25 e 24 anni. Insomma, grandissimi nomi, che ahinoi, hanno lasciato la scena prematuramente.</div>
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Oggi vi parlerò di un altro artista, che rientra in questa triste lista, meno conosciuto alle grandi folle. </div>
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Per farlo però devo riportarvi indietro con la mente agli anni 60 e farvi conoscere un omaccione alto circa 1,90m dal peso di circa 170 kg; tale James Ramey, meglio conosciuto come Baby Huey, nome ispirato forse dall’”anatroccolo gigante”, famoso personaggio di un cartone animato dell’epoca.</div>
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Insieme a l'organista/trombettista Melvin "Deacon" Jones, e il chitarrista Johnny Ross; Baby Huey fonda una band: i Baby Huey & The Babysitters, subito notati in numerosi locali di Chicago. Col tempo i Babysitters evolvono, riadattano il proprio stile e sulla scia di Sly & The Family Stone orientano la propria musica verso il soul psichedelico, un sound più sporco, ma di sicuro più naturale e molto in voga all’epoca. Il gruppo ha numerose serate in programma, ma non hanno mai avuto modo di registrare qualcosa in studio.</div>
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Nel 1969 la svolta. Baby Huey & The Babysitters ottengono un’audizione addirittura con Donny Hathaway della Curtom Records, stupendolo letteralmente. Allora il dirigente della Curtom Records, Curtis Mayfield, decide di far firmare Baby Huey, ma non la sua band. </div>
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Baby Huey inizia quindi la registrazione del suo album che però venne pubblicato solo postumamente. Già perché il nostro “anatroccolo gigante”, causa di una disfunzione ormonale che lo portò a pesare quasi 180 kg, morì, il 28 ottobre 1970 a soli 26 anni per un infarto. Qualcuno pensò a un’overdose, dato che da qualche anno Baby Huey era dipendente da eroina e nei suoi ultimi mesi di vita spesso esagerava.</div>
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1971, esce “The Baby Huey Story: The Living Legend”. Album prodotto da Curtis Mayfield, si apre con Listen to Me. Funky energico in stile James Brown con quel tocco di psichedelia che rende questo pezzo spettacolare! Classe pura in Mama Get Yourself Together, funk allo stato puro e stile che ricorda molto i Chicago, gruppo che aveva esordito l’anno precedente l’uscita di questo album.</div>
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A seguire troviamo A Change is Going to Come di Sam Cooke. Pezzo caratterizzato da un blues lento, a tratti drammatico, specialmente nella parte parlata di Baby Huey sembra confessarsi, la sua voce è accompagnata da un eco profondo e tra un acuto e l’altro ci parla della sua vita, delle sue cattive abitudini tra fumo, droga e alcol. Così ci racconta la sua storia:</div>
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«…and then someone hands you one of them funny cigarettes</div>
<div class="MsoNormal">
and says it's time for you to get mellow one more time…».</div>
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Pezzo di struggente bellezza, intenso cupo che da molto spazio alle doti vocali di Baby Huey, spesso paragonate a quelle di Otis Redding. </div>
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A seguire un pezzo scritto da Curtis Mayfield in versione live : Mighty Mighty, pezzo registrato qualche anno prima da Curtis Mayfield & The Impressions e ripreso successivamente da Mayfield in altri album. Brano intenso ma breve, forse troppo per apprezzare la bellezza; lo stesso Curtis in “Curtis/Live!” del 1971 ne proporrà una versione ben più elaborata di quasi 7 minuti… che ve lo dico a fare!? </div>
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Ci avviamo alla fine del disco in crescendo… Hard Times, con un Baby Huey che secondo chi vi scrive dà il meglio di sé. Pezzo bellissimo con un testo socialmente impegnato e il nostro anatroccolo gigante che sfoggia tutto il suo genio “giocando” con le sue corde vocali, cambiando tonalità più volte durante il brano tanto da dare la sensazione che ci siano più voci ad accompagnare quella principale. Geniale! Hard Times venne ripresa nel 1975 dallo stesso Curtis Mayfield, che l’aveva scritta, in “There's No Place Like America Today”. Anche se ancora oggi, lo standard per questo pezzo rimane la versione di Baby Huey. Un’ ottima cover è stata pubblicata qualche anno fa da John Legend & The Roots nel loro album tributo alla black music d’altri tempi, “Wake Up” nel 2010.</div>
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Troviamo poi California Dreamin’… si proprio quella dei Mamas & Papas, in versione strumentale con un’introduzione di flauto jazz e ritmi latineggianti che la rendono a dir poco deliziosa. Nel finale d’album, Running, ancora una volta lo zampino di Curtis Mayfield, autore di questo pezzo che darà alla vostra anima funk una bella rinfrescata riportandovi per un attimo negli anni 70! A conclusione del disco ancora un pezzo strumentale, One Dragon, Two Dragon e ancora una volta il flauto di Othello Anderson dei Babysittes a farla da padrone, in questo pezzo che chiude in bellezza un disco splendido.</div>
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La sensazione che si ha quando si scopre Baby Huey è quella che si ha quando ci si affaccia per la prima volta su un paesaggio nuovo, inesplorato. Si riescono ad apprezzare certi dettagli, certe sfaccettature che in altri musicisti forse vengono tralasciati. Questo giovane genio degli anni 60 ha potuto regalarci solo quest’album causa i suoi problemi di salute e non. Il backstage di Curtis Mayfield nelle produzioni e nella scelta dei brani danno un tocco di qualità unico da renderlo un vero capolavoro.</div>
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Devo confessarvi che è stato molto interessante per Me scoprire questo artista semi-sconosciuto, ed è per questo che ho voluto raccontarvi di lui e della sua musica; perché Baby Huey ha lasciato il segno soprattutto per i cultori del genere. </div>
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La sua voce calda e graffiante e il suo stile inconfondibile hanno lanciato le basi per nuovi artisti emergenti dell’epoca e non solo. I suoi pezzi sono stati campionati più volte nel corso degli anni da rapper come Ice Cube, A Tribe Called Quest, Ghostface Killah, segno che seppur breve, la carriera e il genio di Baby Huey non sono dimenticati. </div>
<div class="MsoNormal">
E allora dopo aver letto questo articolo e ascoltato “The Baby Huey Story: The Living Legend”; potrete andare dal vostro amico, da vostro figlio, dalla vostra fidanzata e dire: «Non hai mai ascoltato “la storia di Baby Huey”?». E da lì iniziate il racconto.</div>
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Buona Musica!</div>
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Yayo<br />
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<br />Anonymousnoreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-67511082391763817232012-07-04T13:43:00.000+02:002012-07-04T13:43:01.255+02:00CARMEN McRAE<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;">
<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6H-MRhHA6XghA4M3xm2GYOA9AFOxi3AFn1OWnnPR7qGIrdkPOL6vi6trAxfI7i6Rs1GOwKuMO4OlA3ghABeCp-Ff-fHUrL9ODPpkzWbUEMjBAdo1PSch-hMc5aPpb4hANVupmN8qZmzX5/s1600/carmen-mcrae-1.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi6H-MRhHA6XghA4M3xm2GYOA9AFOxi3AFn1OWnnPR7qGIrdkPOL6vi6trAxfI7i6Rs1GOwKuMO4OlA3ghABeCp-Ff-fHUrL9ODPpkzWbUEMjBAdo1PSch-hMc5aPpb4hANVupmN8qZmzX5/s320/carmen-mcrae-1.jpg" width="285" /></a></div>
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“Intuire un sentimento”: questo è il significato profondo di “interpretazione"; un’interprete non è soltanto colei che ripropone un testo, una melodia, ma è la cantante che fa proprio il sentimento profondo del brano e delle parole in esso contenute, le carezza ora dolcemente, ora con forza, e le rende strumento d’amore e di passione: questa è Carmen McRae, abile nel cogliere ogni sfumatura, ogni significato e farne poesia per il mondo. Molto ha imparato e colto dalle colleghe Ella Fitzgerald e Sarah Vaughan, giungendo poi ad uno stile personale e riconoscibile.<br />
<br />
Nata pianista e maturata in veste di cantante nei jazz club in giro per gli Stati Uniti, tra Chicago e New York, attraversando storie di passioni travolgenti ed amori idilliaci, ha costruito la propria carriera, tra gli anni ’50 e gli anni ’90, al fianco dei grandi nomi della musica, primo fra tutti il sassofonista e trombettista Benny Carter, nella cui big band Carmen McRae trovò il suo primo vero impiego nel campo della musica.<br />
Innamorata dei grandi interpreti che avevano contribuito a formarne il gusto per la musica jazz (Louis Armstrong e Duke Ellington ad esempio) e profondamente rispettosa degli artisti che ebbe la fortuna di incontrare nel corso della vita, non mancò un’occasione per rendere loro omaggio: deliziosi gli album “Carmen Sings Monk” (1990), dedicato al pianista Thelonious Monk ed al suo innato talento per l’improvvisazione, e “Sarah: Dedicated To You” (1991) per l’amica Sarah Vaughan, scomparsa l’anno precedente.<br />
<br />
Conosciuta per il carattere non propriamente facile, Carmen McRae riusciva a creare attorno a sé un’aurea magica, era gioia per la vita la forza che sprigionava: ne furono rapiti Sammy Davis Jr. e il compositore Noël Coward, che con lei collaborarono, il primo nell’album “Boy Meets Girl” del 1957, il secondo in “Mad About The Man” dello stesso anno.<br />
<br />
Carmen McRae si è fatta conoscere in tutto il mondo anche grazie alle numerose partecipazioni a festival musicali (Monterey, Umbria Jazz) ove, pur al di fuori del raccolto spazio dei club, la morbidezza e le peculiarità della sua voce giungevano, amplificate, al cuore degli spettatori.<br />
Agli inizi degli anni ’90, a causa di problemi respiratori oramai troppo trascurati, Carmen McRae iniziò un lento declino, scivolando in un coma ed addormentandosi per sempre.<br />
<br />
Noi la ricorderemo per come era, una donna determinata, una vera donna della Harlem degli anni ’20, che dedicò tutta la vita alla sola cosa che per lei contasse veramente: la musica.<br />
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Astrid Majorana<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBojmcJZhjFhz62ptLSQ1WJ9TYHSSDdPeH98fFdmsvQLIvjToq677tKM6XTqF65XR_oogE1mlaa2A1cBMP5sUKffcatBGLB_43-IdzyWhATdCI3arfVKKZ79YvEzCgaD18BPlbvxK_fj3l/s1600/The+Spirit+Of+Atlanta+-+The+Burning+Of+Atlanta.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="320" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgBojmcJZhjFhz62ptLSQ1WJ9TYHSSDdPeH98fFdmsvQLIvjToq677tKM6XTqF65XR_oogE1mlaa2A1cBMP5sUKffcatBGLB_43-IdzyWhATdCI3arfVKKZ79YvEzCgaD18BPlbvxK_fj3l/s320/The+Spirit+Of+Atlanta+-+The+Burning+Of+Atlanta.jpg" width="320" /></a></div>
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Black Vibrations non vi parla solo di vita di artisti, di come è stata complicata l'ascesa di un musicista "X", o di come poi la conseguente discesa ne sia stata veloce, delle storie che iniziano spesso nei campi di cotone o nei cori gospel, e finiscono con carriere uniche ed irraggiungibili.<br />
Black Vibrations racconta anche di dischi che forse non sono entrati in nessuna classifica, o la classifica l'hanno vista solo per qualche giorno, ma poi sono finiti nel dimenticatoio.<br />
Il dimenticatoio però è un posto fantastico, dove chi non si accontenta della solita pappina preparata da radio Tv e giornali di "moda", si diverte a trovare cibo per la propria mente. Musica. E fatta, spesso, molto meglio di ciò che ci viene affibbiato.<br />
Ed è così che, tra un cartone di dischi "black" e l'altro o tra una chiacchiera tra collezionisti, sicuramente un giorno vi troverete davanti questo disco: The Spirit Of Atlanta - The Burning Of Atlanta.<br />
<br />
Cominciamo a dire che chi c'è dietro questo disco è un certo Tommy Stewart che in fatto di pane e funk ne sa parecchio, basti pensare a "Bump And Hustle Music".<br />
E' lui il produttore ed arrangiatore del progetto, accompagnato da una lunga serie di musicisti mai fissi. Si perchè The Spirit Of Atlanta non è una vera e propria band, bensì è un disco, tanto per fare un esempio, concepito come il primo lavoro degli Incredible Bongo Band, ossia suonato da vari componenti arruolati da varie recording bands.<br />
C'è da dire che a differenza del disco degli Incredible Bongo Band, questo doveva essere la colonna sonora di un film dedicato proprio alla storia dell'ascesa delle gang criminali, dopo la famosa guerra di secessione Americana che vide proprio la città di Atlanta bruciare nel 1864.<br />
<br />
Un progetto al quale Tommy Stewart decise subito di aderire non appena gli vennero consegnati i copioni di questo film che avrebbe dovuto chiamarsi "The Burning Of Atlanta Movie", ma che non vide mai la vita per vari motivi.<br />
Fatto sta che la Buddah Records decide lo stesso di pubblicare l'album (fortunatamente!) nel 1973, e regalare al pubblico questo disco spettacolare, dalle sonorità ovviamente blaxploitation, con momenti tirati ed aggressivi, e momenti di relativa calma.<br />
Diciamo che l'inizio del disco è già bello movimentato con "Hunter Street" che da proprio quel sapore di titoli introduttivi di un film, che poi si scatena in un groove veloce, contornato da un organo hammond favoloso.<br />
Il ritmo poi scende con l'ottima "Buttermilk Bottom", con il soul funk di "Peachtree Street", la fantastica atmosfera di "Auburn Avenue" e con lo slow funk contornato da un' armonica di "Vine City".<br />
Provare per credere.<br />
<br />
Classiche atmosfere blaxploitation che possono ricordare a volte quelle di Superfly, e penso non sia un caso che, quello che secondo me è il brano più potente del disco, si intitoli "Freddie's Alive And Well" (Freddie E' Vivo E Vegeto). Forse vuole essere proprio una sorta di risposta alla famosissima "Freddie's Dead" di Curtis Mayfield presente proprio nella colonna sonora di Superfly.<br />
Da evidenziare il famosissimo break di batteria presente in questa "Freddie's Alive And Well", un break bello lungo per la gioia degli appassionati, che tra l'altro è stato molto campionato.<br />
Un brano da inseguimento per intenderci.<br />
Splendide anche "Messin' Around" e la conclusiva "Down Undergound".<br />
Insomma un capolavoro nel complesso.<br />
Un disco che, personalmente parlando, rimane tra i più belli in mio possesso e di cui posso dire solo 2 parole: altamente consigliato.<br />
<br />
Dj Danko<br />
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<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsi3f2VJbYOr3EFAb-XHp-f5sm1LRI-tyZTEUMxFliQZABtqbQjMjj9MO_7NFSNuT9JGTA0FktcZRVmzA81Phy7nzIjZ-HAdgwfiGCamA5J3_1azEfLBNhpyN1y15w0E1PcpVOG893lRw/s1600/village-vanguard-new-york-city-2010.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><img border="0" height="246" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgsi3f2VJbYOr3EFAb-XHp-f5sm1LRI-tyZTEUMxFliQZABtqbQjMjj9MO_7NFSNuT9JGTA0FktcZRVmzA81Phy7nzIjZ-HAdgwfiGCamA5J3_1azEfLBNhpyN1y15w0E1PcpVOG893lRw/s400/village-vanguard-new-york-city-2010.jpg" width="400" /></a></div>
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Il jazz non è solo musica. Il jazz è passione e storia. Passione della storia e delle storie.<br />
Il jazz è un modo per ricordarsi, per viversi attraverso i ricordi dei momenti e delle passioni e l’iconografia che lo rappresenta ha un valore sacro e inviolabile.<br />
Non esistono appassionati di jazz che non siano in grado di parlare a memoria e per ore delle singole variazioni di note nelle alternate take dei pezzi o della storia delle copertine o delle case discografiche. Per un appassionato di jazz, ogni singolo elemento che confluisce nel suono è parte di esso ed ha un valore unico. Per questo le storie dei musicisti, seppur molte volte simili nei contenuti, sono emotivamente coinvolgenti sino a conferire loro unicità. Il metro di paragone, tra una storia e l’altra, è dato dall’apporto emotivo che il narratore di queste riesce a trasmettere: se c’è una musica che è frutto di emozioni, quella musica è il jazz. Per questo, l’iconografia come veicolo di emozioni gioca nel jazz un valore importante.
