18/02/10

SAHIB SHIHAB





Il Signore Meraviglioso.

Sahib Shihab è, indubbiamente, uno di quei musicisti che colorano straordinariamente la storia del jazz e, nonostante sia stato dotato di un grande eclettismo musicale e di una capacità fuori dall’ordinario di “leggere” la musica, risulta essere tra i più sottovalutati e discussi. Anche la sua vicenda personale è difficile da ricostruire. Poche note, poche tracce bibliografiche, poche discussioni e dichiarazioni, quasi fosse stato di semplice passaggio nel panorama jazzistico mondiale. E, cercando notizie sulla sua vita – nella passione per il jazz, per la black music, non è possibile estrapolare la vicenda personale dell’artista ed affrontare solo ed esclusivamente la ricostruzione della produzione musicale - scopriamo che la sua conversione all'Islam avvenuta nel 1947 ( nacque a Savannah, Georgia, con il nome di Edmond Gregory) segna, in un certo senso, oltre che una fase importante della sua vicenda umana, un aspetto importantissimo della sua crescita professionale. Contemporaneamente all'adesione all'Islam , infatti, dopo aver iniziato a suonare il sax alto nella band di Luther, Henderson – a soli 13 anni -, poi in quella di Roy Eldridge, Shaib – il Signore meraviglioso ( significato dell nome Sahib…) – incontra Theolonius Monk, col quale nasce una forte e durevole amicizia, e Charlie Parker. Da Monk e Parker assume l'individualismo, l'anticonformismo e l'improvvisazione e, acquisendo tutti gli aspetti tipici e tecnici del Hard Bop, divenne un bopper e si dedicò allo studio del baritono ed all'uso del flauto.
La collaborazione con Monk andò avanti per tutto il decennio interponendo ad essa altri grandi incontri: Art Blakey, Tadd Dameron, Dizzy Gillespie, Oscar Pettiford, Miles Davis, Kenny Dorham, Illinois Jacquet e John Coltrane. Il contatto continuo con grandi musicisti – e nell’elenco delle session di registrazione a cui Shihab partecipò, come abbiamo, anche, visto ce ne sono d’immensi, gli permise di affinare la sua tecnica sino ad acquisire piena padronanza dello strumento.
Nel 1959 entrò a far parte dell'orchestra di Quincy Jones e, al termine della tournée in Europa per la presentazione del musical “ “Free and Easy”, si trasferì in Danimarca dove intraprese una splendida carriera di compositore di colonne sonore.
Il Sahib Shihab di cui vi voglio parlare è quello che, da questo momento in poi, entra a far parte, stabilmente, della Clarke – Boland Big Band e di tutte le composizioni di combo che da essa deriveranno. Queste composizioni metteranno in evidenza un Shihab dalla grandissima verve improvvisativa, dotata di una forza spiazzante ed esplosiva, derivatagli dall'esperienze nelle session dei grandi jazzisti americani, e dalla capacità interpretativa oltre misura.
La produzione della Big Band è sterminata avendo al suo interno, visti anche i nomi che la componevano, la possibilità di esaltare, di volta in volta, ogni possibile composizione di combo e Shihab, col suo sax, col suo flauto, con la voce prestata ad alcuni brani significativi ed eleganti, si tuffa a capofitto nel progetto diventandone un elemento fondamentale e imprescindibile. Le sue prestazioni, il suo apporto, aggiungono eleganza, raffinatezza ad un sound già di per se unico e affascinate. Lo vediamo essere, con i suoi soli, al sax ed al flauto, la sua splendida voce, calda e profonda, un leader in grado di apparire e nascondesi consentendo agli altri musicisti che l’hanno affiancato di essere corollari perfetti di un racconto senza fine. La musica è anche questo.
In “Set Up”( And All Those Cats), brano scritto da Jimmy Woode – basso - e suonato con da K. Clark - batteria – F. Boland – piano -, la splendida sezione ritmica della Big Band, F. Sadi – vibrafono -, il sax baritono emerge con forza e con espressioni aggressive dolci ci trasporta, attraverso la ritmica di stampo latin con influssi tipici del boppismo di Blakey dove la batteria ripete incessantemente il tocco delicato evitando, quasi totalmente l'uso dei piatti, in una realtà di stampo tipicamente americano. Siamo nel periodo in cui lo swing inizia a lasciare definitivamente il passo a nuove espressioni in cui la mutevolezza della forma della band permette ai musicisti di esprimere nuovi ed efficaci suoni. E l’esperienza nella Quincy Jones Big Band con cui arrivò in Europa è evidentissima nell’uso del sax baritono su ritmiche di stampo latin.
