24/10/10

GEORGE BENSON


"Se nel jazz esiste qualcuno che ha fatto quello che hanno fatto i Beatles nel pop, questo è George Benson"

George Benson è il chitarrista per eccellenza, dotato di tecnica sopraffina, da manuale. Ispiratosi a Wes Montgomery e Charlie Christian, due geni della chitarra, inizia la sua carriera nel 1964 con l’incisione di “The New Boss Guitar” per la Columbia Records. L’album, in collaborazione con Lonnie Liston Smith e Ronnie Cuber, ebbe un discreto successo e da lì in poi Benson non si è più fermato pubblicando altri 4 album nei 2 anni seguenti. Giovanissimo, 21 anni l’età del suo debutto, viene subito notato da un uomo “abbastanza influente” nel mondo del jazz, ovvero Miles Davis. Benson coglie l’occasione al volo e inizia un periodo di collaborazione con Davis; in Paraphernalia, del 1968 presente nell’album “Miles In The Sky”, la chitarra elettrica che accompagna l’ipnotica tromba di Miles è proprio quella di George Benson che definì il periodo di collaborazione con Miles Davis come il suo più importante periodo di formazione musicale. «Suonare con Miles è come andare all’università» dichiara scherzando in un’intervista. Fatto sta che Benson ne esce laureato a pieni voti, acquisendo da Miles soprattutto la libertà d’espressione e la capacità di pensare musica nello stesso momento in cui si sta suonando, senza rispettare necessariamente gli schemi, capacità di muoversi attraverso strutture sonore diverse l’una dall’altra.

Nel 1969 pubblica “The Other Side Of Abbey Road”, una propria reinterpretazione di “Abbey Road” dei Beatles, pubblicato pochi mesi prima; e lo stesso fa pubblicando una propria versione di “White Rabbit” dei Jefferson Airplane in quel periodo. Come spesso accade con i grandissimi quelle di Benson non sono cover, diventano, grazie al suo genio musicale, veri e propri album inediti che non hanno quasi nulla delle versioni originali, tanto da essere considerati dai puristi “Bensoniani” migliori degli originali.

Nel 1971 un’altra perla, viene pubblicato “Beyond The Blue Horizon”, passato in sordina al grande pubblico ma un album suonato in modo paurosamente perfetto da Benson che chiama a sé gente del calibro di Jack DeJohnette alla batteria, Ron Carter al basso, Clarence Palmer all’ organo, alle percussioni Michael Cameron e Albert Nicholson. Dopo la collaborazione con Miles gli effetti si vedono e soprattutto si sentono. Prima ho parlato di George Benson come genio musicale… perché? Beh in quest’album avrete la prima risposta. Uno dei primi dischi di jazz fusion, che inizia con una cover di So What di Miles Davis… Molti penseranno ad un errore di stampa… No non è un errore. Non credevate nell’esistenza di una cover di So What… in effetti neanche io. Chi si sognerebbe mai di “profanare” e tentare di reinterpretare un capolavoro come del genere? Come si può coverizzare un brano simbolo di un era e simbolo di un genere, suonato da gente come Miles Davis e Cannonball Adderley contenuta in “Kind Of Blue”, la Bibbia del Jazz? George Benson lo ha fatto e il risultato è stato una Cover con la “C” maiuscola! Benson e i suoi strapazzano e maltrattano in senso buono, So What, soprattutto nella parte iniziale, spingendosi quasi a sonorità funk allontanandosi dagli scenari notturni e incredibilmente affascinanti del capolavoro davisiano. Se l’ascoltate, per 9 minuti e 20 secondi non apparterrete più a questa dimensione. Trascinati da suoni chiari puliti e perfettamente ordinati. La chitarra di Benson domina la scena e riff dopo riff vi accompagnerà in un viaggio che si prolunga per il resto dell’album. Come vi dicevo, quest’album non ha avuto grande successo. Probabilmente il pubblico dell’epoca non era pronto alla “fusione” ma è un album da ascoltare assolutamente, soprattutto se amate Benson e vi piacciono gli album sperimentali che fanno apprezzare ancora di più il genio di certi artisti.

La consacrazione, anche al grande pubblico avviene nel 1976 quando George Benson passa alla Warner e pubblica “Breezin’”. Un lavoro questo, che segna una svolta, una pietra miliare della musica black. Prestigiosa anche la produzione affidata a Tommy LiPuma e gli arrangiamenti di gran classe di Claus Ogerman. Breezin’ è qualcosa di unico, un album profondo e piacevole che non stanca mai. Vincitore di 2 Grammy Award come Best Pop Instrumental Performance per Breezin, e Record of the Year per il singolo This Masquerade. Senza parlare delle diverse settimane in cima alle classifiche.

Da segnalare nel 78 l’uscita di “Weekend in L.A.”, registrato al West Hollywood Roxy Theater. Uno degli album live più belli mai pubblicati con un George Benson forse nel momento migliore della lunga sua carriera. Il suo suono complesso ma pulito e la sua voce vellutata ne fanno un capolavoro da avere in casa, in bella mostra

«Dedicated to the beautiful attitude of the sunshine people of California»

Negli anni successivi Benson, suonò e pubblicò tantissimi pezzi e numerosi album. Tra i successi c’è anche The Greatest Love of All, scritta come colonna Sonora per il film “The Greatest” con Mohammed Alì. Il pezzo non ebbe molto successo almeno fino a quando non venne ripreso e reinterpretato da Whitney Houston. In seguito scrisse On Broadway per il film All That Jazz di Bob Fosse che vinse 4 oscar al Festival di Cannes. Fino agli anni 80 quando George Benson affida la produzione del suo album “Give Me The Night” a Quincy Jones che “riscoprì” le doti di cantante di Benson per allargare il suo pubblico senza però perdere quel tocco e quello stile da Bluesman innato che George si porta dentro.