Jazz, quindi, è storia di passioni che si sviluppano in musica in cui l’iconografia è l’elemento storiografico.<br />
<br />
Esiste a New York al Greenwich Village (non potrebbe essere altrimenti! n.d.r.) un posto in cui l’iconografia raggiunge la sua massima espressione. È il Village Vanguard, la Cappella Sistina del jazz.
Cappella Sistina. Non altro. E il paragone, credetemi, non è improprio.<br />
Certo se ci si aspetta di entrare in un posto di affreschi, d’immagini mozzafiato, il paragone non regge ma se il riferimento è nel valore iconografico rappresentato ci troveremmo tutti d’accordo.
Il Vanguard è un oscuro scantinato a cui si accede attraverso un portone rosso e l’ambiente è piccolo, fumoso, decorato con poster e strumenti d’epoca. C’è un piccolo bar, il palcoscenico e i tavoli che si aprono a ventaglio. Nulla di particolare se vogliamo. Nulla che regga il confronto con la maestosità della Cappella Sistina.<br />
La Cappella Sistina fu voluta da Papa Gregorio e Michelangelo vi lavorò massacrandosi regalando all’umanità ed ai papi di futura memoria una delle rappresentazioni più cariche e forti della creazione secondo la fede cristiana.
Nel Vanguard l’unica fede che si esercita è il jazz e fu fondato da Max Gordon nel 1935.
Nella Cappella Sistina si tengono i conclave per l’elezione del Papa ed è sempre aperta, venendo chiusa solo in occasione dei conclave.
Il Vanguard è stato chiuso un solo giorno, dal 1935 ad oggi, e dal 1957 è leggenda del jazz.<br />
<br />
Quando nacque, nel 1935, era il tipico locale bohemien newyorkese dove suonavano i folk singers presenti in zona e c'erano aspiranti scrittori e poeti a far da spettatori e contraltare. Woody Guthrie, John Reed, Eli Siegel erano, per il Vanguard, negli anni a cavallo della seconda guerra mondiale e prima dell’esplosione del beat, ospiti fissi e consentivano a Max Gordon di trasmettere un’identità alternativa al Birdland e al Blue Note.<br />
La concorrenza si giocava sul genere di musica (al Birdland il Be Pop, al Blue Note Cool Jazz e Hard Bop e big band) e sull’eterogeneità dell’offerta: al Village non era difficile imbattersi nella comicità di Woody Allen e Lenny Bruce.
Sino al 1957, anno in cui s’iniziò a creare la Cappella Sistina del jazz.
Max Gordon incontra Lorraine, che passerà alla storia come Lorraine Gordon. Lorraine è una ragazza carina, avvenente, simpatica ed ha idee chiare ed una grande passione: il jazz.
La storia è semplicissima: Lorraine che veniva fuori in malo modo da una storia d’amore con Alfred Lyon (fondatore dell’etichetta Blue Note. n.d.r.) si presentò al Village per vendere al buon Max un concerto di Telonius Monk. Max si fece prendere dalla passione della ragazza e per compiacerle accettò. La prima sera fu un disastro e al Vanguard non andò nessuno ma la voglia di compiacere quella ragazza spinse Max a darle credito e sera dopo sera il bebop di Monk divenne il marchio d’attrazione del locale.
Sin qui, nulla di nuovo.<br />
<br />
E’ una storia che si ripresenta e che da solo l’idea di come la perseveranza nel portare avanti le proprie idee e la propria passione possa, poi, produrre ottimi risultati. Ma questo, non giustificherebbe il paragone con la Cappella michelangiolesca.
Per fare grandi cose, oltre alle passioni, ci vogliono idee ed occasioni da prendere al volo.
L’anno di svolta è il 1957. Lo ripeto: il 1957.
Sonny Rollins in trio suona al Village. E’ una produzione Blue Note e grazie allo zampino di Lorraine Alfred Lyon da l’ok per la registrazione del live. Il primo mitico straordinario live registrato al Village (anche se le prove di queste registrazioni erano state fatte con Stan Getz con un album uscito in edizione limitata. n.d.r.) e si diede il via alla leggenda. Live at Village Vanguard è il sottotitolo di un centinaio di dischi registrati in questo bugigattolo nato per ospitare cantanti folk e gare di poeti e scrittori squattrinati.<br />
Non esiste, tra i titoli “…live at Village Vanguard” il più importante, il più famoso. Le curiosità possono essere lette nelle note di copertina di ciascuna di queste straordinarie registrazioni. Sunday at Village Vanguard, capolavoro di Bill Evans, è in realtà una doppia registrazione. Furono due i dischi ricavati questo primo lavoro del trio al Village: il primo – il live, appunto – che in realtà è il secondo in ordine di registrazione dei due dischi richiama l’attenzione sul valore delle mattinee nei jazz club dell’epoca ( fu registrato di mattina…) ed il secondo Waltz For Debby (registrato la sera prima) è un capolavoro assoluto. Poi, il Live at Village Vanguard di Coltrane, il primo ed il secondo (storico album per gli appassionati di free jazz).<br />
<br />
Ma il Village non è solo questo. Non solo questi titoli. In realtà non è possibile scegliere il disco più rappresentativo ma si deve – giocoforza – ricordare che in questo posto sono stati di casa Charles Mingus, Art Blakey, Chris Connor, Gerry Mulligan, Charlie Byrd Trio, Bobby Timmons, Cannonball Adderley, Keith Jarret, Miles Davis, ecc ecc. Ognuno di loro ha lasciato testimonianze ed anneddoti. Ognuno di loro è stato parte del Village.
Lorraine continua all’età di novanta’anni a gestire il Vanguard, a dare spazio a musicisti e sfornare leggende. Il Village è stato chiuso solo un giorno del 1989 quando Lorraine attaccò sulla porta del Village il cartello “Chiuso per Lutto” per la morte di Max Gordon.<br />
Solo un giorno.<br />
Un giorno per riprendere a vivere una storia straordinaria.<br />
<br />
Buona musica
Vincenzo Altini<br />
<br />
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<br />
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Una parola tanto breve quanto piena di significato.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >E’ questo che mi viene in mente quando parlo di Pete Rock.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Una meraviglia di producer (Chocolate Boy Wonder è non a caso il suo AKA), che ha cominciato la sua attività nei primi anni ’90, e continua ad oggi a produrre beats raffinati, come solo un compositore jazz è in grado di fare.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Difatti, insieme a Premier, egli è stato il primo a introdurre campionamenti jazz nei suoni grezzi degli anni ’90 creando un nuovo sound, molto più morbido e ricercato, rinominato appunto Jazz Rap.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Data questa sua varietà di stili, P.R. è molto apprezzato sia da una critica adulta che dai più giovani appassionati di rap.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Bronx – NY. 1970. è questo il contesto storico-sociale in cui nasce Peter Phillips, figlio di immigranti Jamaicani.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Come tanti ragazzini nati in quegli anni, presto si avvicina al rap,</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >nuovo genere musicale, venuto alla luce da pochi anni e già diffusissimo tra i giovani Newyorkesi. Dobbiamo però dire che il padre di Pete era già DJ e collezionista di dischi, e che spesso in tenera età lo accompagnava alle serate nel Wembeley club, nel BX.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >La prima esperienza nella scena rap lo vede affiancarsi a un altro storico DJ e producer, Mr Marley Marl nello show “In control with Marley Marl” e proprio durante questo debutto, viene notato dal grande pubblico per la sua abilità di Disk Jokey, e trova la spinta per cominciare a produrre la sua musica.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >L’esordio commerciale avviene nel ’91 con l’EP “All Souled Out” in cui sfoggia le sue prime competenze da rapper e produttore, insieme allo storico partner Cl Smooth. Questo lavoro include perle come “The Creator” dancefloor hit apprezzata ancora oggi dai Bboy di tutto il mondo.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Nonostante ciò l’album riscuote un minore successo e viene apprezzato solo da un audience di nicchia.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >La celebrità, quella vera, viene un anno più tardi, nel ’92, con il doppio LP</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >“Mecca and the Soul Brother”. Pietra miliare del Rap, che include incredibili joints, successi da Billboards Chart come "They Reminisce Over You T.R.O.Y." tra l’altro campionata dal famoso pezzo di Tom Scott “Today”, dedicata all’amico Troy fatalmente scomparso.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Nel ’94 Pete, sempre in coppia con CL, sforna un altro incredibile LP “The Main Ingredient” noto per altrettanto grandi produzioni come “Carmel City” , “I get Physical” , “Take you there”, “I got a Love” e “Searching”, quest’ultima campionata dall’omonimo pezzo di Roy Ayers con cui, ironia della sorte, collaborerà parecchi anni dopo al progetto “ Roy Ayers, Pete Rock and the Robert Glasper Experiment”.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Incredibilmente, all’apice del successo, il duo decide di separarsi, P.R. è ormai un musicista maturo ed esige indipendenza artistica.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Il 98 è l’anno del solo debut con “Soul Survivor”, uno dei suoi lavori più celebri,un LP da 5 stelle, se consideriamo le collaborazioni incluse (Method Man, Ghostface, Raekwon, Large Pro, Big Pun,ecc.) e il peso delle basi prodotte dal suo SP1200.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Nel 2001, sulla scia di “Welcome to Detroit” di Dilla, P.R. pubblica un altro lavoro, quasi tutto strumentale,”Petestrumentals” in cui i digger più esperti</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >possono riconoscere campioni ricercatissimi come Placebo, Dorothy Ashby, Dexter Wansel, che vengono scomposti dal suo incredibile genio e rielaborati per mezzo del fedelissimo campionatore MPC2000XL.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Altro validissimo progetto in cui P.R. non è il solo protagonista è INI, crew composta tra l’altro da Grap Luva (suo fratello) e Rob-O, con cui rilascia il singolo “Fakin Jax” (una bomba!). A metà dei ’90 INI ha inciso anche un LP, ricercato bootleg (non ufficiale) fino al 2003, anno in cui la Elektra decide di pubblicare tutti i lavori ancora inediti di P.R., un super doppio LP “Lost & Found: Underground Soul Classics”.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Ma torniamo alla carriera solista di Pete. Il 2004 è la volta di “Soul Survivor II”, ennesima stupefacente creazione del producer Newyorkese, che comprende al suo interno numerose partecipazioni di alcuni tra i maggiori esponenti della scena rap, quali Pharoae Monch, RZA, GZA, Dilla, Talib Kweli e lo stesso CL Smooth. Nota particolare di questo album è la sua copertina, un primo piano di P.R., tra luce ed ombra, che ricorda molto la copertina del celebre album di Miles Davis “Tutu”. Stesso richiamo evidentissimo, lo troviamo nel suo lavoro del 2008 “NY’s finest” la cui copertina si ispira palesemente all’album “Hell” di James Brown. LP anch’esso ricco di feats pesanti (Redman, Masta Killa,Papoose, Slum Village…).</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Noto anche per i suoi inconfondibili remix, dico inconfondibili perché da sua grande ascoltatrice, dico che è impossibile confondere il suo stile sia nel produrre beats che remix, con quello di un altro. Un po’ come succede per i beats di Premier, per intenderci. Compone basi come “Down with the King” per i RUN-DMC in cui rappa anche nell’ultima strofa, e remix tanto noti quanto l’originale, come “Can’t stop the Prophet” di Jeru the Damaja, e “Shut Em Down” dei Public Enemy…quando il remix è addirittura superiore!</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >P.R. campiona tutto da vinile ed è per questo che il sound dei suoi dischi ha sempre quel sapore di old school. Anche nei lavori più attuali. Basti pensare al recentissimo “Monumental” del 2011, LP prodotto insieme al duo Smiff n Wessun, in cui P.R. rende giustizia alla Golden Age del Rap, portando un’ondata di fresca consapevolezza sulla scena, che affonda tutte le produzioni di plastica del post 2000.</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >PETE ROCK…SOUL BROTHER NR 1…NO DOUBT!</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span >Michela “Cini” Labarile</span></div><div><span ><br /></span></div><div><span ><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/FiOcVWQY2bc?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/FiOcVWQY2bc?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></span></div><div><span ><br /></span></div><div><span ><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/btMduRbpjiE?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/btMduRbpjiE?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></span></div><div><span ><br /></span></div><div><span ><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/5GC8MA0-PuU?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/5GC8MA0-PuU?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></span></div><div><span ><br /></span></div><div><span ><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/xy0z8OZ00Iw?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/xy0z8OZ00Iw?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></span></div>Black Vibrationshttp://www.blogger.com/profile/16931096683119816693noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-10280410211562557692012-03-03T20:18:00.002+01:002012-03-12T18:06:03.388+01:00BILL EVANS<div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><a href="http://3.bp.blogspot.com/-d5cUVkmhaJk/T1JujZSBNGI/AAAAAAAAADM/fv_9dPjr9cA/s1600/Bill_Evans.jpg" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;"><span style="color:black;"><img border="0" height="320" src="http://3.bp.blogspot.com/-d5cUVkmhaJk/T1JujZSBNGI/AAAAAAAAADM/fv_9dPjr9cA/s320/Bill_Evans.jpg" width="284" /></span></a></div><br /><br /><div style="text-align: center;"><i>«…Along with Bassist wunderkind Scott LaFaro and drummer Paul Motian, Evans perfected his democratic vision of trio cooperation, where all members performed with perfect empathy and telepathy…» </i></div><div style="text-align: center;"><i><br /></i></div><div style="text-align: center;"><i>Samuel Chell – All About Jazz </i></div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: center;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Quella che sto per raccontarvi è una storia di jazz… come spesso accade molti jazzisti (almeno negli anni passati) vivevano delle vite difficili, segnate da problemi famigliari, uso di stupefacenti e perdite importanti. Uno di questi è William John "Bill" Evans. Un uomo introverso, timido, silenzioso, poco adatto al duro e crudele mondo del business discografico. Ma allo stesso tempo uno di quegli artisti che hanno rivoluzionato (letteralmente) il panorama jazzistico degli anni 60-70. