06/11/12

AMY WINEHOUSE



Acquistare Lioness: Hidden Treasures (2011) è stata una impresa per molti fan di Amy Winehouse.
Perché pensi che un lavoro postumo possa essere incompleto, con pezzi rabberciati alla meglio, realizzati senza aver rispettato le volontà dell’artista. Oppure perché sai che, se fosse il disco migliore di Amy, saresti attanagliato dal rimpianto e dalla malinconia di non poterla più ascoltare un’altra volta.

Il testamento musicale di Amy Winehouse è un po’ tutte queste cose messe insieme.
Puoi trovarci piccole perle, come la versione reggaeggiante di Our day will come di Ruby & the Romantics, o Body and soul con Tony Bennett, probabilmente l’ultima vera incisione in studio di Amy, ripresa in un video nel quale i due si guardano con quel mix di attrazione e rispetto, l’uno rapito dal talento di lei, l’altra in ossequio al mito di un meraviglioso mondo al quale apparteneva anche Frank Sinatra, altro grande punto di riferimento di Amy.
In Like smoke, basata su un coro di Amy che si ripete per tutto il brano, si realizza finalmente l’unione con Nas. Stessa data di nascita (14 settembre), stesso produttore (Salaam Remi), e un continuo inseguirsi fatto di sample e giochi di parole: In my bed di Amy, contenuta in Frank, si sviluppa sul campionamento di Made you hook di Nas, il mr Jones di Me & Mr Jones (da Back to black) è proprio il rapper statunitense, che di cognome fa Jones.
Troviamo anche qualche pezzo in fase di lavorazione, che segue la linea del secondo album (Between the cheats, Will you still love me tomorrow), le versioni originali, e più asciutte, di Tears dry on their own e di Wake up alone, una versione alternativa - la preferita di Amy - di Valerie e la sua interpretazione di The girl from Ipanema. Questo classico della bossanova è proprio il brano con il quale Amy, armata di chitarra e di carisma, si è presentata a Salaam Remi, il produttore di Frank, il suo primo disco.

Nell’album di esordio (2003) c’è tutto il talento, ancora inespresso, di questa giovane cantante britannica, ma anche la sua voglia di rompere gli schemi e non restare ingabbiata in un cliché.
L’errore di Remi, ottimo produttore di Fugees e Nas, è proprio quello di voler inserire la sua voce in un suono perfetto da moderno jazz club, che mal si addice alla sregolatezza di Amy. Lei è quel tipo di cantante che va lasciata a briglie sciolte, che quando sta per salire sul palco, più che sostenere un concerto, sembra dover andare a fare shopping da H&M, ma che quando è lì, ed è nella serata giusta, puo’ tenere testa anche a Mick Jagger, come è successo nel 2007 durante il festival dell’isola di Wight.

Amy non è la stellina del r’n’b tutta honey e sugar, piuttosto non le manda a dire al maschio di turno, come succede in Stronger than me, primo singolo di Frank, che la rivela al grande pubblico.
È un concentrato di Count Basie, Frank Sinatra, Donny Hataway, Sarah Vaugan, Salt’n’Pepa e Beastie Boys: una miscela esplosiva, elegante e sfrontata al tempo stesso, che la fa diventare unica.
Il disco pur essendo schietto, Frank appunto, e ricco di spunti interessanti che fanno pensare alla nascita di una nuova stella, non convince del tutto Amy, che dichiara di sentirlo suo solo al 20% e che preferisce cantarlo durante i live ma non riascoltarlo.

Probabilmente c'è più sintonia con Mark Ronson, il produttore di Back to black (2006), il disco della consacrazione a livelli mondiali. Come se fosse un fratello maggiore, Mark la ascolta pazientemente in lunghe chiacchierate, in studio o lungo le strade di Manhattan, e coglie la voglia di Amy di fare un salto nel soul degli anni ’60, quello delle Ronettes e di Aretha Franklin, della Motown e della Stax, realizzato con voci femminili formidabili e band vigorose. Grazie anche all’apporto dei Dap Kings, il “gruppo di casa” della etichetta Daptone, che accompagna costantemente Sharon Jones in album e tour, Amy e Mark riescono a creare un’atmosfera speciale e un suono vintage, reso attuale dai temi trattati nelle canzoni. Dal famoso invito a ricorrere alle cure in Rehab, al quale Amy risponde con uno strafottente “No, no, no”, al funerale del suo cuore - celebrato in un video a tinte dark - in Back to black, dall’avvertimento di You know I’m no good (Ti ho detto che sono una combina guai, lo sai che non sono buona) ai dolori e alle sofferenze di Love is a losing game e Tears dry on their own.

In questi pezzi c’è tutta Amy, senza barriere e filtri, come se si guardasse allo specchio e ci raccontasse quello che prova. Ci sono la sua sensibilità e la sua ironia, la sua onestà e la sua vulnerabilità, i suoi problemi con la droga e l’alcol, la tormentata storia d’amore con Blake Fielder-Civil, i suoi idoli e i suoi demoni, ma soprattutto il suo grande talento. Ed è quello che ci mancherà e che difficilmente riusciremo a trovare a breve in un’altra artista.



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