01/06/10

MARLENA SHAW


“When you hear the beat/You wanna pat your feet/and you've got to move 'cause/It's really such a groove”.

Luci soffuse, volume al massimo: il cuore comincia a battere all'impazzata, la pelle trasuda funk mentre il corpo si muove al ritmo del groove che riempie la testa. La voce di Marlena Shaw risuona nei timpani con potenza, scorre nelle vene sino ad esplodere nelle viscere...che donna, la “donna del ghetto”!

Destinata alla musica sin da piccola, spronata dallo zio Jimmy Burgess– trombettista appassionato di jazz – ma frenata dai casi e occasioni della vita, mai abbandonò la strada della passione che percorse insieme ai grandi della musica mondiale.
Sposata, madre di cinque figli, lasciata la New York State Teachers College in Potsdam, Marlena Shaw (al secolo Marlina Burgess – 1942 New Rochelle, New York), spinta dall'amore per le note del soul, del jazz e del gospel, colse ogni occasione per tornare a calcare le scene, sulla scia della malinconia per la sua prima apparizione all'Apollo Theater, a soli dieci anni, quando lo zio la volle con sé per cantare in occasione di una performance insieme al pianista Horace Silver.
Durante gli anni Sessanta, forte di esperienze non sempre positive (sul palco e nella vita privata) trovò il trampolino di lancio nella catena di club di Playboy, grazie al cui circuito si mise in contatto con l'etichetta Cadet (corporazione della Chess Records) per la quale incise l'album Out of different bags, mix sapiente di blues, jazz and Southern soul.

Il 1966 fu l'anno del provino, passato alla storia, al Sands Hotel di Las Vegas. Marlena Shaw si esibì al cospetto di Count Basie il quale, alla fine del numero, si alzò e lasciò la stanza. Fu poi la cantante stessa a raccontare il prosieguo della storia: il Maestro fece ritorno con due bicchieri di vino, le diede il benvenuto e disse: “Save your voice, sugar, you're going to need it for tonight”.
Il 1969 vide l'uscita del secondo, ed ultimo album dell'artista insieme alla Cadet, Spice of Life, che include alcune delle canzoni divenute più famose, Woman of the ghetto – pezzo jazz-pop accostato per tema sociale a composizioni del periodo (v. Marvin Gaye o The Temptations) - e California Soul, composta originariamente da Nickolas Ashford & Valerie Simpson e della quale Marlena Shaw realizzò una personale versione. I puristi hanno “accusato” la cantante di essersi resa più commerciale e pop con queste tracce, lontane dalle pure sonorità jazz: è vero che in termini economici sono tracce d'oro, che diversi deejays hanno scelto nell'arco del tempo per i loro campionamenti (come non citare Dj Shadow, che utilizzò un campionamento di California Soul per Midnight in a perfect world), ma è vero anche che vi si percepisce un sound che profuma di soul, di quell'anima che coccola i sensi più profondi.

Negli anni '70 Marlena Shaw tornò sulla scia del jazz propriamente detto, divenendo la prima donna annoverata tra gli artisti della Blue Note Records, con la quale incise ben cinque album, tra i quali “Who is bitch anyway?”, del 1974, con cui la cantante diede vita ad un nuovo, esplosivo approccio all'esibizione dal vivo, costruendo una rocambolesca jam di comicità, musica e improvvisati monologhi.

Nel 1977 passò alla Columbia, fondamentale per la crescita della sua notorietà con l'uscita di Sweet beginning, anticipato dal singolo Go away little boy. Tre furono gli album incisi per l'etichetta, che definì l'impronta disco della cantante e la proiettò verso mondi altri (Don't ask to stay until tomorrow, da Acting up del 1978 venne scelto come tema musicale principale del film “Looking for Mr. Goodbar”, con protagonista Diane Keaton).
Appare tipico quindi, per Marlena Shaw, passare da un genere all'altro, per mutare, per respirare aria nuova, come un serpente che cambia pelle...ed è così che la ritroviamo nel 1986 con Is it love e Love is in flight, album registrati con la Verve, nota etichetta jazz, alla quale seguì la Concord Jazz, che produsse Dangerous (1996) e Elemental Soul (1997).

Considerata un'icona dei circuiti jazz per il suo modo unico di interpretare e dare nuova vita a pezzi di altri e di sorprendere con proprie composizioni, ha stupito per la straordinaria capacità di padroneggiare lo “scat”, la tecnica di canto jazz usata per l'improvvisazione vocale che utilizza una quantità indefinita di fonemi e con la quale l'interprete inventa una proprio proto-linguaggio funzionale alle proprie invenzioni ritmico/melodiche, divenendo esso stesso libero strumento dell'orchestra jazz.

Nei primi anni 2000, e grazie a due compilations – Go away little boy: the sass & soul of Marlena Shaw e Anthology – ed ad un disco uscito nel 2004 – Looking for love - Marlena Shaw continuò a raccogliere numerosi fans nel mondo, amanti delle sonorità oldies che riecheggiano in ogni pezzo.
Ad oggi, ella è considerata l'artista jazz (ed io insisto, anche soul-funk) più versatile e carismatica della musica contemporanea. Una cantante dotata, amante di ciò che di bello c'è nella musica, in grado di giocare e divertirsi – sempre con estremo rispetto – con la propria voce, le proprie ispirazioni, le altrui creazioni.

Donna di spessore unico, forte e vulnerabile al contempo, dolcezza e sensualità unite in una sola essenza che evoca passione e romanticismo. Donna ancora, ed artista, che non dimentica le proprie radici ma che ama guardare avanti, che custodisce il passato ma è curiosa del futuro.
Molti sono i creativi che hanno scelto canzoni dell'artista come “theme” per le loro pubblicità (curioso lo spot della birra olandese Grolsch nel quale risuonano le note di California Soul) e numerose le presenze di tracce della cantante in compilations di diversa natura, il tutto a riprova del suo essere poliedrica e mai scontata. Se è vero che “Senza musica la vita sarebbe un errore” (F. Nietzsche), è altrettanto vero che senza il “velvet sound” di Marlena Shaw l'errore sarebbe irreparabile: Won't you listen?/Won't you listen?/Won't you listen?...

Astrid Majorana

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