15/05/10

L' universo funk e le sue stelle, THE S.O.U.L.


Se un giorno dovessi, per gioco, paragonare metaforicamente il genere Funk a un qualcosa di esteso quanto lui, questo sarebbe indubbiamente l’Universo, coi suoi meccanismi.

Paragone azzardato? Mi spiego meglio.

L’Universo è sì carico di pianeti e regole che noi conosciamo bene, ma anche da concetti ed elementi ancora da scoprire.

Poi l’Universo, cosi come la musica, contiene dei meccanismi, che si ripetono in modo ciclico da milioni di anni, ad esempio le rotazioni attorno al Sole.

Queste rotazioni della Terra attorno al Sole, ad esempio, potremmo paragonarle alla “moda”, che a intervalli regolari ci avvicina al Funk grazie alla musica moderna che tanto attinge dal genere in questione, ripescandone loops e breaks di batteria.

E ancora perché, cosi come nell’Universo ci sono dei punti di riferimenti a noi noti e importanti, quali la Luna, il Sole o altri pianeti, anche nel Funk ci sono dei punti di riferimento importanti e abbondantemente noti, di cui non possiamo farne a meno, e che certamente sono analizzati in modo più o meno profondo in qualche libro, passando dal trafiletto generico all’articolo approfondito se non al libro intero.

Quindi potremmo paragonare, ipotizzo, “il Sole” a “James Brown”, perché centro del nostro sistema solare e tutto gli ruota attorno, “la Luna” a “George Clinton” perché satellite della Terra (Funkadelic?), e così via giocando con i vari earth, wind & fire, kool & the gang ecc…

Ma l’Universo è vasto, talmente vasto che sarebbe davvero un peccato “limitarsi” a scoprire quello che, alla fine, è da sempre sotto i nostri occhi e ci circonda, e poi per davvero non siete attratti da quell’aura misteriosa che avvolge tutto quell’Universo a noi ancora “sconosciuto”?

Certo, si sa, non conoscere la Luna o il Sole è gravissimo, ma per quel che ne so io, è parecchio grave anche non conoscere il resto.

Così come l’Universo, anche il genere Funk è costellato (il termine è azzeccato) di pianeti minori e stelle che completano il maestoso spettacolo che esso rappresenta, un cielo illuminato solo dalla Luna è molto bello, certo, ma un cielo completamente stellato toglie il fiato, perché non ammetterlo.

La nostra missione quindi, da bravi astronomi (del funk), è quella di accompagnarvi in un viaggio alla scoperta dell’Universo (Funk) in tutto il suo splendore e totalità, non limitandoci solamente allo studio del nostro sistema solare, dei suoi pianeti e dei suoi meccanismi, bensì allargando forzatamente i confini imposti da chi ha paura di navigare nella vastità che questo genere musicale possiede.

Alcune cose le scopriremo assieme, altre le scoprirete grazie a noi o viceversa, ma questo non importa.

Quello che importa è la dedizione che ci metterete in questo viaggio che inizia ora, sappiatelo, per non finire mai più.

Come un vero e proprio viaggio alla scoperta dell’Universo.


Quindi iniziamo con una delle stelle più brillanti del funk, andiamo a conoscere gli S.O.U.L..

Nel Maggio del 1970 gli S.o.u.l. (acronimo di Sounds Of Unity and Love), quattro giovani musicisti originari di Cleveland (Ohio), parteciparono ad una gara tra band emergenti, organizzata dall’emittente WHK e dall’etichetta Musicor, con un premio che consisteva in un assegno di 1000 dollari e in un contratto discografico con la suddetta etichetta.

Il loro talento li promosse a miglior band del concorso, facendogli guadagnare il contratto che li portò alla registrazione del loro primo singolo “Down in the ghetto” (Musicor, 1970), superando, in fatto di vendite a livello regionale, le aspettative della stessa Musicor.

