23/12/09

Jazz in Italy: BASSO VALDAMBRINI


Un Oscar dal Basso in una Taverna fumosa. È tempo di musica moderna.



All’inizio degli anni ’50 in Italia si viveva alla ricerca continua di locali in cui suonare ed ascoltare jazz. Le band, gli appassionati, le star, si aggiravano nelle notti sino a quando non trovavano il locale giusto in cui vivere atmosfere swing. E tra mignotte, papponi e spacciatori – spesso - a poca gente interessava cosa la band suonasse. Erano anni di sperimentazioni musicali e d’incontri improvvisi che suggellavano grandi storie jazz i cui protagonisti erano personaggi come: Lucio Capobianco, Flavio Ambrosetti, Franco Cerri, Franco Pisano, Gil Cuppini, Romano Mussolini, Attilio Donadio, Berto Pisano, Rodolfo Bonetto, Dino Piana, Renato Sellani, Giorgio Azzolini, Gianni Cazzolla, Gianni Basso ed Oscar Valdambrini.

Atmosfere fumose, aria pesante, gente di strada, nebbia e freddo… ripararsi in un locale, tra fumi di alcool, tabacco ed oppiacei, nella notte di Milano, e lì, trovarsi tra amici che swingavano qualcosa, era facile e affascinante.

Basso e Valdambrini si sono conosciuti in una notte così, nella Taverna Messicana di Milano nel 1956. In quel locale che, con la sua calca di gente ubriaca e urlante in arrivo da tutto il nord Italia - con treni e auto - per ascoltare e ballare swing, era il simbolo della fuoriuscita del jazz dalle cantine e che, presto, grazie alle frequentazioni di gente e musicisti, sarebbe diventato un luogo cult per il jazz italiano.

Gianni Basso ed Oscar Valdambrini diedero vita ad un connubio sfociato in una grandissima storia di musica ed amicizia che segnerà la storia del jazz italiano portandolo ai più alti livelli della scena jazzistica europea a cavallo degli anni ’50 – ’60.

Il loro primo disco, in formazione di quintetto, “Basso Valdambrini Quintet”, prevedeva: Gianni Basso – sax tenore, Oscar Valdambrini – tromba, Renato Sellani – pianoforte, Giorgio Azzolini – basso e Gianni Cazzolla – batteria, la stessa formazione delle session alla Taverna Messicana, la stessa formazione che, swingando, aveva provveduto a portare in alto il nome della Taverna Messicana. 12 tracce, rapide e facili nell’ascolto, che hanno nel vinile – per chi ha la fortuna di poterlo ascoltare – la perfetta riproduzione dell’atmosfera della Taverna.

La tromba di Valdambrini, la ritmica di Azzolini e Cazzolla, in “Lotar” - prima traccia a firma di Valdambrini - con un tempo frenetico e teso, grazie ad un magistrale lavoro incessante, sui piatti, di Gianni Cazzolla - tecnica che ricorda i dinamismi e le timbriche Hard Bop di Art Blakey, nei primi Jazz Messenger - e in “Fan-tan” (Freeman) sono un chiaro richiamo alla forza del Gerry Mulligan Sextet, ospite della Taverna in quegli stessi anni. Nulla da invidiare, prego. Anzi… e mentre suonano la famosissima “Parlami d’amore Mariù” (Bixio) caricandola del fantastico solo della tromba di Valdambrini e rendendola molto, ma molto più di una canzonetta da radio di quegli anni da dopo guerra, mi trasportano, ancora una volta, all’interno della taverna lasciandomi cercare uno sguardo di donna da accarezzare.

Gianni Basso è già un gigante, con il suo sax tenore, e sulle note del suo assolo in “Like someone in love” (Van Hausen) conferma quello che di grandioso ci farà ascoltare negli anni che verranno confidandomi che le parti solistiche saranno, nella produzione futura – queste sono le tracce di uno strepitoso inizio - , il vero punto di forza di una formazione che ha acquisito una straordinaria sicurezza suonando in quella Taverna Messicana che gli ha fatto da nursery.

Chet to Chet (Valdambrini) ultima traccia - anzi, lato b ultima traccia - non è solo un richiamo a quel Chet Baker che iniziava a perdersi tra balere, taverne e carceri italiane, tra giri di oppiacei e di donne compiacenti, è una conferma: il jazz italiano era maturo per affrancarsi dalla colonizzazione americana e francese.

In “Come out to wherever you are” (Styne) il quintetto è un quartetto: non suona il piano di Sellani e le vibrazioni acustiche, le variazioni della base ritmica del quintetto, sono lasciate all’interpretazione del basso di Azzolini. Questa è una composizione jazzistica atipica per quegli anni di hard bop e swing in cui il piano ha un ruolo essenziale per il buon esito del brano. Qui, il quintetto, diventato quartetto, anche senza il piano, non delude e, anzi, aggiunge ulteriori conferme alla duttilità del movimento jazz di cui già disponeva.

Le tracce sono 12, lo ripeto. Ve ne ho presentate solo 5. Non è incuranza, la mia. È voglia d’invitarvi alla ricerca, all’ascolto di brani che fanno parte di un disco, nel complesso, gradevole e affascinante, che ha segnato l’inizio di una nuova epoca nel jazz italiano.

Un ultima cosa: il quintetto veste sgargiante, giacca rigata rosso e bianco, camicia, pantaloni, scarpe e cappello bianco, scarpe nere, ma se ne infischia dei giudizi e della critica. Sono lì per suonare, per sfoggiare la sicurezza che hanno acquisito dalle mille e mille serate insieme e, anche se fumi, se gridi, piangi, ridi e balli, il sax di Basso e la tromba di Valdambrini continueranno a suonare.

Buona musica.

Vincenzo Altini



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