26/03/10

LEE MORGAN



Lee Morgan ha attraversato la storia del jazz, come oggi lo conosciamo, dal bop al free, con la coerenza stilistica, la tecnica strepitosa, la forza espressiva coinvolgente e una vaga e profonda vena blues – che non fa mai male – di una grande tromba figlia di Dizzie Gillespie, Fats Navarro e Clifford Brown. La sua presenza scenica si colloca tra questi ultimi, con Kenny Dorham, Art Framer e Thad Jones, e agli inizi della formazione bop di Hubbard, Donald Byrd e Blue Mitchell.
Nel suo lirismo troviamo tracce delle partecipazioni alle session con Coltrane, Miles Davis, Hank Mobley e Horace Silver, e campioni di sound, su ritmiche elevate, proprie dei Messenger di Art Blakey. È un' epoca d'oro del jazz, epoca di trasformazioni di coinvolgimenti in progetti grandiosi in cui tutti i protagonisti erano, di volta in volta, coinvolti e da cui, tutti, in maniera differente in base alle proprie esclusive propensioni, faranno, poi, di volta in volta, tesoro.

Lee Morgan, classe 1938, debutta giovanissimo nella Dizzie Gillespie Big Band, all'età di 18 anni, al Birdland, con un assolo esplosivo sulle note di “A Night in Tunisia”, facendo sobbalzare il critico Nat Hetnof che, dirà nella sua recensione della serata: “...la tromba di Morgan è un colpo di pistola nell'oscurità. Anche se accompagnata da grandi musicisti, al suo cospetto, tutti i suoni diventano muti nella notte e restano solo suoi acuti, a far luce...”.
L'amore di Lee per la tromba nacque quando al suo tredicesimo compleanno, sino ad allora aveva studiato il vibrafono, la sorella Ernestine gli regalò una tromba graffiata e sporca comprata da un rigattiere nelle periferie di Philadelphia e dopo averci giocato un po', riuscì ad emettere un suono lungo e potente. Abbandonò il vibrafono e si dedicò allo studio della tromba.
I primi rudimenti li apprese da un certo Clifford Brown e, poi, ancora adolescente, entrò a far parte della Big Band di Gillespie con la faccia spericolata e strafottente del ragazzino sicuro di se e con la forza di chi, per grazia ricevuta, era già sicuro di essere un grande: incontra Blakey ed entra a far parte dei Messenger.
Le session con i Jazz Messenger lasciano il segno: profondo senso della ritmica, gestione del suono, interventismo e esplosività nel toni alti, capacità d'improvvisazione e coraggio, sono caratteri distintivi del suono di Lee Morgan e li ritroviamo in tutta la sua produzione, oltre 700 titoli a proprio nome...
Con i Messenger gira per tre anni e lascia la sua impronta indelebile nei soli dell'album “ Moanin”, indubbiamente uno dei migliori della band.

Nello stesso periodo, sino all'età di 21 anni registra 7 album per la Blue Note - tra cui “Lee Morgan Indeed!” del 4 novembre 1956 ( poco tempo dopo l'esplosivo solo della “ A Night in Tunisia”) -, due per la Vee Jay e uno per la Savoy - “Introducing Lee Morgan”- e uno, ancora, per la Riverside - “Take Twelewe”. Incontra, inoltre, musicisti del calibro di Shorter, Hancock, Moobley, Chambers, Sonny Clarke e Jackie McLean. Le pietre miliari della sua vita, della sua musica sono tracciate in questa linea, in questi anni d'incontri e di esplosioni di notorietà e lasciano il segno in tutte le direzioni in cui si volge lo sguardo: musica e vita. Sono anni in cui Morgan incontra l'eroina – non è il solo dei mitici Messengers ad affrontare l'esperienza – e ne rimane coinvolto sin nel profondo, segnato nell'anima e nel corpo.

Una curiosità: e secondo Tom Perchard, un biografo di Morgan fu Blakey ad introdurre Lee nell'uso della droga, per controllarne, in un certo senso la carriera e la vitalità espressiva all'interno dei Messenger.
Nel 1961 scompare, improvvisamente dalle scene newyorkesi. Lo ritroviamo a Philadelphia, con i denti totalmente spaccati, uno dei “regali” di un pusher a cui doveva soldi, e in un primo tentativo di fuoriuscire dal circuito di morte nel quale si era ritrovato.