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Fin da bambino Bill Evans è stato a contatto con la musica. A sei anni imparò a suonare il violino e in seguito il flauto e, seguendo le lezioni del fratello Harry che invece suonava il piano, iniziò, quasi per gioco, a riprodurre tutte quelle sonorità, quei virtuosismi che aveva sperimentato con altri strumenti. E iniziò a farlo in modo divino con un dinamismo e una delicatezza unica che lo accompagnarono poi per tutta la sua carriera. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La sua attività inizia nei primi anni 50 quando partecipa a diverse jam e serate con vari<i> “bopers”</i>. Si interruppe poi nel triennio 51-54 per via degli obblighi militari. Nel 1956 incontra il pianista George Russell e di lì a poco sarebbe uscito il suo primo lavoro ufficiale <i>“New Jazz Conceptions”</i>. Un titolo che spiega già quello che è l’album e ciò che ne seguirà. Bill è uno di quelli che lascerà il segno e la sua concezione del jazz diventerà nel corso degli anni sempre più un riferimento per tutti i pianisti del mondo. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Nel 1959 arriva la consacrazione assoluta. Il 2 Marzo 1959 viene convocato alla corte di Miles Davis per <i>“la stesura della Bibbia del Jazz”</i> ovvero <i>“Kind Of Blue”</i>; uno degli album più importanti nella storia della musica, non solo jazz. Unico bianco a partecipare all’album oltre a Jimmy Cobb, quasi senza accorgersene Evans si trovò al fianco di colossi come Miles Davis, John Coltrane e Julian ”Cannonball” Adderley. Ed era tra loro quando Miles per la prima volta gli consegnò gli spartiti, mai visti e provati prima e si iniziò a suonare, dando sfogo al proprio estro nel modo più totale. Ne venne fuori quell’opera monumentale, intoccabile e divina che è <i>“Kind Of Blue”</i> incisa da un gruppo che non poté più replicare con altri lavori visti i dissidi di troppe menti geniali che volevano sopraffare sulle altre. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ma il nostro impressionista degli 88 tasti prevale per certi versi sugli altri regalandoci una nuova concezione del piano jazz: l'approccio <i>“modale”</i>. Stimolato dall’ambiente e dalla fiducia del <i>“Sommo Saggio”</i>, Bill iniziò una sorta di rivoluzione nel pianismo jazz introducendo nell'armonia, fino ad allora tonale; astrazioni tonali e modalizzazioni, impressionismi tipici di un pianismo classico che rimandano ai suoi studi di Debussy e Ravel, decontestualizzati dalla loro propria sede e reinseriti in un contesto nuovo. </div><div style="text-align: justify;">Quell’album avrebbe cambiato la vita e la carriera di Bill Evans per sempre, ma nello stesso periodo iniziò a fare uso di stupefacenti, così come l’intera band di Miles Davis, per avere una mente libera da ogni razionale vincolo artistico. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Tra il 1956 e il 1961 pubblica ben 7 album tra cui<i> “Portrait In Jazz”</i> del 1959 e <i>“Explorations”</i> del 61. Album ben lontani dai residui suoni bop presenti nel suo primo lavoro.<i> “Explorations”</i> è una gemma. Inciso con Paul Motian al contrabbasso e Scott LaFaro alle percussioni, a formare il famoso<i> “trio”</i>, questo è uno di quei dischi che aprono la mente a una nuova dimensione. Raffinatezza e perfezione quasi assoluta, questo è ciò che mi viene da pensare ascoltando pezzi come Isreal, con Paul Motian alla batteria che ci dà quasi l’impressione di ascoltare un pezzo swing ma che accompagna dolcemente il piano di Bill, oppure la drammatica e stucchevole bellezza di pezzi come Haunted Heart. Un album dalle sonorità a volte contrastanti, si passa da suoni fragili e cristallini a frizzanti composizioni di piano, il tutto accompagnato dalla <i>“delicata esuberanza” </i>del contrabbasso di Scott LaFaro. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il magico incantesimo avvenne domenica 25 giugno 1961 quando il Bill Evans Trio si esibì al Village Vanguard di New York. Il materiale registrato diede vita a due album, l’uno imprescindibile dall’altro, ovvero <i>“Sunday at the Village Vanguard”</i> e <i>“Waltz for Debby”</i> che è considerato il capolavoro assoluto di Bill Evans. Un album incantevole sotto ogni punto di vista. Sonorità pure di una raffinatezza e uno stile unico. Un’esibizione che rasenta la perfezione assoluta tanta era la sinergia del Trio in quella particolare serata. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Superfluo sarebbe parlarvi della tracklist vista l’immensità di questo capolavoro. Si inizia con deliziosi brani come <i>My Foolish Heart</i> passando per <i>Waltz for Debby</i> dedicata alla nipotina Debby Evans. Brano, quest’ultimo, ripreso nel corso degli anni da gente come Oscar Peterson, John McLaughlin, Al Jarreau e molti altri. Ma il trio sfoggia il meglio del proprio repertorio con <i>My Romance</i>: introduzione del piano di Evans e poi via con le delicate pennellate di Motian e le eleganti pizzicate di basso di LaFaro. Un pezzo profondo che segna secondo chi vi scrive il momento più alto in una serata, quella lì a New York, che sa tanto di storia del jazz. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">L’entusiasmo per quella magica serata, però, venne subito smorzato, dieci giorni dopo, dalla tragica morte dell’<i>”anarchico”</i> (musicalmente parlando) del gruppo ovvero Scott LaFaro, in un incidente stradale. Il destino volle che quell’incantevole serata a New York fosse anche l’ultima del leggendario Trio. </div><div style="text-align: justify;">Ultima serata del trio e vita di Bill Evans segnata per sempre. Estremamente debole nell’animo, disperato, riprende a drogarsi per evadere dal mondo reale che gli ha portato via uno dei suoi amici più cari. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ma nonostante il suo dolore, la sua produzione discografica non si ferma. Evans continua a sfornare una perla dopo l’altra come <i>“Moon Beams”</i> e <i>“Interplay”</i> nel 1962 oppure “Conversation With Myself” che gli valse un grammy award nel 1963. Interessantissimo il progetto di quest’album <i>“solo”</i> unico nel suo genere, che diventa un classico dopo il primo ascolto. Profondo, introspettivo, di una raffinatezza unica, quest’album ci parla di Bill in tutta la sua grandezza. Classe sopraffina e qualità che solo un orecchio addestrato coglie facilmente, la complessità del vocabolario musicale utilizzato è tale che non ci si rende conto che a suonare c’è un solo uomo. Imperdibile! </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Degno di nota è sicuramente <i>“Time Remembered”</i>, registrato dal vivo sempre nel 63. Scorrendo la track list di quest’album troviamo pezzi come <i>Who Cares?</i> scritto da George Gershwin, <i>In a Sentimental Mood</i> di Duke Ellington oppure <i>In Your Own Sweet Way</i> di Dave Brubeck. Brani famosi che Bill Evans riadatta, modella e plasma con la delicatezza e la maestria di un soffiatore di vetro di Murano! </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Dopo l’ultima esibizione nella Grande Mela del 61, il Trio di Bill Evans non ebbe più una formazione stabile. Si alternarono a suonare con lui Paul Motian, Gary Peacock, Chuck Israels, Larry Bunker, Eddie Gomez, Marty Morell, Philly Joe Jones e molti altri. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Altra spettacolare performance Bill la regalò nel 1968 al Montreux Jazz Festival in trio con Eddie Gomez e Jack DeJohnette che valse il premio come Best Jazz Instrumental Album of The Year nel 1969. </div><div style="text-align: justify;">Al 1964 risale invece la prima collaborazione con Stan Getz che portò all’album <i>“Stan Getz & Bill Evans”</i> rilasciato però solo nel 1970, analogamente la stessa coppia nel 1974 registrò <i>“But Beautiful”</i> accompagnati da Eddie Gomez al basso e Marty Morell alla batteria, ma l’album verrà rilasciato solo nel 1996. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><i style="font-style: italic;">“But Beautiful”</i> è secondo Me un grandissimo lavoro, non so perché sottovalutato dalla critica. Un album live nel quale due geni dell’epoca dialogano in modo sorprendente, quasi suonassero insieme da chissà quanti anni. Tutta l’arroganza artistica di Stan Getz e la regia impeccabile di Bill Evans in una performance unica per chi ha avuto l’onore di esserci quella sera a Laren, in Olanda e a seguire poi, il 16 agosto, giorno del 44esimo compleanno di Bill, ad Antwerp,in Belgio. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Dopo <i>“But Beautiful”</i> inizia per Bill Evans un periodo decisamente più triste. Aveva già perso la sua seconda compagna Elaine nel 1971, morta suicida in una metropolitana di New York dopo aver appreso la sua intenzione di voler divorziare da lei, in seguito perse suo padre che aveva problemi di dipendenza dall’alcol. È del 1977 infatti <i>“You Must Believe in Spring”</i>, un album di drammatica bellezza e profonda introspezione. Album che tratta il tema della morte, ripreso in quasi tutte le tracce, caratterizzato però da molte contraddizioni. La prima la troviamo in copertina, nella quale vengono raffigurati alberi spogli avvolti dalla nebbia in un clima tipicamente autunnale, in contrasto con il titolo dell’album. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Ascoltandolo, nella vostra mente apparirà una fredda giornata autunnale di pioggia. Voi in casa, al caldo, dietro la finestra ad osservare il mondo tra i mille pensieri che passano per la vostra mente. Accompagnati magari da un cognac e un camino acceso. In sottofondo le note di questo disco vi scalderanno l’anima. Tanta malinconia che inizia però con un <i>B Minor Waltz (For Ellaine)</i>, un Valzer in Si Minore, che ci riporta invece in un romanzo ottocentesco tanta è la fragranza e l’originalità di questo arrangiamento. Questo spiazza ancora di ascolta anche perché a seguire si torna allo stile malinconico “evansiano” tipico. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><i><div style="text-align: justify;"><i>We Will Meet Again</i>, dedicata al fratello Harry che pochi anni dopo morirà e altri pezzi come <i>The Peacocks</i>, <i>Sometimes Ago e Suicide Is Painless</i>, tratta dallo show tv <i>“M*A*S*H”</i>; completano quello che è uno dei migliori album di Bill Evans. Album che però sarà pubblicato solo nel 1980 e sarà uno degli album postumi. </div></i><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Il nostro impressionista jazz, infatti, morirà pochi anni dopo, nel 1980 distrutto dalla droga e dal dolore per il fratello Harry, morto l’anno prima. E in questo modo, paradossalmente, le ombre che avvolgono <i>“You Must Believe in Spring”</i> hanno un preciso ed ulteriore significato. Quest’album assume le sembianze di un testamento, malinconico e intimo, profondo e personale. Il testamento di uno dei migliori musicisti di tutti i tempi </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">La carriera e la vita di Bill Evans sono stati sempre caratterizzati da eventi negativi, che ne hanno segnato irreparabilmente le sorti. Resta però il genio di un musicista che fin da bambino ha dedicato la sua vita allo studio e alla ricerca della perfezione musicale. A Bill è toccato il compito di continuare quella rivoluzione jazz che iniziarono John Coltrane ed Elvin Jones e ci è riuscito al meglio grazie al suo soprannaturale talento nell’ improvvisazione mai fuori luogo. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Bill aveva già scritto dentro di sé ciò che poi esprimeva in musica e grazie alle sue conoscenze di musica classica lo faceva in un modo che nessun altro prima di lui avrebbe potuto immaginare. Molti lo hanno paragonato a Debussy per le delicate e indimenticabili sensazioni che regalava e molti altri grandi pianisti dei nostri tempi si sono ispirati a lui, uno su tutti Michel Petrucciani, ma anche Keith Jarret, Herbie Hancock o Chick Corea. </div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;">Vorrei concludere la mia storia con un pensiero dello stesso Bill Evans, tratte dalle note originali del 1959, scritte sul LP di Kind Of Blue. </div><br /><br /><div style="text-align: center;"><i>Improvisation in Jazz by Bill Evans: </i></div><div style="font-style: italic; text-align: center;"><br /></div><div style="font-style: italic; text-align: center;"><i>«There is a Japanese visual art in which the artist is forced to be spontaneous. He must paint on a thin stretched parchment with a special brush and black water paint in such a way that an unnatural or interrupted stroke will destroy the line or break through the parchment. Erasures or changes are impossible. These artists must practice a particular discipline, that of allowing the idea to express itself in communication with their hands in such a direct way that deliberation cannot interfere. </i></div><div style="font-style: italic; text-align: center;"><i>The resulting pictures lack the complex composition and textures of ordinary painting, but it is said that those who see will find something captured that escapes explanation. This conviction that direct deed is the most meaningful reflection, I believe, has prompted the evolution of the extremely severe and unique disciplines of the jazz or improvising musician. </i></div><div style="font-style: italic; text-align: center;"><i>Group improvisation is a further challenge. Aside from the weighty technical problem of collective coherent thinking, there is the very human, even social need for sympathy from all members to bend for the common result. This most difficult problem, I think, is beautifully met and solved on this recording. </i></div><div style="font-style: italic; text-align: center;"><i>As the painter needs his framework of parchment, the improvising musical group needs its framework in time…»</i></div><div style="font-style: italic; text-align: center;"><i><br /></i></div><div style="text-align: left;"><br /></div><div style="text-align: left;">Yayo</div><div style="text-align: left;"><br /></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><object width="320" height="266" class="BLOGGER-youtube-video" classid="clsid:D27CDB6E-AE6D-11cf-96B8-444553540000" codebase="http://download.macromedia.com/pub/shockwave/cabs/flash/swflash.cab#version=6,0,40,0" src="http://2.gvt0.com/vi/6Q-uuxX7X24/0.jpg"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/6Q-uuxX7X24&fs=1&source=uds"><param name="bgcolor" value="#FFFFFF"><embed width="320" height="266" src="http://www.youtube.com/v/6Q-uuxX7X24&fs=1&source=uds" type="application/x-shockwave-flash"></embed></object></div><div class="separator" style="clear: both; text-align: center;"><object width="320" height="266" class="BLOGGER-youtube-video" classid="clsid:D27CDB6E-AE6D-11cf-96B8-444553540000" codebase="http://download.macromedia.com/pub/shockwave/cabs/flash/swflash.cab#version=6,0,40,0" src="http://0.gvt0.com/vi/cPDjojyKCBg/0.jpg"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/cPDjojyKCBg&fs=1&source=uds"><param name="bgcolor" value="#FFFFFF"><embed width="320" height="266" src="http://www.youtube.com/v/cPDjojyKCBg&fs=1&source=uds" type="application/x-shockwave-flash"></embed></object></div><div style="text-align: left;"><br /></div>Anonymousnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-71122408523598746992012-02-16T16:00:00.018+01:002012-03-03T09:50:38.192+01:00JOHN COLTRANE - A Love Supreme<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtx_ashdgDqCaPWMJP4m6UuxB0pVWj164I744YyXFkYyywauHPgYrBPbvyH-aFHtiA9aVSEk__VZ9nf1xDt55tfOag9aBRvgdLGhixAA_5oeDmcy8RLcT2Tlh-UZ2mqJ6ixpeRbx3psYc/s1600/Coltrane_john.jpg" style="font-family: Georgia, serif; font-size: 100%; font-style: normal; font-variant: normal; font-weight: normal; line-height: normal; "><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 289px; height: 338px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtx_ashdgDqCaPWMJP4m6UuxB0pVWj164I744YyXFkYyywauHPgYrBPbvyH-aFHtiA9aVSEk__VZ9nf1xDt55tfOag9aBRvgdLGhixAA_5oeDmcy8RLcT2Tlh-UZ2mqJ6ixpeRbx3psYc/s400/Coltrane_john.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5709750392394039698" /></a><br /><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Voglio raccontarvi una storia d’amore. Una storia durata diciotto anni di un amore che ha condizionato una vita... un amore nato da un sogno e ripresentatosi in un sogno e destinato ad esistere per sempre.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Volendo una storia di questo genere, si potrebbe raccontarla in due parole o si potrebbe descriverne i passaggi di pensieri e di emozioni che hanno condizionato la vita di chi l’ha vissuta. Volendo, si potrebbe lasciare il lettore libero di vivere il trasporto dei protagonisti immaginando di essere uno di loro. Oppure si potrebbe consigliare di lasciarsi trasportare dal groviglio di parole, immagini evocative e musica, dicendo al lettore che la storia che si sta raccontando è una storia di suoni e musica. Di solito queste storie in cui musica e immagini e azioni e vita si fondono sono le storie che piacciono a chi scrive.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Facciamo così, iniziamo con un colpo di GONG, giusto per attirare l’attenzione. Poi attacchiamo con una fanfara e lasciamo che la musica reciti la sua parte…</span></span><br /><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Coltrane era una persona mite, quasi silenziosa e timida. Una persona che nella vita ha avuto momenti di alti e bassi e un’unica immutata costante: la ricerca. In alcuni frangenti questa ricerca era finalizzata a se stessa, con Coltrane piegato in due su libri di filosofia e di matematica. In altri momenti si manifestava forte e luminosa donandogli energia da investire in altra ricerca. Ma alti e bassi, luce e buio restavano costanti.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Il mondo di Coltrane era misurato da passione e dedizione, da forza e coraggio e dalla necessità di risposte. Tutto nel suono del suo sax. Era lì che si svolgeva la ricerca. Era da lì che partivano le domande. Domande senza risposte che generavano altre domande.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Perché tutto questo? Perchè questa forma di autodistruzione?</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Droga e dolore. Morte di amici. Il sax venduto e ricomprato. I ritardi alle prove. La voglia di non suonare. La voglia di sprigionare note. Tutto si manifestava nel suo sax, in quello strumento lucido che sparava note nella notte. Un suono perfetto, una tecnica sopraffina capace di generare suoni che generano suoni, che si avvolgono su se stessi e rischiano di far crollare, per stanchezza, l’ascoltatore. Non era facile governare Coltrane in un ensable, in un combo. Non era facile stargli dietro nella vita.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Ci hanno provato in molti. Non c’è riuscito nessuno. Anzi, solo UNO.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Nel 1946, durante il servizio militare in marina, Coltrane ha una visione che non sa spiegarsi e che non riesce a raccontare. Ecco la sua ricerca: cos’era? Chi era? Perché a lui? Sino al 1957, anno in cui esce definitivamente dal tunnel della droga, nella sua vita c’è solo instabilità. Il 1957 - dirà Coltrane - è stato l’anno in cui tutto è cambiato. All’improvviso la sua musica ha iniziato ad avere un fine, la sua ricerca un indirizzo, le sue mani e le sue labbra, su tasti ed ance del sax, un motivo.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Nel periodo in cui il jazz si trasformava dal fragore scenico dei soli del be bop nella cura orchestrale del cool e dell’hard bop, la fiumana di note che il sax tenore di Coltrane produceva non piaceva. Dal 1957 in poi, invece, le cose cambiano e le tante note iniziano ad avere un senso. La musica cambia.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Iniziano i primi approcci al jazz modale e la ricerca di quella nota perfetta che si colloca nel punto di pausa tra due note. È una ricerca meditata, lieve, timida e definita, corroborata da letture, da viaggi, da passione e preghiere. Inizia a farsi strada la prima convinzione: la musica è lo strumento che pacifica il mondo. Il solo mezzo in grado di trasmettere e comunicare in modo univoco, ovunque, quello che accomuna popoli e culture.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Perché questa capacità della musica? Perché la musica è nata con l’uomo. La prima cosa che l’uomo ha fatto, inconsapevolmente, è stato produrre un suono. L’uomo e la musica nascono da DIO.</span></span><br /><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Con la Impulse! Coltrane ha un rapporto eccezionale. Registra e vive in sala di registrazione. In poco tempo diventa l’artista di punta, quello che indirizza le scelte della casa discografica, quello che attira altri musicisti. Ha carta bianca e piena libertà di entrare ed uscire dalla sala di registrazione e di trascorrerci tutto il tempo che vuole. In una seduta, mentre Ray Charles registra Jenius + Soul = Jazz i due grandi vengono a contatto: Coltrane chiede di usare la sala di registrazione occupata da Ray. L’esito fu che Ray lasciò la sala e non incise più nulla con la Impulse!</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">In realtà l’investimento della Impulse! con Coltrane fu diretto ad attirare quella fascia di popolazione studentesca, bianca e nera (la Corte Suprema aveva da pochi anni emesso al sentenza di abolizione della segregazione nelle scuole americane), coinvolta nelle passioni giovanili che andavano dal beat e alla tendenza al ritorno alle origini africane, che era affascinata dalla musica di Coltrane e da quanto fatto per Giant Steps (Atlantic 1959).</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Fu Africa Brass, il primo straordinario disco registrato da Coltrane per la Impulse! (1961). Il disco fu registrato in quintetto, con il sostegno di una big band per un totale di 21 musicisti, e gli arrangiamenti di Eric Dolphy e McCoy Tyner. Il brano di lancio fu Greensleeves, una ballata folk inglese su cui Coltrane inserì una serie di scale e note e variazioni tonali di 3 in 3, così come aveva fatto per My Favourite Things. Il concetto che si faceva largo e presa (anche se il disco non superò la soglia delle 30000 copie vendute) era quello sempre propugnato da Coltrane: la musica del mondo come momento di unione dei popoli. La musica del mondo che si esprime nell’inserimento di note e variazioni che, seppur di provenienza differente rispetto al territorio che ha prodotto il pezzo, non ne cambiano il significato arricchendolo, invece, e completandolo.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">La discografia completa è complessa da catalogare e descrivere. Coltrane viveva in sala di registrazione cercando quella nota che poteva far scaturire l’unione degli uomini ed essere il principio del ringraziamento a DIO.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Seguirono Impression (1961), Coltrane (1962), Ballads (1962) John Coltrane and Johnny Hartman (1963) Newport ’63 (1963), Crescent (1964) e molte registrazioni in live.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Nel frattempo, mentre cresceva la sua fama di grande compositore ed interprete, Coltrane continuava ricerche e studi. Pian piano l’immagine della visione che tanto l’aveva tormentato si schiariva sempre di più e ringraziava Dio per il talento che gli aveva dato. Il suo miglior ringraziamento era la sua stessa dedizione alla musica, alla sua missione.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">La tecnica continuava a migliorarsi e la sua abilità era avanti per i tempi. Le sue mani volavano sui tasti creando vortici di note che lasciavano l’ascoltatore sotto shock. Questa straordinaria abilità era un dono di DIO e doveva essere rispettato, migliorato, finalizzato a qualcosa di unico. Coltrane era arrivato a concepire la sua musica come un’estensione del proprio sentimento religioso, che tendeva sempre più verso una specie di religione universale.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Negli anni che erano passati da quella visione del 1946 non sempre il dono era stato rispettato anzi, i tempi erano trascorsi anche oltraggiando DIO durante il periodo che Coltrane trascorse drogandosi e vendendo arte per comprare droga.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Tutto gli fu chiaro nel 1964.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Alice Coltrane dice che nuovamente, sul finire di agosto di quell’anno, rivisse la stessa visione mistica del 1946 con una consapevolezza diversa.</span></span><br /><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Che cos’è A LOVE SUPREME? Una messa suonata. Un approccio con il divino come non c’era mai stato. Un passo per ringraziare DIO. Un modo per dire al mondo intero che la musica è lo strumento di DIO.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Ora, si può ringraziare Dio per l’amore che ci ha dato. Si può ringraziarlo per l’amore che si ha nei suoi confronti. Si può ringraziare un amore con un nomignolo – So What – o dedicargli tutto ciò che si ha.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Coltrane è cresciuto con un inferno dentro. Ha vissuto di preghiere e di musica. Ha creduto in DIO e l’ha cercato ovunque sino a ritrovarlo in ciò che aveva da sempre: il suo talento, la sua musica.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Nella sua visione di DIO, Coltrane vede una forza che tutto governa e tutto comanda. La forza che gli ha donato il talento e che gli ha fatto provare il dolore degli anni bui e la gioia e la luce degli anni belli.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Come fare per ringraziarlo?</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Con un disco. Uno dei dischi più importanti della storia della musica.</span></span><br /><br /><span ><span style="font-size: 100%;">A LOVE SUPREME, inizia con un suono di GONG, per attirare l’attenzione.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Poi una fanfara, breve, suonata dal sax di Coltrane. Serve ad anticipare il messaggio che segue, una sorta di richiamo alla preghiera, alla recitazione verso DIO. Provate a cantare A LOVE SUPREME, a ripetere più e più volte quelle parole. Provate, vi accorgerete di seguire il basso di Garrison che ripete sillaba per sillaba A LO VE SU PRE ME. Le sillabe, le note ripetute dal basso costituiscono una frase di base del blues a cui segue il sottofondo dei tamburi e piatti ed il piano. Poi Coltrane entra nuovamente e cambiano le scene. La frase ripetuta è più complessa, entrano nuove note, nuovi accordi quasi in una cadenza casuale di tasti. Poi la voce di Coltrane che per 19 volte recita “A love supreme… a love supreme…”</span></span><br /><br /><span ><span style="font-size: 100%;">La sequenza di registrazione può essere considerata una delle più importanti della storia della musica.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Acknoledgement, Resolution, Pursance e Psalm, le quattro parti che compongono il disco, sono universalmente indicate come un cantico religioso, un halleluja suonato a più voci, che ringraziano per tutto l’amore supremo che gli è stato donato.</span></span><br /><br /><span ><span style="font-size: 100%;">La realtà è indubbiamente quella.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Coltrane ringraziò DIO per tutto l’amore che gli era stato donato.