Dopo aver registrato, quindi, un secondo altrettanto fortunato singolo, Burning Spear (Musicor, 1970), i ragazzi furono invitati a New York per registrare un intero album; What It is (Musicor, 1971).

L’album entra sorprendentemente nei Top 40 della classifica degli album soul, confermandone la versatilità musicale, che passa dal soul al funk più duro, strizzando l’occhio persino al jazz.

What It Is diventa quindi un lavoro importante per il funk, nonostante ben cinque tracce su sette siano cover, il loro album contiene alcuni dei brani più infuocati che il genere stesso ricordi, ossia “Burning Spear” e “S.O.U.L.”, carichi di un groove davvero impareggiabile, con lunghi breaks di batteria e flauto, che fanno di questo disco un cimelio, estremamente ricercato soprattutto sul mercato europeo, e la cui irreperibilità (e appetibilità…) riguardo l’originale, lo classifica tra i dischi più rari e ricercati che il funk possa gelosamente custodire, coi suoi 300€ (variabili) di valutazione per una copia in buono stato.

I fondatori del gruppo sono Walter Winston, chitarrista, Gus Hawkins, Sassofonista/flautista, Paul Stubblefield, batterista e secondo cantante e Lee Lovelett, voce leader e bassista che, con questa formazione, hanno dato il via alla loro carriera musicale, per poi variare alcuni membri nei lavori successivi.

Nel loro secondo album infatti, “Can You Feel It”(Musicor, 1972), si aggiunge ufficialmente un quinto elemento, Larry Hancock, all’organo e voci principali, mentre Clayton Ellis (piano) e Steve Feldman (piano e percussioni) come turnisti in alcuni brani.

La loro maturità artistica si svela sin dalle prime note del secondo album.

La title track “Can You Feel It” si rivela essere appena l’inizio di un disco pienamente carico di soul, anche più del precedente, approvandoli e facendoli apprezzare per la loro particolare destrezza nel mescolare i generi in maniera più omogenea e pulita.

Il 1973, però, non porta buone prospettive per gli S.o.u.l., infatti Walter Winston lascia il gruppo, così come Gus Hawkins che torna dedicarsi alla medicina, e vengono sostituiti dal chitarrista Bernard “Beloyd” Taylor che, assieme alla restante parte, sforna un paio di singoli su 45 giri, sempre sotto il nome S.o.u.l., ovvero il successo northen soul “This Time Around” e “The Jones”, che rispettivamente raggiunsero la Top 50 della classifica r’n’b, e la Top 100, rimanendoci per ben dieci settimane.

Subito dopo, il gruppo si scioglie definitivamente, poco prima di iniziare a concretizzare il terzo album.

Le loro strade prendono direzioni dissimili e, chi più chi meno, riesce nell’intento di lasciare la propria impronta nella black music.

Di sicuro la sua impronta indelebile la lascia Bernard “Beloyd” Taylor, che nel 1976 scrive per gli Earth, Wind & Fire la stratosferica “Getaway”, successo a livello mondiale, di certo tra i brani funk più famosi in assoluto.

Ma il poco fatto dagli S.o.u.l. ha comunque il suo peso.

I loro unici due dischi, infatti, non dovrebbero assolutamente mancare nella collezione di un amante della musica nera, e a sostegno di questo, i loro album, portati in auge dai dj’s che li hanno “riscoperti” e inseriti in numerose compilations di settore, sono stati ristampati su vinile e su un cd che li raccoglie entrambi (per l’etichetta BGP) ad un prezzo sicuramente più abbordabile e umano degli album originali.

Certo, loro non hanno la fama di aver reso famoso e commerciabile il genere funk nel mondo, ma va sicuramente il merito di aver aggiunto, con la loro musica, un’altra sfavillante stella nella volta celeste del funk.

E quindi uscimmo a riveder le stelle… con una stella in più stavolta.



Dj Argento



2 commenti:

  1. grazie per la cosmica lezione di astronomia...

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  2. Grande DJ Argento!!!
    Bellissimo articolo!!!
    Spettacolari i S.O.U.L....

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