In “Yah, yah blues” ( in And All Those Cats), brano a firma di Shihab, alla formazione in chiave di sestetto della Big Band, si aggiunge un coretto che accompagna, con vocalismi leggeri e orchestrali, da coro appunto, il gioco di continue chiamate solistiche tra piano, vibrafono, sax baritono e flauto, entrambi suonati da Shihab, che nell'espressività del brano, nella registrazione del 1966, al minuto 3 e 30, dopo aver terminato un solo di chiaro richiamo mediorientale, introduce nuovamente il coro lasciando all'ascoltatore una piccola visione onirica.
L'estro solistico di Shihab si esalta, confermandoci la sua grande tecnica, in “Djdar Diar” ( in And All Those Cats), composizione di Jimmy Woode, dove, dopo un inizio modulato in cui la base ritmica, che esprime un tempo lento dal suono progressivo su cui s'inserisce, a sua volta, in maniera splendida, la voce delicata di Woode, che canta in una tonalità leggermente superiore agli strumenti, gioca un ruolo fondamentale crescendo di tempo e richiamando, con uno splendido lavoro di battuta sui piatti, delicato ed armonioso, l'intervento dei fiati. Ake Pearson, col suo trombone, gioca ad inseguire le tonalità cupe e basse del sax baritono e la sua presenza viene esaltata dal gioco copn Shihab. Ed è sorprendente pensare che il loop incessante prodotto dalla sezione ritmica è una sorta di moderno campionamento di “The Fever” di Peggy Lee. Nel complesso, questo brano che considero estremamente splendido, ha un'intensità emotiva che solo alcune volte, nei migliori brani di Coltrane, ho riscontrato.
La voce di Shihab risuona sensualmente suadente in “Please Don't Leave” (in Calypso Blues), esecuzione in chiave di sestetto della Big Band, ed esprime pienamente il senso del testo giocando uno dei richiami più belli del jazz europeo al latin jazz. Qui Shihab si produce anche in un solo di flauto avvolgente accompagnato da un lavoro ritmico che non ha eguali e che, nel suo insieme, ritroviamo nelle sonorità di molti combo contemporanei. “Please Don't Leave”, nel suo insieme è uno dei brani vocali più sognanti e trascinanti, dove la voce, inserita nel contesto, è vera e propria parte integrante del complesso musicale del brano. Se volete un consiglio, inseritelo in una di quelle compilation da far suonare in serate a lume di candela, fate girare il disco, spegnete le luci e lasciatevi trasportare…
Voce calda e suadente, sensuale, invitante, ritroviamo nell'altra splendida esecuzione di Shihab con il sestetto: “Lush Life” ( in Seed) di B. Strayhorn. Qui è una specie di battaglia con l'amico fraterno, il bassista Woode, altro splendido interprete vocale del sestetto che altre volte, in altre registrazioni ( in And All Those Cats), ha interpretato il brano in maniera magistrale. L'interpretazione di Shihab, ritrovabile solo in una registrazione accessoria e secondaria del sestetto e ripresentata, poi, in “Seed”, conferma la straordinaria capacità interpretativa di Shihab.
“End of Love Affair” (in And All Those Cats) di E. Redding, sempre in chiave di sestetto, presenta un Shihab che suona il tema base al flauto con un solo estremamente originale e lungo, su percussioni suonate da Joe Harrisis e bongos da Fats Sadi.
Un discorso a parte meritano “Peter's Waltz” e “Waltz For Seth” ( in And All Those Cats). Peter e Seth sono i due figli di Shihab e ciò fece esprimere Woode che disse: “L'aver pensato ai propri figli è una cosa che ha ispirato fortemente Shihab che si esprime, in entrambi i pezzi, in una performance straordinaria.”.
“Peter's Waltz” è un brano caratterizzato da percussioni su ritmi melodici e sensuali, che spaziano dal trequarti leggero e lounge a richiami swing dolcissimi. E si rimane affascinati, coinvolti dall'ascolto del solo di Shihab e da quello molto delicato di Boland con ampi momenti del pianismo armonioso e soffice delle presentazioni jazzistiche in trio di Bill Evans. Il sax è avvolgente, con una timbrica a tutto tondo e sfiora ogni grado delle scale sonore. Altro brano da ballare a luce di candela, ragazzi!
In “Waltz For Seth” la variazione è data da una ritmica più profonda, con richiami alle battute timbriche del latin jazz e dalla presenza del trombone di Ake Pearson che si produce in un inseguimento caldo delle sonorità del sax di Shihab.
Come al solito ho presentato solo alcuni brani, alcuni tra i miei preferiti. Facciamo un gioco: voi scoprite quale tra questi mi è più legato ed io vi faccio un regalo, ma voi, nel frattempo, fatevi un regalo stupendo: ascoltate Sahib Shihab ed innamoratevene.

Buona musica.

Marco Assanti



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