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Bob Thiele, il produttore, affermò che Coltrane era entrato in sala di registrazione con solo dei bozzetti su cui, poi, si sarebbero sviluppati i temi con l’ausilio dell’improvvisazione. Il modo migliore per essere più vicini a DIO è lasciare che DIO esprima la sua musica. In questo modo il musicista è uno strumento ed i suoni diventano la voce di DIO.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Così fu.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">A Love Supreme contiene pochi spunti melodici, tutti lasciati all'ostinata ripetizione della frase portante. Pochissimi spunti in cui i musicisti che interpretano la musica del mondo sono uniti nell’amore e nella dedizione a DIO. E’ il segnale dell’unità degli uomini nell’amore di DIO. Nel disco si trovano elementi base di musica globale, suoni e ritmiche e strutture di varia provenienza. L'ascolto, seppur colto ed attento, non riesce ad individuare l'area geografica di provenienza. Ci sono i suoni e la musica del mondo ed i concetti chiave delle forme di preghiera di tutte le religioni del mondo e ogni cosa si unisce nel canto di preghiera verso l'UNO, unico vero DIO che tutto governa e può. </span></span><br /><br /><span ><span style="font-size: 100%;">A Love Supreme è considerato tra le più importanti incisioni di tutti i tempi.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Il manoscritto originale del disco è custodito come patrimonio della storia culturale americana allo Smithsonian Institute.</span></span><br /><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Musicisti, critici, scrittori, tutti hanno riconosciuto l’importanza quasi sovrumana e trascendentale dell’album. Un album in cui c’è l’amore di DIO e verso DIO riconosciuto e vissuto attraverso la sofferenza, la gioia, la ritualità, la follia ed il terrore.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">L’impatto dell’album è stato così grande che a San Francisco è sorta una chiesa dedicata al musicista, la St. John William Coltrane African Orthodox Church, dove le funzioni vengono basate su a Love Supreme e Coltrane è venerato come un santo.</span></span><br /><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Ora due parole che mi riguardano.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Finisce qui la mia storia di John Coltrane. Finisce qui perché ogni altra cosa detta non servirebbe a dimostrare la mia personale passione verso questo grandissimo musicista e non riuscirebbe a spiegare altro della sua vita. Il mio desiderio è che la vostra curiosità non termini qui ma possa andare oltre e portarvi a cercare quelle notizie che non sono stato in grado di darvi.</span></span><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Fate una cosa. Mentre le parole scivolano via verso la comprensione o l’oblio dedicatevi un attimo ed in assoluto silenzio ascoltate la musica di Coltrane immergendovi nelle sue note.</span></span><br /><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Buona musica.</span></span><br /><br /><span ><span style="font-size: 100%;">Vincenzo Altini</span></span><br /><br /><br /><span ><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/fth9UUa1Mfw?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/fth9UUa1Mfw?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></span><br /><br /><span ><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/RtcltPjuTkM?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/RtcltPjuTkM?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></span>Unknownnoreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-73539001884068776832012-01-16T18:48:00.000+01:002012-01-16T18:49:08.530+01:00MARVA WHITNEY<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxyMcjCrnVY-dabaUjt_CcI4gBK-Mb_932rv48cozugIZvel40_BvgyaoRcatfjHhSENT-LiB5-RvfCHIyWagSu5gAM6h2guQ-bAbuFPLLc8YH4yPTwPYQkjWK94fJAvQ7NliTpoCVQtNg/s1600/marva-whitney.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 228px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgxyMcjCrnVY-dabaUjt_CcI4gBK-Mb_932rv48cozugIZvel40_BvgyaoRcatfjHhSENT-LiB5-RvfCHIyWagSu5gAM6h2guQ-bAbuFPLLc8YH4yPTwPYQkjWK94fJAvQ7NliTpoCVQtNg/s400/marva-whitney.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5698287669961152818" /></a><br /><div>"E' la mia cosa" cantava Marva, e sicuramente lo era perchè far parte della James Brown Revue non era semplice. Si sapeva quanto fosse esigente Mr. Dynamite con la sua band. Ci rimase però per soli 3 anni, giusto il tempo di accompagnare il padrino del Soul in alcuni tour importantissimi e di pubblicare 2 dischi sulla "sua" etichetta, di cui uno live e l'altro in studio. Inutile dirvi che quest'ultimo è diventato un disco cult.</div><div><br /></div><div>Marva Ann Manning nacque il 1° Maggio del 1944 a Kansas City, ed iniziò ben presto ad avvicinarsi alla musica, anche perchè la sua famiglia era praticamente un gruppo gospel: i Manning Gospel Singers, di cui lei naturalmente faceva parte e dove suonava il tamburino e cantava.</div><div>Studiò musica anche al college e agli inizi degli anni 60 entrò a far parte di un altro gruppo: The Alma Whitney Singers, e a soli 16 anni sposò Harry Whitney, dal quale prese il cognome.</div><div>In quel periodo comincio a cantare R&B e blues e questo creò non pochi problemi con la sua famiglia religiosa, e il suo matrimonio non durò poi così tanto.</div><div><br /></div><div>Marva Whitney, nonostante tutto, continuava a cantare nei locali notturni a Kansas City ed entrò a far parte di un altro gruppo locale: Tommy & the Derbys. Questo gli permise di aprire i concerti di grandi artisti come Johnny Guitar Watson, The Drifters, Dionne Warwick...</div><div>Nel 1966 stava per arrivare James Brown con la sua band, e il manager di Marva organizzò un incontro per un provino, ma non fu possibile per quell'anno. L'anno successivo l'agente di Marva ci riprovò e, benchè Marva non fosse così entusiasta di entrare a far parte della James Brown Revue, visti i passati litigi con la famiglia, salì comunque sul palco per il provino. JB e l'allora band leader "Pee Wee" Ellis rimasero impressionati dalla voce sua voce potente, e subito l'accolsero nella band. Fu così che nacque "Soul Sister #1".</div><div><br /></div><div>Marva accompagnò James Brown tra il '67-'68 in alcuni dei suoi più importanti tours come quello in Vietnam, durante la guerra, quello in Europa e l'indimenticabile tour in Sud Africa.</div><div><br /></div><div>Non tardarono ad arrivare anche i primi singoli su 45 giri pubblicati per la King Records, tra cui <i>Unwind Yourself / If You Love Me, </i>e <i>Your Love Was Good For me / What Do I Have To Do To Prove My Love To You. </i></div><div>Come su detto, non era semplice lavorare con JB. Pretendeva il massimo da tutti, sia musicalmente sia come presenza scenica. E anche Marva dovette sudare per soddisfare le esigenze di Godfather of Soul. Il risultato però fu il singolo per il quale ancora oggi Marva riecheggia nell'olimpo del funk: <i>"It's My Thing"</i> che arrivò nella top 20 dell'allora classifica R&B.</div><div><br /></div><div>La conseguenza di quel successo fu la pubblicazione dell'LP "It's My Thing" nel 1969, sempre per la King Records, che conteneva alcuni dei singoli usciti in precedenza come <i>I'm Tired, I'm Tired, I'm Tired </i>e <i>If You Love Me </i>ed altri, e pezzi (oggi campionatissimi) come <i>Things Got To Get Better (Get Together). </i>Funk all'ennesima potenza. Uno dei dischi più ricercati dai collezionisti.</div><div>Nello stesso anno venne pubblicato anche "Live And Lowdown At The Apollo", una delle migliori performance live di Soul Sister #1.</div><div><br /></div><div>Nel 1970 dopo i suddetti lavori e giri per il mondo con il padrino del soul, Marva lasciò la James Brown Revue e tornò in Kansas, ma non tralasciò la musica, tornò presto negli studi di registrazione e pubblicò per la T-Neck il singolo <i>Giving Up On Love.</i></div><div><i><br /></i></div><div>Dopo il divorzio con Harry Whitney, Marva sposò il capo della Forte Label per la quale, naturalmente, pubblicò svariati singoli tra cui <i>Daddy Don't Know About Sugar Bears </i>nel 1972.</div><div><br /></div><div>Da quel punto in poi la carriera discografica di Marva si bloccò, riusciva però a procurarsi svariate date in tutto il mondo, ma non in maniera costante.</div><div>Inutile dire che i campionamenti, specialmente in ambito hip hop, furono svariati. Questo manteneva i suoi lavori sempre ricercati, specialmente dai cultori del funk.</div><div>Forse è proprio per questo che nel 2006 fu "ingaggiata" dagli Osaka Monaurail, funk band giapponese con i quali pubblicò il disco "I Am What I Am", oltre a girare con loro nei vari concerti. </div><div>Dopo ben 37 anni da "It's My Thing".</div><div><br /></div><div>Bè, dalla sua voce potente si poteva intuire una certa tenacia. E il ritorno sulle scene, nonostante l'età, con una band dell'altra parte del mondo, fa capire che... </div><div>è ancora la sua cosa!</div><div><br /></div><div>Dj Danko</div><div><br /></div><div><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/LDie0tv6DAg?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/LDie0tv6DAg?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></div><div><br /></div><div><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/eDPmsKWiO3E?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/eDPmsKWiO3E?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></div><div><br /></div><div><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/XSyVdMve_tk?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/XSyVdMve_tk?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></div><div><br /></div>Cloud Dankohttp://www.blogger.com/profile/10915042894150122937noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-4188053532143438982011-12-21T13:42:00.005+01:002011-12-22T09:13:16.026+01:00DEMON FUZZ<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgIeDlpPFt1KHLJ52NH4JWh_Y_N-gpohxtP14hlzBiY6t92zyJU4Ntd83RXv5HFwt0qs_1btls6M0kmjhnZxpAZyVqcjjZRwasfMENQJvZ-ZADeu-izkZ_E4V8P5DjhuJdAn6MmgldXFuY/s1600/demon-fuzz12.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 379px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgIeDlpPFt1KHLJ52NH4JWh_Y_N-gpohxtP14hlzBiY6t92zyJU4Ntd83RXv5HFwt0qs_1btls6M0kmjhnZxpAZyVqcjjZRwasfMENQJvZ-ZADeu-izkZ_E4V8P5DjhuJdAn6MmgldXFuY/s400/demon-fuzz12.jpg" border="0" alt=""id="BLOGGER_PHOTO_ID_5688563116036642898" /></a><br /><br />“We are different. Totally different.”<br /><br />La storia che sto per raccontarvi si colloca il quel periodo fecondo della scena inglese di fine anni ’60 dove ska, pop e psichedelia sono i padroni incontrastati dei club londinesi. In quel periodo gli Skatalities propongono uno ska festoso e stradaiolo e riscuotono un discreto successo di pubblico senza mai avere quel quid pluris che gli avrebbe aperto la strada del successo.<br />La scena inglese si presenta in pieno fermento socio/culturale, effetto dei cambiamenti verificatesi nella composizione della popolazione iniziati subito dopo la seconda guerra mondiale: il governo per ripopolare il paese dall’impoverimento di forza lavoro iniziò ad incentivare gli abitanti del Commonwelth a trasferirsi in Inghilterra.<br /><br />In questo contesto eterogeneo, gli anni vicini al ’68 videro Londra diventare “capitale” della rivoluzione culturale in atto in cui la globalizzazione iniziava ad affacciarsi ponendo al centro delle attenzioni gli aspetti tipici delle culture dei paesi periferici del disciolto Impero Britannico. L’effetto fu ben visibile sulle arti visive e nella musica in cui gli aspetti tribali, importati in Inghilterra, si mescolavano perfettamente con gli elementi della cultura britannica.<br />Lo ska suonato dagli Skatalities con ritmiche africane, è un esempio di ciò.<br />Gli Skatalities si erano formati grazie ad un annuncio pubblicato su NME, rivista musicale inglese, dai fratelli Raphael e “Sleepy” Jack Joseph, rispettivamente chitarra e basso, con l’intento di creare un gruppo per far ballare nelle balere inglesi frequentate dai Mod. All’annuncio risposero Paddy Corea, sassofono, e Ray Rhoden, tastiere, e, successivamente, il giamaicano Steve John, alla batteria. La band iniziò ad esibirsi con il nome The Blue Rivers and The Marrons dopo poco, tra club e strade, senza giungere a nulla nonostante un lp, Blue Beat In My Soul, registrato nello stesso studio di registrazione dei Rolling Stones.<br /><br />Il mancato successo portò i fratelli Joseph a inserire un altro annuncio su NME alla ricerca di altri musicisti per allargare la band. Si aggiunsero Ayinde Florain, percussioni, e Clarence Brooms Crosdale, trombone. L’ingresso dei nuovi musicisti e l’approccio verso nuove sonorità intrise di reggae, dalla differente battuta ritmica, condussero la band a mutare nome in Skatalities. Dal northen soul proposto nella prima fase si passò allo ska.<br />Ma la svolta vera e propria fu durante un viaggio che Paddy Corea fece in Marocco alla fine del 1968 dove sentì suonare bande tribali e strumenti ad ancia che non conosceva e che producevano un suono molto simile ai richiami dei muezzin per le celebrazioni musulmane e gli venne l’idea di provare a cambiare il registro sonoro degli Skatalities.<br /><br />L’idea piacque e alla band si aggiunse Smokey Adams, un cantante dalla voce molto r&b con influssi gospel, e durante le prove, dopo aver rifiutato un ingaggio per i Marrons allo Star Club di Amburgo, nacquero i DEMON FUZZ.<br /><br />Il nome è dovuto al sotterraneo di un negozio di dischi della West London. Il significato è un gioco di parole che rimanda l’immagine di Diavoli Bambini o Poliziotti Cattivi (distorti, dal termine fuzz) ma senza alcun riferimento a realtà del momento. Anzi, come dichiarato dallo stesso Corea durante una sua intervista alla BBC: “…eravamo troppo differenti e cercavamo di darci un nome che facesse sorridere ed incutesse rispetto per la nostra diversità. Allora ci venne in mente che stando nel sotterraneo eravamo dei demoni che dovevano venir fuori…”.