“Give Me The Night” ebbe infatti un discreto successo e finì nelle top ten pop e R&B. È infatti un album dalle sonorità tipiche degli anni 80 alternata a qualche ballata romantica. Benson sapeva che quello non era il suo “campo preferito”, sapeva che i suoi sostenitori più fedeli non avrebbero apprezzato questo suo allontanamento dal vecchio stile. Però gli servì per riscoprire effettivamente le sue doti canore che forse aveva un po’ trascurato negli anni e lo portò a riscoprire il suo amore per leggende con Nat “King” Cole e Ray Charles, in quel periodo c’era Donny Hathaway che stimava molto, insomma questo amore ritrovato per il canto arricchì Benson e lo influenzò per tutte le produzioni a seguire.

Le collaborazioni di George Benson sono infinite, si va da Miles Davis nel 68 a Chet Atkins nel 85 fino ad Aretha Franklin passando per Chaka Khan. Partecipa ai festival Jazz più famosi del mondo e nel 2006 inizia una collaborazione con Al Jarreau che si concluderà con un tour mondiale attraverso Africa, Nuova Zelanda e Australia per promuovere il loro album “Givin’ It Up”. Un progetto che vede la reinterpretazione di brani come Breezin’ di Benson o Mornin’ di Jarreau per proseguire poi con varie cover di ogni epoca partendo dagli anni 40 con God Bless the Child di Billie Holiday; Anni 60 e Bring It On Home To Me di Sam Cooke fino agli 80 con Everytime You Go di Daryl Hall passando per i 70 con Summer Breeze di Seals & Crofts, fino ai giorni nostri con la presenza in God Bless The Child di Jill Scott e con la reinterpretazione di Ordinary People di John Legend. Non manca il giusto tributo a Miles Davis con la splendida Four. Diverse sono le featuring: vi ho detto di Jill Scott, ma ci sono anche Stanley Clarke and Marcus Miller al basso, Chris Botti alla tromba, Patti Austin in Let It Rain e Paul McCartney in Bring It On Home To Me. Una collezione più unica che rara di grooves tanto sensuali quanto accattivanti su brani classici del passato reinterpretati da due mostri sacri della musica jazz e soul. Due geni che fondono le loro esperienze e i loro sconvolgenti talenti in questo album “ibrido” se vogliamo che si rivolge non solo ai puristi del genere ma può essere adatto anche a chi non ha mai sentito parlare di George Benson e/o Al Jarreau.

Lo scorso anno ho avuto il piacere di vedere e ascoltare George Benson dal vivo a Perugia nell’ambito di Umbria Jazz. Titolo della serata "An Unforgettable Tribute To Nat 'King' Cole".
Dal titolo uno immagina una serata di quelle indimenticabili, dove la mente di chi ascolta si stacca dal corpo e viaggia sulle note della chitarra di Benson che incanta il pubblico con i suoi più grandi successi; e che con la sua voce soulful ti rapisce mentre interpreta pezzi storici del grande "King" Cole...
Bene se lo immaginate così, avete fatto centro!!!!
Una serata che definire unica e irripetibile è un eufemismo. George si presenta sul palco, sul quale è già pronta l'intera orchestra dei "Solisti di Perugia" che lo accompagnano per tutta la serata. Lui, elegantissimo, inizia subito con Breezin', poi dedica la prima parte del suo concerto al tributo a Nat Cole interpretando pezzi come Route 66, When I Fall In Love, L-O-V-E, concludendo con Smile. Vi dico solo che ad un certo punto della serata ero così preso, che tra un pezzo e l'altro non applaudivo nemmeno... quasi ipnotizzato dalla voce di George Benson mi voltavo solo verso un mio amico e ci facevamo un cenno d'intesa, quasi increduli di quanto stavamo ammirando.
Dopo il tributo a Nat "King" Cole ha iniziato col suo repertorio e ha regalato al pubblico pezzi come Nature Boy, You Are the Love Of My Life, Give Me The Night, Never Give Up on a Good Thing e altri pezzi storici del suo infinito repertorio. A fine serata ero così stordito dal sound di Benson che uscendo dall’Arena, canticchiavo e suonavo una mia Ibanez immaginaria

Secondo Me sono davvero pochi gli artisti che possono vantare quasi 50 anni di carriera e avere una produzione che supera i 50 album pubblicati e centinaia di concerti in tutto il mondo ed essere tuttora in attività! Ha attraversato gli anni 60, 70, 80 e 90 fino ad oggi deliziando, con la sua Ibanez GB10 personalizzata, almeno 3 generazioni di pubblico, con spettacoli mozzafiato e album che hanno scritto la storia del jazz.

Cosa ardua è classificare Benson in un genere preciso, si è vero è per lo più un chitarrista jazz/blues ma ha fatto anche diversi dischi fusion e nel periodo anni 80 album quasi disco… Io personalmente lo definirei semplicemente un guru da Accademia Jazz, uno che con la sua tecnica può riscrivere il manuale della chitarra probabilmente migliorandolo. In ogni caso resta uno dei musicisti più incredibili che io abbia mai visto e ascolto dopo ascolto sorprende sempre più dell’ultima volta.

Yayo

1 commento:

  1. Lunga, lunghissima vita a questo genio!! Grazie Black Vibrations

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