06/10/11

WAYNE SHORTER


Definire Shorter “sassofonista” è un’espressione corretta ma, nella sua semplicità, estremamente restrittiva. In realtà quando si parla di lui ci si deve preparare ad affrontare la storia del jazz degli ultimi 50 anni: Shorter è, infatti, uno dei più grandi e rivoluzionari musicisti. In quest’ottica, allora, considerando il jazz come libera espressione anche rivoluzionaria si può dire che Shorter sia jazz. Vi spiego il perché.

Le sue prime apparizioni sulla scena si riscontrano tra il 1956 e il 1958 anni in cui suona, quasi casualmente, con personaggi del calibro di Horace Silver, Nat Phipps e Maynard Ferguson (nella cui formazione transitò, anche, Joe Zawinul) facendosi conoscere per un carattere decisamente allegro e determinato. Fu grazie a questa caratteristica ed alla completa lontananza dal mondo dell’eroina che spinse Art Blakey, su segnalazione di Silver, a chiamarlo a sostituire il sax di Hank Mobley nei Jazz Messengers. Fu l’occasione della sua vita.

In un periodo caratterizzato dalla ricerca di esplorazioni musicali, con nuovi suoni e arrangiamenti che iniziavano ad emergere, il ruolo di Shorter all’interno dei Messengers fu quello di mantenere i piedi per terra e continuare l’esplorazione dell’hard bop dirigendone il suono verso frontiere meno spinte e più facili da affrontare.
Shorter divenne il direttore artistico dei Messengers, scrivendo e riarrangiando pezzi che avrebbero dato nuove direzioni all’hard bop. Esempio di ciò è dato dagli album Buhaina’s Delight (Blue Note), Art Blakey & The Jazz Messengers (Impulse) e Caravan (Riverside), tutti pubblicati tra il 1961 ed il 1962, dove a brani di nuova produzione, scritti da Shorter, Walton, e Hubbard, si alternano arrangiamenti in cui si evidenzia, nella cura del sound, un ruolo sempre più forte della sezione fiati a discapito della sezione ritmica.

Il 1964 è l’anno del debutto solista di Shorter per la Blue Note. Night Dreamer, JuJu (dove appare l’intera ritmica del quartetto di John Coltrane) e poi Speak No Evil, sono tre album fondamentali in cui il sound alterna momenti classici ed essenziali (Night Dreamer) a punte di ricerca sonora di stampo coltraniano (Mahjong e JuJu). Questi tre album furono il biglietto da visita con cui Shorter si presentò a Miles Davis.

In realtà fu Coltrane, stimando in particolar modo Shorter, a proporlo a Miles Davis in sostituzione dei vari Stitt, Coleman, Rivers e, nuovamente, Hank Mobley.

Il quintetto che ne venne fuori ha qualcosa di eccezionale al punto che Davis lo considerava il secondo miglior quintetto della sua storia. Del resto, con gente come Shorter, Hancock, Ron Carter e Tony Williams non avrebbe potuto essere altrimenti. Questo quintetto fu caratterizzato dalla presenza di quel gruppo di giovani musicisti che a livello critico erano considerati le migliori promesse del jazz per singolo strumento e la loro abilità andava oltre quelle che erano le singole aspettative. Il Miles Davis Quintet è, ancora oggi, citato come base essenziale dell’espressione jazz e una delle più influenti formazioni. La ragione di tale considerazione è nell’unicità del suono prodotto: ancora una volta si hanno momenti sonori di hard bop e sperimentazione solistica intervallati ad espressioni classiche e morbide.

Shorter compose per il quintetto Prince of Darknes, E.S.P., Footprints, Sanctuary, Nefertity e molti altri brani importantissimi nella discografia di Davis e Herbie Hancock arrivò a definirlo il miglior maestro di composizione con cui avesse mai avuto modo di lavorare. Lo stesso Davis – una volta tanto – definendo Shorter un grande compositore, ebbe modo di complimentarsi attribuendogli il valore assoluto di saper “…riconoscere nella musica che la libertà è l’abilità che ogni musicista ha di capire quando il suono d’insieme sia preponderante su quello che è il proprio lavoro…”.

Il quintetto di Davis si sciolse nel 1968 e Shorter continuò a partecipare ai progetti di Miles senza trascurare la produzione solistica per la Blue Note. Schizofrenia e Super Nova 8 (con Chick Corea e John Mclaughlin), seguenti a Adam’s Apple - dove appaiono tocchi di free jazz -, furono il preludio al salto successivo che si rese evidente e necessario a seguito della grossa collaborazione data a Miles Davis per Filles De Kilimanjaro, In A Silent Way e Bitches Blue.

Dal 1970, tranne che per alcuni live con Miles Davis, Wayne Shorter abbandona il sax tenore e dedica le sue attenzioni allo studio del sax soprano. Moto Grosso e Odyssey Of Iska furono il passo definitivo verso il sax soprano.

Odyssey Of Iska rappresenta un ulteriore passaggio: subito dopo l’uscita del disco, reincontrando Joe Zawinul, con Miroslaw Vitous, Airto moreira a Alphonse Mounzon nacquero i Weather Report, al confine tra jazz e rock, vera e propria band leader del movimento jazz fusion. Con la guida combinata di Shorter e Zawinul i Reaport hanno prodotto tra i più importanti brani jazz fusion con musicisti come Pastorius e molti altri che si sono susseguiti nella mitica formazione. Ognuno di questi musicisti ha potuto conoscere la straordinaria capacità direttiva e compositiva di Shorter sino al 1985 anno in cui Shorter lascia i Reaport.

Si susseguono collaborazioni e progetti di varia importanza e natura. Da segnalare: Native Dancer with Milton Nascimento (1974), Live at Montroux Jazz Festival with Carlos Santana (1988), 1 + 1 with Herbie Hancock (1997) tutte collaborazioni che hanno prodotto dischi usciti a nome di Shorter e molte collaborazioni con musicisti di vario genere, tra cui Pino Daniele per Bella ‘mbriana.

La carriera di Shorter toccando punti di riferimento che vanno oltre la moda del momento può essere definita jazz.

Jazz è un modo di approcciare la musica dove tutto è curiosità. Dove tutto è musica. Senza pregiudizi, senza essenza, senza intellettualismi.
Buona musica.

Vincenzo Altini



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