14/11/09

D'ANGELO


Talento naturale, esordio precoce, una carriera in discesa… solo due album ufficiali in quindici anni.
Se l’importanza di un cantante si dovesse misurare con il numero dei dischi realizzati, D’Angelo sarebbe nei bassifondi della classifica. Invece, Michael Eugene Archer, vero nome del cantante di Richmond (Virginia), è all’unanimità tra le stelle del nu soul. Q Magazine ha inserito il suo live tra i 50 concerti da vedere prima di morire e il critico musicale Robert Christgau lo ha definito "r’n’b Jesus”.

Cosa è successo a quel prodigioso ragazzino che nel 1992, a diciotto anni, vince una gara per cantanti alle prime armi nel tempio della musica nera, l’Apollo Theatre di Harlem, e che per la sua prima canzone di successo come autore, “You will know”, inserita nella colonna sonora del film “Jason’s Lyric”, può contare sul supporto di Boyz II Men, Gerald Levert e Lenny Kravitz?
La sua vita sregolata - arresto per possesso di droga, problemi con la giustizia, un incidente d’auto nel quale per poco non ci ha rimesso la pelle - non lo aiuta ad avere una costanza artistica, ma è molto più probabile che gli piaccia prendersi il suo tempo ed incidere solo quando tutti gli elementi dell’universo sono in armonia, ovvero quando il risultato è perfetto.
Pochi dischi, qualità quanto basta per unire pubblico e critica, amanti dell’hip hop e dell’r’n’b, affascinati da questo artista che mescola la voce sensuale di Marvin Gaye al falsetto di Prince, con un linguaggio non lontano da quello dei dischi rap.

Nell’album d’esordio, “Brown sugar” (1995), D’Angelo suona quasi tutti gli strumenti ed è autore della maggior parte delle canzoni. L’atmosfera è quella raffinata, ma non “leccata”, di un classico disco r’n’b e D’Angelo, come un moderno crooner dalla voce sexy e rassicurante, ci parla di storie d’amore, ma anche di sesso e tradimenti (“Shit, Damn, Motherfucker”). Vecchio e nuovo si combinano alla perfezione, anche nella scelta degli strumenti: si va dal sapore vintage dell’organo Hammond ai beat moderni dei computer.
La canzone di maggiore successo è “Lady”, per settimane nella top ten americana, scritta con il contributo di Raphael Saadiq. Altre partecipazioni eccellenti sono quelle di Ali Shaheed Muhammad dei Tribe Called Quest, co-produttore della title track “Brown sugar”, e di Angie Stone, dalla quale D’Angelo ha anche avuto un figlio, autrice di “Jonz in my bonz”. Da non trascurare “Cruisin’”, cover di un vecchio successo di Smokey Robinson.

Passano cinque anni e, nel 2000, arriva “Voodoo”, l’album della maturità, nel quale D’Angelo chiama a raccolta tanti amici musicisti in una sorta di rito collettivo guidato dalla musica. L’aria che si respira è quella di un jazz club di New Orleans, senza fronzoli, con molto fumo e molto calore, nel quale, pian piano, la temperatura sale, ci si alza dalla sedia e si inizia a ballare seguendo il ritmo ipnotico, i musicisti si divertono e il pubblico va in delirio. Il suono, più vero e deciso del disco precedente, prende le distanze dall’r’n’b di quel periodo, troppo pop e lontano dalla tradizione della musica nera. Anche le tematiche affrontate sono più mature: non solo amore e sesso, ma anche fede, crescita e paternità.
All’ottima riuscita del disco, vincitore del grammy come “best r’n’b album” dell’anno, contribuiscono musicisti come Ahmir "Questlove" Thompson, batterista dei Roots, Pino Palladino, Charlie Hunter e Roy Hargrove. La lista degli ospiti non finisce qui. Dj Premier dà la carica in “Devil’s pie”, Angie Stone è co-autrice di “Send it on”, mentre Method Man e Redman personalizzano alla loro maniera “Left & Right”, originariamente pensata per Q-Tip.
Tra i momenti più importanti dell’album, “Spanish joint”, un latin jazz ricco di fiati, la spirituale “Africa”, una splendida cover di “Feel like makin’ love”, cavallo di battaglia di Roberta Flack, e, soprattutto, “Untitled (How does it feel)”. Quest’ultimo brano, pervaso di sensualità dalla prima all’ultima nota e ricordato anche per il video nel quale il cantante compare nudo fino ai fianchi (ma forse lo era anche sotto), è scritto insieme a Raphael Saadiq e rappresenta un tributo a Prince, tra i principali riferimenti musicali di D’Angelo.

Dal 2000 in poi, una raccolta di successi, inediti, rarità ed esibizioni dal vivo, intitolata “The best so far”, realizzata soprattutto per accontentare le richieste dei fan, il “Live at the Jazz Cafe”, stampa giapponese difficile da trovare, qualche bootleg, tra i quali “Yoda: the monarch of neo soul”, una sorta di mixtape dalla registrazione pessima, e tante collaborazioni (con Q-Tip, J-Dilla, Roy Hargrove, Erykah Badu, Lauryn Hill, Snoop Dogg).

Sul suo MySpace, da tempo si parla di un nuovo album in arrivo, che dovrebbe intitolarsi “Playa playa 1”, o “James River”, al quale - voci di corridoio - dovrebbero dare il contributo Mark Ronson, Cee-lo, Roy Hargrove, Raphael Saadiq e, nientepopodimenochè, Prince.
Nell’attesa, godiamoci “I found my smile again”, nella nuova versione contenuta in “The best so far…”, sperando che il meglio debba ancora arrivare.


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