<br />I DEMON FUZZ propongono un sound che è una miscela esplosiva condita di tribalismo africano, rock, psichedelia, soul e funk in cui Hendrix, Sly Stone, Funkadelic, Miles Davis e Ornet Cooleman si mescolano perfettamente. Nel periodo post sessantotto essere così differenti dal punto di vista sonoro era una garanzia di successo.<br />I Demon Fuzz vengono ingaggiati dalla Pye attraverso la Dawn per un disco che, purtroppo, resterà unico: AFREAKA.<br /><br />Diciamo subito una cosa che sgombera ogni dubbio e perplessità. Il titolo del disco non è un caso. È un omaggio a Lee Morgan ed al suo pezzo Afreaka! La scelta è semplicemente spiegata nella passione che Corea aveva per il trombettista americano e per la diversità dell’album che stavano registrando in cui inizivano a presentarsi gli influssi della cultura musicale africana.<br />Le tracce sono 5, una più bella dell’altra ed ognuna in grado di essere citata e descritta per pagine e pagine. <br /><br />Past Present and Future parte con un arpeggio, pieno di fuzz (distorsioni) che dopo poco entra in un ritmo swingante afro e poi, ancora una volta, cambia pelle per trasformarsi in un reggae boogie accattivante. Disillusioned è una ballata folk con richiami ai Temptations e al rock di natura progressive che iniziava a fare capolino. Another Country è una potentissima miscela afro beat e funk con tracce di psichedelica. Il funk torna poi prepotentemente su in Mercy, ultima traccia del lato B, la quinta.<br />Storiche ed incredibili sono anche le versioni, uscite su cd qualche anno fa ma già presenti come alternate take, di Fuzz Oriental Blues, strumentale, Message To A Mankind, e, in perfetta linea con Screamin’ Jay Hawkins, I Put Spell On You (la trovate in 45 giri..), dove le meravigliose qualità vocali di Smokey Adams vengono fuori.<br /><br />La copertina del disco è meravigliosa: un lottatore mascherato africano che guarda fiero oltre l’orizzonte indossando una maschera dal naso lungo e i colori bianco verde rosso e nero. Sul retro, Sempre il lottatore, di schiena, che mostra con fierezza una cicatrice.<br /><br />Ho lasciato per ultimo, la prima traccia del lato b del disco per avere un buon modo per chiudere il discorso sui Demon Fuzz. Se avete ancora dei dubbi ascoltate Hymn To Mother Earth ad occhi chiusi. Fate in modo che ogni singola nota, ogni variazione ritmica, ogni arpeggio, ogni respiro nelle ance ed ogni battuta entri in voi e vi guidi. Siete pronti? Ecco… sta per iniziare un viaggio nei cinque continenti. Immaginate di essere aria, di essere acqua, si essere odori e musica. Ecco, dopo l’intro c’è la batteria e la voce di Adams, poi la chitarra, la tastiera… poi il basso vi trascina da un’altra parte. Carovane, sguardi, montagne, deserti…<br />Ecco perché si è diversi. Ecco perché.<br /><br />Buona musica.<br /><br />Vincenzo Altini<br /><br /><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/p_KzEVBXRHg?version=3&hl=it_IT"></param><param name="allowFullScreen" value="true"></param><param name="allowscriptaccess" value="always"></param><embed src="http://www.youtube.com/v/p_KzEVBXRHg?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object><br /><br /><br /><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/i-MbwYYqhV4?version=3&hl=it_IT"></param><param name="allowFullScreen" value="true"></param><param name="allowscriptaccess" value="always"></param><embed src="http://www.youtube.com/v/i-MbwYYqhV4?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-23350342478076823722011-11-28T13:12:00.004+01:002011-11-28T13:29:19.763+01:00THE FUNK BROTHERS<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrKMQzBSmnEwZAyydvXfIK1O6-vuDFY6lmWcoSRYa5e8EzDh5b-pld1OXl8_oiNyACojTLIIxOvMyeJ43ndNlD-nx5vaAqB6hIQI7PtJ3E9-MGKi3AQJik9qD4kkRx5t522OlSyHwYhyEt/s1600/F.B.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 314px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjrKMQzBSmnEwZAyydvXfIK1O6-vuDFY6lmWcoSRYa5e8EzDh5b-pld1OXl8_oiNyACojTLIIxOvMyeJ43ndNlD-nx5vaAqB6hIQI7PtJ3E9-MGKi3AQJik9qD4kkRx5t522OlSyHwYhyEt/s400/F.B.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5680019056085617282" /></a><div><br /></div><div><br /></div><div>MOTOWN: STANDING IN THE LIGHT OF “THE FUNK BROTHERS”</div><div><br /></div><div>Una concreta Istituzione della musica Soul e fabbrica di inestimabili hits radiofoniche, che ad oggi continuano a risuonare nelle nostre casse, anche perché “exploitate” dai Dj più noti della scena Mainstream e non.</div><div>Sulle copertine dei dischi a marchio Motown possiamo discernere nomi di indiscutibili KINGS del soul, giusto per citarne qualcuno, Jackson 5, Sam Cooke, Marvin Gaye, Stevie Wonder…e la lista potrebbe andare avanti ancora per un bel po’!</div><div>Cari appassionati di Black Music, voi che leggete questo articolo sicuramente avrete già sentito questi nomi innumerevoli volte.</div><div><br /></div><div>La prima volta che ho ascoltato “What’s going on” ,celeberrimo LP di Marvin Gaye, sono rimasta in down per quelle melodie cosi perfette, dove ogni strumento risuona all’unisono con quella che è l’anima del compositore. Tale sensazione l’ho ritrovata in altre eccellenti composizioni come “Cloud Nine” ottimo LP dei The Temptations, o in alcune note soulful hits come “I was made to love her” di Stevie Wonder o "I Can't Help Myself (Sugar Pie Honey Bunch)" dei Four Tops.</div><div>Ascoltando gli arrangiamenti, ho potuto intuire un’impronta decisa, un filo conduttore, una sapienza innata nel miscelare melodie e pensieri dell’artista, plasmati in materia e incisi su solchi in vinile. È cosi che la mia ricerca è iniziata, ed è cosi che sono diventata fan dei FUNK BROTHERS.</div><div><br /></div><div>I ’60, sono stati anni fecondi per la scoperta artistica, in cui il jazz aveva spianato la strada della sperimentazione a diversi compositori. Detroit pullulava di giovani e talentuosi musicisti il cui background musicale variava dal blues, allo swing fino al riecheggiare di sfumature R&B. </div><div>E' nel contesto della Detroit di fine 50’s, per esattezza nel 1959, che nasce la band di Hitsville Motown. Collettivo di 13 membri, (presumibilmente - la formazione andrà in continuo variare), jazzisti ingaggiati per fare da spalla ai più noti artisti del patron Gordy. Un autentico ensamble di genii che prima di entrare a far parte della Motown family, si dilettava semplicemente facendo musica. La formazione primordiale dei F.B. vede come leader il pianista Joe Hunter (fondamentale per la composizione di successi come “Pride and Joy" e "Come Get These Memories) , il bassista James Jamerson (definito “l’uomo che ha creato il sound della motown”) e il dynamic drummer originario dell’Alabama, William "Benny" Benjamin. Più tardi il lead-band Hunter verrà sostituito dal talentuoso pianista, veterano del jazz, Earl Van Dyke che diventerà il nuovo leader, e rimpiazzato alle tastiere da Mr Jhonny Griffith. Oltre a questi si aggiungeranno a questa Big Band Richard "Pistol" Allen eccellente batterista funk-jazz, Paul Riser (trombone); i chitarristi Robert White, Eddie Willis e Joe Messina, Jack Ashford (tamburino, percussioni, vibrafono, marimba); e un incredibile Eddie "Bongo" Brown alle percussioni.</div><div>La lista dei musicisti inclusi nei Funk Brothers è davvero lunghissima.</div><div>Si dice che ogni musicista passato in Motown dal ’59 al ’72 sia stato un membro della band, ad esempio lo stesso Dennis Coffey, o Wah Wah Watson sono inclusi nella lista di componenti F.B. perché musicisti Motown dal ’68 al 72’, cosi come l’eccelso batterista soul Uriel Jones, noto per il funky sound caratterizzante entrambe le versioni di “Ain’t no mountain high enough”. Peculiarità del sound made in Motown è quel suono cosi popolare, folk ma allo stesso tempo raffinato, ricercato, intrinseco di basso assoluto, e di un saggio tocco percussionistico che riesce ad infiltrarsi a mò di virus nel sangue, e far muovere a tempo qualsiasi materia dotata di anima, dai primi anni 60 delle mielose Ballads, al funk incessante dei 70’s.</div><div><br /></div><div>Per quasi 13 lunghi anni, l’indiscutibile talento della band di Detroit ha trasformato uno scantinato, comprato come abitazione da Gordy, nel celebre “Studio A” anche detto “Snake Pit”, una prolifica industria, aperta 24 ore su 24 alla creatività dei musicisti Motown, che molto spesso in essa trascorrevano giornate intere a comporre, per una remunerazione di 10 $ a pezzo.</div><div>Di loro si dice che abbiano suonato più number one-hits dei The Beatles,Elvis Presley, The Rolling Stones, e The Beach Boys…messi insieme!</div><div>Giusto per far capire a chi non aveva mai sentito nominare i Funk Brothers prima, essi sono autori ed esecutori di successi come:</div><div>"My Girl" The Temptations, "Reach Out I'll Be There" The Four Tops, "You Can't Hurry Love" delle Supremes, "I Heard It Through the Grapevine" di Marvin Gaye, "The Tears of a Clown" di Smokey Robinson and the Miracles, "Midnight Train to Georgia" di Gladys Night and the Pips, "War" di Edwin Starr, della storica session di incisione di “What’s going on” di Marvin Gaye, e di 1000 (non si fa per dire) titoli ancora.</div><div><br /></div><div>Per molti anni i Funk Brothers sono rimasti “nell’ombra della Motown” tanto per citare il celebre libro pubblicato nel 1989 “Standing in the Shadows of Motown”, da cui trae spunto l’omonimo documentario del 2002, in cui si rende giustizia alle doti dei Funk Brothers e in particolare del leggendario bassista James Jamerson, scomparso prematuramente perché affetto da patologie derivanti dalla sua dipendenza dall’Alcol, che a giusto titolo è stato inserito solo più tardi nel 2000, nella Rock and Roll Hall of Fame e riconosciuto come uno dei bassisti più forti di tutti i tempi, a cui hanno reso omaggio illustri rappresentanti della musica, non solo Soul, come Paul McCartney, Pino Palladino, Marcus Miller, John Patitucci e altri ancora.</div><div>Come tutte le cose belle, anche la storia dei Funk Brothers ha una fine.</div><div>Nel 1973, vista l’incredibile mole di affari estesa a tutta l’America, Berry Gordy decide di trasferire il suo Headquarter a Los Angeles, e cosi anche lo storico “Snakepit” diventa inattivo.</div><div>La fabbrica di Hits più produttiva della storia della musica cessa la sua attività, e con essa anche le strade dei membri della band si dividono.</div><div><br /></div><div>Purtroppo in un solo articolo è facile omettere alcune importanti informazioni, Perciò incito chiunque sia interessato all’argomento, ad approfondire la ricerca e ad andare oltre ciò che si scorge a lettere cubitali su una copertina. È proprio all’ombra dei riflettori che ritroviamo storie come quella dei Funk Brothers…</div><div><br /></div><div><br /></div><div>…Don’t stop Diggin…come unica certezza!</div><div><br /></div><div>Michela “Cini” Labarile</div><div><br /></div><div><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/pCrs1LuyHGM?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/pCrs1LuyHGM?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></div><div><br /></div><div><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/o8-uZYcSZLk?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/o8-uZYcSZLk?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></div><div><br /></div><div><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/Y9KC7uhMY9s?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/Y9KC7uhMY9s?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></div>Black Vibrationshttp://www.blogger.com/profile/16931096683119816693noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-74519888848011536802011-11-07T11:33:00.013+01:002011-11-09T14:33:11.208+01:00THE GATURS<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqfrgQG2VbAU0ESZMDveUrur7x8kxP5UZSK31wpwWcK7JaZORnEn_AhbcEG2tpDtfnfb6WYJaooyb4XRO3MNlYTl9kMqdiFRDzBAQiPO4qugmTGEh1JR2GmeBZ_B46CSqIGYEhDdHcOGQ/s1600/the-gaturs.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 391px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqfrgQG2VbAU0ESZMDveUrur7x8kxP5UZSK31wpwWcK7JaZORnEn_AhbcEG2tpDtfnfb6WYJaooyb4XRO3MNlYTl9kMqdiFRDzBAQiPO4qugmTGEh1JR2GmeBZ_B46CSqIGYEhDdHcOGQ/s400/the-gaturs.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5672948788291594306" /></a><br /><div style="text-align: justify;"><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span lang="EN-US"><span class="Apple-style-span">The Gaturs and Willie Tee.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">La curiosità è una spinta che porta a scoperte piacevoli. E' il motore dell'incontro ed è l'anima della conoscenza.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">Per chi raccoglie musica - <i>colleziona dischi</i> - il diggin' è un attività importantissima ed esaltante in cui la curiosità ha un ruolo importante: in pochi minuti si passa dalla rassegnazione alla soddisfazione all'esaltazione. Il viaggio, in questa ridda di emozioni, passa attraverso il contatto tra le dita e le copertine di dischi passate in rivista. La rassegnazione è legata a quei momenti in cui lo scorrere, lento, inizia a farsi frettoloso nella ricerca di "qualcosa" che non si trova. La soddisfazione subentra nell'istante in cui il tocco sfiora il disco cercato, le mani lo sollevano e lo sguardo scende sui titoli, sulla formazione, sull'anno di stampa. L'esaltazione: si trova qualcosa che non si sperava o non si sapeva di trovare. Questo è il punto che qui c'interessa: la scoperta di una novità.<o:p></o:p></span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">Collezionare dischi è un'arte che va affrontata e studiata.<o:p></o:p></span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">Collezionare dischi è spingersi oltre quella base di conoscenza, nella musica e nell'arte, che tutti abbiamo.<o:p></o:p></span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">La curiosità è quel concetto intellettuale che porta a nuove scoperte, ad innamorarsi di nuove immagini, ad approfondire la scoperta casuale.