Nel 1963 lo ritroviamo più forte di prima: torna in scena e entra in sala di registrazione per “ The Sidewinder” ( dicembre) per il suo più grande successo commerciale.
Con “The Sidewinder” entriamo in un'altra scena: il jazz varca altri confini. È un album storico: entra in classifica direttamente nella top ten e resta per un paio di anni all'interno della top twenty USA. È un album contrassegnato da un sound dicotomico: leggero e profondo, al tempo stesso, che si stacca, rimanendone, però, avvolto, dagli influssi dell'hard bop, e che fa parlare di pop jazz: il sound nelle tracce è aggressivo, funky, ballabile. La melodia, boogaloo beat, grazie al grandissimo sax tenore di Joe Handerson e al piano di Barry Harris, entra nelle orecchie degli americani grazie all'uso commerciale, non autorizzato, che la Chrisler farà durante gli spot televisivi della world series del 1964 ed è nelle track list delle discoteche dell'epoca.
“The Sidewinder” è un punto di svolta nella carriera di un Lee Morgan che, nonostante la menomazione, continuerà a far parlare di se in termini entusiastici ed a produrre brani memorabili nelle sedute di registrazione e nei live set.

Torna a suonare nei Messenger. L'atmosfera non è più quella di prima e Morgan, subentrando ad Hubbard, incontra, ancora una volta, Hancock e Shorter e instaura un sodalizio che porterà alla produzione di “Search For The New Land”, dando inizio, di fatto, ad una nuova entusiasmante fase della sua esplosiva carriera.
“Search For The New Land” ha una struttura musicale composta da: Lee Morgan, tromba; Wayne Shother, sax tenore; Grant Green, chitarra; Herbie Hancock, piano; Reginald Workman, basso e Billie Hinggins, batteria, molto diversa da “The Sidewinder”.
Il tema che apre l'album è “ Search For The New Land” e parte facendo tesoro delle aperture “free” di Moncur, della ricerca poliritmica di Blakey e Moobley, del rapporto spazio tempo di Davis e, durando quindici minuti, dilata lo spazio della composizione hard bop oltre ogni misura. La tromba è ovviamente protagonista, inseguita dal sax, dal piano, su una ritmica affidata a Higgins in cui i piatti battono leggeri e ad alta frequenza mentre la timbrica della melodia scende e sale quasi liberata di ogni peso, di ogni forma di struttura vincolante. Sembra, potendo guardare le note dei soli, d'inseguire un volo coraggioso verso nuove forme di jazz. Green entra ed esce dalla struttura ed il suo solo ripete lo schema della tromba con, e qui la differenza rispetto allo schema tipico delle session hard bop, una ritmica in continuo dialogo batteria (cassa, timpani e piatti) e basso, differente rispetto alla parte solo di Morgan. Poi tocca a Hancock, con un gioco di pedali e di mano destra che seguono istintivamente il suono lasciato da tromba e chitarra. Il solo di Shorter è citato nelle bibbie di jazz per la folgorante sapienza armonica e per l'incisività del lasciare spazio al seguente momento. Sono giochi classici dell'epoca coltraniana dove ogni strumento è strumento ed orchestra e melodia e ritmica. C'è da perderci la testa in così tanta bellezza!!!
“The Joker”, struttura e sound hard bop, puro ed avvolgente con agili blocchi e veloci ripartenze.
Classico schema...
“Melancholee”... è Hancock che distarticola le atmosfere e le rende libere di librarsi nell'aria... la sua mano destra introduce Green che si lascia andare ad un fraseggio raffinato con un sottofondo melodico lascaito da Morgan e Shorter libero e deciso... ancora e ancora Hancock che libera Morgan lascaindolo solo a recitare la sua parte, con le note che sia allungano nell'aria accompagnate dal piano in chiave ritmica con la mano destra di Hancock che ripete le stesse sonorità della sinistra... siamo difronte ad uno stato di pura eresia musicale, dove ogni cosa è un saggio di purezza e sacrificio, con l'ingresso in parte di Shorter che ti lascia interdetto, coinvolto, complice, senza parole. Lasciate ogni speranza voi che tentate...
“Mr Keniatta” ancora bop... ancora lirismi di blocchi e di fughe.
“Morgan The Pirate”è un puro sound in terzinato, con un avvio ironico, quello del passo barcollante di un pirata ubriaco di rhum in un'isola dei caraibi, con la gente festante che l'osserva, ride, sghignazza ma lo lascia andare verso nuove avventure, verso l'alto mare inseguito da onde e colpi di cannone.
La produzione di Lee è sterminata. Fatta di esplosioni, di voli, di note che s'inseguono nell'aria a velocità stratosferica. Di note sparate come proiettili alla ceca. Di suoni che t'inseguono come una moglie tradita...
Un colpo di pistola.
BANG!!!
Solo uno.
La vita di Lee è finita così.
La nostra ricerca della sua musica continua.

Buona musica.

Vincenzo Altini





1 commento:

  1. memorabile Lee...anche nella sua precocissima morte!!!!
    indimenticabile il suo contributo trascinante in Son of ice bag...con Lonnie Smith
    Rossella

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