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">L'arte del diggin' si svolge tra mercatini pieni di dischi impolverati e tra immagini sfornate da internet su siti musicali specializzati. Qui, però, molte volte, più della curiosità casuale svolge lavoro di spinta la ricerca diretta di quel disco del quale si conosce già qualcosa e il motore è la voglia di possesso.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">I Gaturs sono stati una scoperta piacevole. Lì ho trovati in una compilation dedicata al funk from New Orleans (zona di provenienza dei Meters, per intenderci) e questa scoperta mi ha spinto a cercare altre notizie. Mi aspettavo di trovare una produzione copiosa e interessante, visto che il pezzo inserito nella compilation - Yeah, You're Right - m'incuriosiva parecchio grazie al sound funk raffinato e, per alcuni versi, colto, dotato di spiccate radici jazz.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">Il mio curioso diggin' produce una semplicissima scoperta: dei Gaturs non ci sono molte notizie. La loro produzione è legata a pochissime tracce nate tra il 1970 – Cold Bear e The Booger Man – e il 1971 – Wasted e Gatur Bait– per la Gatur Records in formato 45 giri.<o:p></o:p></span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">Come spesso accadeva in situazioni simili, in quei tempi, la “casa discografica” altro non era che un tentativo di finanziamento di un gruppo che si autoproduceva un disco, un 45 giri, per poi metterlo in circolazione e crearsi l’occasione per il successo. La Gatur Records di Wilson Turbiton (il tastierista dei Gaturs), visto lo scarso successo commerciale, scomparve dalle scene e i diritti furono acquisiti dall’Atlantic Records e rimessi ad una sua controllata: la Atco Records che rimise in circolazione The Booger Man, in versione 7” nel 1971.<o:p></o:p></span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">Va detto che il 7” prodotto dalla Gatur Records gira, nel mercato collezionistico, a prezzi proibitivi: si arriva ad una quotazione oltre i 100 euro per Wasted.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">In piena epoca acid jazz, nel periodo di recupero delle sonorità degli artisti di fine anni 60' - '70, nel 1994, la newyorkese Funky Delicates ha stampato e commercializzato “Wasted: The Gaturs feat Willie Tee”, un disco che raccoglie i 45 giri prodotti dalla Gaturs Records. Wasted è una compilation nata da registrazioni di alto livello collezionistico. Oltre ai brani dei Gaturs troviamo pezzi a nome di Wilson Turbiton, tastierista della band, conosciuto, poi, come Willie Tee. Tutti pezzi in cui la formazione è la stessa dei Gaturs e in cui spicca l’uso della chitarra di Louis “Guitar June” Clark e della batteria – i pezzi sono conditi di sani break – di Leonard Paina. Funky Funky Twist è l’espressione di quanto detto: il brano parte con un break… subentra la chitarra sincopata… tastiere e voce. Inizia il funk. Si balla.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">La curiosità è soddisfatta.</span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">Buona musica.<o:p></o:p></span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><span class="Apple-style-span">Vincenzo Altini<o:p></o:p></span></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><o:p><span class="Apple-style-span"> </span></o:p></span></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span><o:p><span class="Apple-style-span"><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/F4Y615h9nKg?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/F4Y615h9nKg?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></span></o:p></span></p><p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><o:p><span class="Apple-style-span"><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/iE98jfPnVAQ?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/iE98jfPnVAQ?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></span></o:p></p> <p class="MsoNormal" style="margin-bottom: 0.0001pt; "><span style="font-size: 12pt; font-family: 'Times New Roman', serif; "><o:p> </o:p></span></p></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div><div style="text-align: justify;"><br /></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-426315084459587722011-10-23T16:36:00.002+02:002011-10-23T17:02:20.719+02:00JACKIE BROWN OST<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgVMGPK-NClGGSeJQZ5iaJneuMib27MU0e1vSLVV9fbzN83c_nK4MCdoKkOdqya1XL3a81JJsuifWqeOiTLqhJjMHd_8eQIKxCRAVKp5E1KxPL_ZpK0Sk5bcWIqu6wUOZu2TfDnY04jb80/s1600/jb.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 279px; height: 400px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjgVMGPK-NClGGSeJQZ5iaJneuMib27MU0e1vSLVV9fbzN83c_nK4MCdoKkOdqya1XL3a81JJsuifWqeOiTLqhJjMHd_8eQIKxCRAVKp5E1KxPL_ZpK0Sk5bcWIqu6wUOZu2TfDnY04jb80/s400/jb.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5666696818378350962" /></a><div><br /></div><div><span class="Apple-style-span" >Con un salto attraverso lo specchio del suo mondo visionario, Tarantino, insolito Bianconiglio, ci guida in un mondo dal tempo riavvolto: la Regina Nera, con le fattezze di una splendida Pam Grier, regna incontrastata su una terra dominata da corruzione, perversione e criminalità; attorno, personaggi che intrecciano storie così realistiche da favorire la condivisione di quella morale – non poi così corrotta – che spinge Jackie oltre i limiti.</span></div><div><span class="Apple-style-span" ><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span" >Blaxploitation docet, perché gli ingredienti ci sono tutti, e si fanno ben visibili: lo “sfruttamento del nero” (da cui il termine, unione di “black” ed “exploitation”) qui riproposto come omaggio ai classici del filone (i protagonisti – quelli tosti – sono neri, ma il bianco non è la “cancrena bianca” delle origini), storie di eccessi di violenza, tradimenti incalzanti, sesso (qui accennato) e musica, tanta musica; ma non una colonna sonora qualsiasi, no: qui ci sono quel funk e quel soul che un film à la blaxploitation ha il dovere di sfoggiare.</span></div><div><span class="Apple-style-span" ><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span" >Il passaggio a questo mondo di delirante egocentrismo e di genuino egoismo ci è allietato da una voce che, sola, vale più di mille altre: “Across 110th Street” di Bobby Womack suggerisce il giusto ritmo per iniziare il nostro viaggio ai confini del tempo. Voce calda ed appassionata perfetta per narrare la storia di uomini qualunque con la medesima sensibilità di artisti come Marvin Gaye e Curtis Mayfield. A contraltare, ecco apparire i The Meters che, con la loro “Cissy Strut” pervasa da roboanti linee di basso, si riconfermano tra i pionieri del funk, semmai un dubbio ci avesse sfiorati.</span></div><div><span class="Apple-style-span" ><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span" >C'è anche l'amore, quello che solo i Delfonics sanno raccontare: sapienti maestri di quel soul che a Philadelphia, negli anni '70, vide la luce dalla commistione di soavi melodie con arrangiamenti funk e sonorità jazz, e le cui note sottolineano il crescendo del sentimento tra i due protagonisti, così diversi tra loro, ma così vicini da apparire perfetti l'uno agli occhi all'altra.</span></div><div><span class="Apple-style-span" ><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span" >Indiscusso dominatore di questa colonna sonora divenuta tutt'uno con lo sviluppo della trama ed i suo intrecci è Roy Ayers, amato vibrafonista e stimato compositore il quale, con la maestria che lo contraddistingue, compone una perfetta didascalia ai momenti d'azione della pellicola servendosi delle note delle sue “Exotic Dance”, “Aragon” ed “Escape” (tutte tratte dal film “Coffy”, diretto da Jack Hill nel 1973).</span></div><div><span class="Apple-style-span" ><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span" >Dal canto suo Randy Crawford, inconfondibile ugola dei Crusaders, con “Street Life” provvede a scandire il tempo ed il senso dell'avventura che Jackie sta vivendo viaggiando, a bordo della sua macchina, verso il luogo dove si giocherà il tutto e per tutto, in nome di una sacrosanta giustizia privata.</span></div><div><span class="Apple-style-span" ><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span" >Ogni traccia scelta dal regista come accompagnamento e parte stessa dell'opera ha vita propria e costituisce, spesso, un richiamo esplicito alla fonte da cui attinge (tra tutti “Long Time Woman”, cantata dalla stessa Pam Grier, in riferimento al film "The big doll house - Sesso in Gabbia” che la vede tra le principali interpreti).</span></div><div><span class="Apple-style-span" ><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span" >Numerose le personalità che si incontrano in questa storia, ancor più numerose le voci che ne narrano le sfumature, ma ecco che, quando ogni tassello si ritrova al proprio posto, la voce che ci saluta è, ancora una volta, quella di Bobby Womack che, ora, ci riporta, dolcemente, alla realtà.</span></div><div><span class="Apple-style-span" ><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span" >Astrid Majorana</span></div><div><span class="Apple-style-span" ><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span" ><br /></span></div>Black Vibrationshttp://www.blogger.com/profile/16931096683119816693noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-64711360489311374272011-10-06T13:56:00.005+02:002011-10-06T16:31:19.386+02:00WAYNE SHORTER<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZc8IS7izPNn-ZhZaj-mW9jHPNs9_cnNGT0UADBGTAtPpFLYFrb5EyfI4bnH9yTPcZ16MKyrNdfqr4HR13eAs8QgiAUZXwLvdzR8c5AyN8vFPM091Adppt2SfFxT-ACpFjcAuaWrDChzA/s1600/Wayne+Shorter.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 400px; height: 268px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjZc8IS7izPNn-ZhZaj-mW9jHPNs9_cnNGT0UADBGTAtPpFLYFrb5EyfI4bnH9yTPcZ16MKyrNdfqr4HR13eAs8QgiAUZXwLvdzR8c5AyN8vFPM091Adppt2SfFxT-ACpFjcAuaWrDChzA/s400/Wayne+Shorter.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5660347109299790594" /></a><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">Definire Shorter “sassofonista” è un’espressione corretta ma, nella sua semplicità, estremamente restrittiva. In realtà quando si parla di lui ci si deve preparare ad affrontare la storia del jazz degli ultimi 50 anni: Shorter è, infatti, uno dei più grandi e rivoluzionari musicisti. In quest’ottica, allora, considerando il jazz come libera espressione anche rivoluzionaria si può dire che Shorter sia jazz. Vi spiego il perché. </span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">Le sue prime apparizioni sulla scena si riscontrano tra il 1956 e il 1958 anni in cui suona, quasi casualmente, con personaggi del calibro di Horace Silver, Nat Phipps e Maynard Ferguson (nella cui formazione transitò, anche, Joe Zawinul) facendosi conoscere per un carattere decisamente allegro e determinato. Fu grazie a questa caratteristica ed alla completa lontananza dal mondo dell’eroina che spinse Art Blakey, su segnalazione di Silver, a chiamarlo a sostituire il sax di Hank Mobley nei Jazz Messengers. Fu l’occasione della sua vita.</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">In un periodo caratterizzato dalla ricerca di esplorazioni musicali, con nuovi suoni e arrangiamenti che iniziavano ad emergere, il ruolo di Shorter all’interno dei Messengers fu quello di mantenere i piedi per terra e continuare l’esplorazione dell’hard bop dirigendone il suono verso frontiere meno spinte e più facili da affrontare.</span></div><div><span class="Apple-style-span">Shorter divenne il direttore artistico dei Messengers, scrivendo e riarrangiando pezzi che avrebbero dato nuove direzioni all’hard bop. Esempio di ciò è dato dagli album Buhaina’s Delight (Blue Note), Art Blakey & The Jazz Messengers (Impulse) e Caravan (Riverside), tutti pubblicati tra il 1961 ed il 1962, dove a brani di nuova produzione, scritti da Shorter, Walton, e Hubbard, si alternano arrangiamenti in cui si evidenzia, nella cura del sound, un ruolo sempre più forte della sezione fiati a discapito della sezione ritmica.</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">Il 1964 è l’anno del debutto solista di Shorter per la Blue Note. Night Dreamer, JuJu (dove appare l’intera ritmica del quartetto di John Coltrane) e poi Speak No Evil, sono tre album fondamentali in cui il sound alterna momenti classici ed essenziali (Night Dreamer) a punte di ricerca sonora di stampo coltraniano (Mahjong e JuJu). Questi tre album furono il biglietto da visita con cui Shorter si presentò a Miles Davis.</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">In realtà fu Coltrane, stimando in particolar modo Shorter, a proporlo a Miles Davis in sostituzione dei vari Stitt, Coleman, Rivers e, nuovamente, Hank Mobley.</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">Il quintetto che ne venne fuori ha qualcosa di eccezionale al punto che Davis lo considerava il secondo miglior quintetto della sua storia. Del resto, con gente come Shorter, Hancock, Ron Carter e Tony Williams non avrebbe potuto essere altrimenti. Questo quintetto fu caratterizzato dalla presenza di quel gruppo di giovani musicisti che a livello critico erano considerati le migliori promesse del jazz per singolo strumento e la loro abilità andava oltre quelle che erano le singole aspettative. Il Miles Davis Quintet è, ancora oggi, citato come base essenziale dell’espressione jazz e una delle più influenti formazioni. La ragione di tale considerazione è nell’unicità del suono prodotto: ancora una volta si hanno momenti sonori di hard bop e sperimentazione solistica intervallati ad espressioni classiche e morbide.</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">Shorter compose per il quintetto Prince of Darknes, E.S.P., Footprints, Sanctuary, Nefertity e molti altri brani importantissimi nella discografia di Davis e Herbie Hancock arrivò a definirlo il miglior maestro di composizione con cui avesse mai avuto modo di lavorare. Lo stesso Davis – una volta tanto – definendo Shorter un grande compositore, ebbe modo di complimentarsi attribuendogli il valore assoluto di saper “…riconoscere nella musica che la libertà è l’abilità che ogni musicista ha di capire quando il suono d’insieme sia preponderante su quello che è il proprio lavoro…”.</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">Il quintetto di Davis si sciolse nel 1968 e Shorter continuò a partecipare ai progetti di Miles senza trascurare la produzione solistica per la Blue Note. Schizofrenia e Super Nova 8 (con Chick Corea e John Mclaughlin), seguenti a Adam’s Apple - dove appaiono tocchi di free jazz -, furono il preludio al salto successivo che si rese evidente e necessario a seguito della grossa collaborazione data a Miles Davis per Filles De Kilimanjaro, In A Silent Way e Bitches Blue.</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">Dal 1970, tranne che per alcuni live con Miles Davis, Wayne Shorter abbandona il sax tenore e dedica le sue attenzioni allo studio del sax soprano. Moto Grosso e Odyssey Of Iska furono il passo definitivo verso il sax soprano.</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">Odyssey Of Iska rappresenta un ulteriore passaggio: subito dopo l’uscita del disco, reincontrando Joe Zawinul, con Miroslaw Vitous, Airto moreira a Alphonse Mounzon nacquero i Weather Report, al confine tra jazz e rock, vera e propria band leader del movimento jazz fusion. Con la guida combinata di Shorter e Zawinul i Reaport hanno prodotto tra i più importanti brani jazz fusion con musicisti come Pastorius e molti altri che si sono susseguiti nella mitica formazione. Ognuno di questi musicisti ha potuto conoscere la straordinaria capacità direttiva e compositiva di Shorter sino al 1985 anno in cui Shorter lascia i Reaport.</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">Si susseguono collaborazioni e progetti di varia importanza e natura. Da segnalare: Native Dancer with Milton Nascimento (1974), Live at Montroux Jazz Festival with Carlos Santana (1988), 1 + 1 with Herbie Hancock (1997) tutte collaborazioni che hanno prodotto dischi usciti a nome di Shorter e molte collaborazioni con musicisti di vario genere, tra cui Pino Daniele per Bella ‘mbriana.</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">La carriera di Shorter toccando punti di riferimento che vanno oltre la moda del momento può essere definita jazz.</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">Jazz è un modo di approcciare la musica dove tutto è curiosità. Dove tutto è musica. Senza pregiudizi, senza essenza, senza intellettualismi.</span></div><div><span class="Apple-style-span">Buona musica.</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span">Vincenzo Altini</span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span"><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/WmDo-jMBV1s?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/WmDo-jMBV1s?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></span></div><div><span class="Apple-style-span"><br /></span></div><div><span class="Apple-style-span"><object width="400" height="315"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/-wckZlb-KYY?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/-wckZlb-KYY?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="315" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></span></div><div><br /></div>Unknownnoreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-7896542811541183542011-09-12T09:20:00.008+02:002011-09-17T11:58:33.292+02:00JAMIROQUAI<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDH1bPI3ZFq9aRKvudVlleXtxcr0xqnrvCtJzW3tS9fdUHX6e2wFd3q4vp2xtPcujW9Y0wjSBxFtz_g6cMR9TI3u_lhReIGJf8ZyHy67KVPMtyFfYf-1IPpPt06MvBPpLvK3CeAMRr2XND/s1600/Jamiroquai.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px; height: 240px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgDH1bPI3ZFq9aRKvudVlleXtxcr0xqnrvCtJzW3tS9fdUHX6e2wFd3q4vp2xtPcujW9Y0wjSBxFtz_g6cMR9TI3u_lhReIGJf8ZyHy67KVPMtyFfYf-1IPpPt06MvBPpLvK3CeAMRr2XND/s320/Jamiroquai.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5651373937733373474" /></a><br /><div>Quando si pensa ai Jamiroquai, li si identifica con <b>Jason "Jay" Kay</b>, la voce, il frontman, quello con i copricapo vistosi e la passione per la velocità. Certo, si circonda di musicisti che fanno la loro onesta parte, ma Jamiroquai è inequivocabilmente lui!</div><div>Una domanda mi è tornata spesso in mente su Jason Kay, soprattutto quando il suo suono, quel disco/electro/boogie, è diventato sterile e sempre uguale: ci è o ci fa? Della serie, è un grande talento che si addormenta sugli allori (e sui dollari) oppure è un furbone che ha beccato il filone giusto e raschia il fondo del barile fin quando si può?</div><div>A sciogliere il dubbio ci ha pensato <b>l’ultimo disco</b>, <i>Rock dust light star</i>, uscito nel novembre 2010, nel quale finalmente sembra aver recuperato la verve dei primi lavori. Del resto, l’aveva preannunciato nel 2007, quando dopo un concerto da guinness su un aereo in volo da Londra ad Atene, aveva comunicato alla Sony di voler rescindere il contratto e smettere di fare musica fino al ritrovamento dell’ispirazione. </div><div>Parola mantenuta: <i>Rock dust light star</i>, inciso per la Universal, è un bel disco! </div><div>Per carità, non ci sono grandissime innovazioni. Il classico richiamo a Stevie Wonder (<i>Two completely different things</i>), qualcosa dei Police nella parte reggaeggiante di <i>Hey Floyd</i>, schitarrate rock (nella title track e in <i>Hurtin’</i>), brani per i dancefloor (<i>White knuckle ride</i>, forse il più debole dell’album), dell'energico funk (<i>She's a fast persuader</i>), canzoni dal sapore jazzy (<i>Smokes and mirrors</i>) e ballad pop intense (<i>Blue skies</i>, <i>Goodbye to my dancer</i>). Ma la minestra non sembra riscaldata.</div><div>Tra i solchi si sente energia, come se fosse suonato dal vivo, c’è la maturità di chi è cresciuto e ha sostituito l’anarchia con la serenità e c’è una ricerca musicale, che spazia tra i vari generi cari a Jason Kay.</div><div>Forse manca la freschezza di <i>Emergency on planet earth</i>, il disco dell’esordio. Ma quello è un album irraggiungibile, pieno di sfumature, di incroci musicali e di mistero: chi era quel giovanotto con cappellone da indiano e tuta Adidas che si dimenava sul palco? E poi, quella voce, così simile allo Stevie degli esordi: un miracolo! </div><div>E deve essere stato<b> un miracolo</b> anche passare in poco tempo dal rifiuto ricevuto dai Brand New Heavies, gruppo di punta dell’acid jazz, dopo un’audizione per la ricerca del cantante, alla firma di un contratto con la Sony. Quel <i>When you gonna learn</i>, singolo stampato dalla piccola etichetta Acid Jazz, era irresistibile e non poteva passare inosservato ai volponi di una major. </div><div>Nell’album, uscito nel maggio del ’93, in piena riscoperta dei suoni dance della musica nera, spiccano alcuni brani - <i>Too young to die, Music of the mind, Blow your mind, Emergency on planet earth</i> - e i temi ecologisti e sociali.</div><div>Il secondo disco, <i>The return of the Space Cowboy</i>, uscito solo un anno dopo, è quello con i <b>suoni</b> più <b>psichedelici</b>. Sarà per l’uso frequente di droghe, ma quando canta JK sembra volare in una zona interplanetaria, dove tutto va bene, le vibrazioni sono positive, gli amici sono vicini e le inibizioni spariscono. E’ lo spazio ideale cantato in <i>Space Cowboy</i>, una suite lunga quasi sette minuti, che remixata da David Morales fa conoscere il "cowboy delle stelle" anche ai discotecari. </div><div>Il botto è nell’aria e arriva con il terzo album, Travelling without moving (1996), nel quale si ascoltano, uno dopo l’altro, <i>Virtual insanity</i> (accompagnato da un video pluripremiato), <i>Cosmic girl, Use the force, Everyday e Alright</i>: bastano questi brani da soli per giustificare l’acquisto di un disco, che vende oltre undici milioni di copie in tutta Europa.<br /><br /></div><div>La <b>pioggia di soldi e di popolarità</b>, rimpinguata dal successo del singolo <i>Deeper underground</i>, inserito nella colonna sonora di Godzilla, non fa bene alla band, abbandonata da uno dei creatori di quel suono ormai riconoscibile, il bassista Stuart Zender, per presunti dissapori con Jason Kay, sempre più annebbiato dalle droghe. Il risultato è il disco successivo, <i>Synkronized </i>(1999), uscito perché c’è un contratto e quindi deve uscire, ma che non porta niente di nuovo alle orecchie degli ascoltatori. Però il disco vende e, allora, perché non continuare così? Ed ecco <i>A Funky Odyssey</i> (2001) e <i>Dynamite</i> (2005). Due buoni dischi… se li avesse fatti un esordiente, ma da Jason Kay e la sua band ci si aspetta qualcosa di originale. E, invece, c’è sempre la solita ricetta: una dose massiccia di disco (<i>Love phoolosophy</i> nel primo, <i>Dynamite</i> nel secondo), una porzione abbondante di pop di qualità (<i>You give me something, Seven days in sunny June</i>), una spruzzata di rock (<i>Feels just like it should</i>) e piccole zollette di zucchero per i cuori teneri (<i>Corner of the earth, Tallulah</i>).<br /><br /></div><div>La chiusura del periodo più asettico della produzione dei Jamiroquai viene sancita dalla <b>raccolta </b><i>High times: singles 1992-2006</i>, che contiene l’inedito <i>Runaway</i>, con la quale si chiude il rapporto contrattuale con la Sony.</div><div>E siamo, finalmente, ai <b>giorni nostri</b> con il gran ritorno sancito da <i>Rock dust light star</i> e dalla chicca <i>Smile</i>, non inclusa nell’album, disponibile in download gratuito sul suo sito.</div><div><b>Bentornato JK!<br /><br /><iframe width="400" height="345" src="http://www.youtube.com/embed/_h34XN1_YzU" frameborder="0" allowfullscreen=""></iframe><br /><iframe width="400" height="345" src="http://www.youtube.com/embed/0Fy4E-D5c2c" frameborder="0" allowfullscreen=""></iframe><br /><br /></b></div>Vito Santamatohttp://www.blogger.com/profile/08695333125134373698noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-7637647498359860242.post-38314479443665781712011-08-23T11:37:00.007+02:002011-09-01T10:33:11.325+02:00DONALD AUSTIN - CRAZY LEGS<a href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGg6ZtUrBwwND_GYwnGDXN6MLW7ToOO_CscY9n1-CP-1qeBhTvQGs9KIeGZg_HUIBPXdbLRz6BpJTjOVNJ-Xf_Y0M7Ba6D_sP-6KZmv2GC9Y1uR93T3TN8je8C1O9-6cWM5Nx8aDQF0vYa/s1600/CRCD3150.jpg" onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 396px; height: 400px;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgGg6ZtUrBwwND_GYwnGDXN6MLW7ToOO_CscY9n1-CP-1qeBhTvQGs9KIeGZg_HUIBPXdbLRz6BpJTjOVNJ-Xf_Y0M7Ba6D_sP-6KZmv2GC9Y1uR93T3TN8je8C1O9-6cWM5Nx8aDQF0vYa/s400/CRCD3150.jpg" border="0" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5643995023661200930" /></a>
<br /><div>Come già detto molto spesso negli articoli precedenti, ci sono musicisti che nella loro carriera hanno fatto poco, ma quel poco che hanno fatto ha lasciato il segno.</div>Proprio grazie allo sforzo dei collezionisti riprendono vita dei dischi che altrimenti sarebbero rimasti nel dimenticatoio. Dischi che non meritano assolutamente questa fine. Non a caso molti di questi album vengono ristampati sia in vinile sia in cd, per dar modo agli appassionati, o a chi magari si avvicinana alla black music, di usufruire di una facile reperibilità e di poterne apprezzare la bellezza.
<br />
<br /><div>Uno di questi casi è proprio il disco "Crazy Legs", su etichetta Eastbound, del chitarrista Donald Austin, originario di Memphis. C'è poco da dire su di lui, ha lavorato da arrangiatore e sessionista per Junie Morrison degli Ohio Players, per Fuzzy Haskins dei Funkadelic e per Ron Banks dei Dramatics, questo è il suo unico disco in carriera, e a dirla tutta è composto da parecchi brani usciti precedentemente su 45 giri.
<br />Un disco che però attira l'attenzione di tutti i collezionisti nel mondo.
<br />
<br />Parliamo di tredici tracce tutte strumentali che partono proprio dalla title track <i>Crazy Legs, </i>il brano più famoso del disco, inserito anche in parecchie compilations dedicate al funk, che parte con il suo ormai famoso riff di chitarra. <span style="font-style:italic;"></span><div>Funk potente quello di Donald Austin, caratterizzato da quel sapore blues che non fa mai male, anzi...</div><div>
<br /></div><div>Non mancano breaks di batteria e covers, <i>Hot Rooster </i>e <i>Can't Stand The Strain </i>dei Funkadelic ne sono un esempio, eseguite in maniera notevole.</div><div>
<br /></div><div>Da evidenziare assolutamente brani come <i>Side Sadle</i>, a mio parere la più potente del disco, la bellissima<i> Rainy Day Fun, </i>il country funk di <i>Manassas Boogie </i>che contiene anche un ottimo break, <i>Nanzee </i>e<i> Sex Plot. </i></div><div>Tutto il disco comunque nell'insieme merita molto.</div><div>
<br /></div><div>Nota particolare va fatta per la splendida copertina del disco, non a caso è una delle cover scelte da Joaquim Paulo per la sua splendida raccolta "Funk & Soul Covers" che sicuramente porta alla luce anche l'importanza di questo disco anche a livello collezionistico.</div><div>
<br /></div><div>Non fate mancare questo disco nella vostra collezione, anche se la copia originale costa non poco, potrete trovare delle reperibili ristampe. Non ve ne pentirete.</div><div>
<br /></div><div>Funk The System</div><div>
<br /></div><div>Dj Danko</div><div>
<br /></div><div><object width="400" height="345"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/MQj7XQnWOg4?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/MQj7XQnWOg4?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="345" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></div><div>
<br /></div><div><object width="400" height="345"><param name="movie" value="http://www.youtube.com/v/hK6nRMgL__4?version=3&hl=it_IT"><param name="allowFullScreen" value="true"><param name="allowscriptaccess" value="always"><embed src="http://www.youtube.com/v/hK6nRMgL__4?version=3&hl=it_IT" type="application/x-shockwave-flash" width="400" height="345" allowscriptaccess="always" allowfullscreen="true"></embed></object></div></div>Cloud Dankohttp://www.blogger.com/profile/10915042894150122937noreply@blogger.com0