08/07/10

JOHN COLTRANE


John Coltrane: Giant Steps - 1959


La musica è il più grande contenitore di espressioni che la razza umana abbia prodotto. È una forma di comunicazione, artistica e oltre, che ha sempre accompagnato l’umanità. Da uno sguardo nel mondo, nella storia, nella socialità, nei tempi, osserviamo che la musica si caratterizza per un’infinità di tipologie, con modalità di esecuzione differenti, che, anche se la diversificano per spazio e tempo, non le levano l’appellativo di musica. Se, d’altro canto, provassimo a spiegarci, per individuare il momento in cui l’essere umano ha iniziato a far musica, l’esigenza che ha spinto l'uomo a produrre suoni, dovremmo pensare essenzialmente ad un battere qualcosa contro qualcos’altro ai fini della caccia – la fame muove sempre gli istinti e le ragioni – e ai fini della comunicazione. In quest’ultima specie rientrano gli aspetti che la musica volge al sociale: con la musica parliamo, ragioniamo, studiamo, c’innamoriamo, piangiamo, ridiamo, festeggiamo. I momenti più importanti della nostra esistenza sono accompagnati da vibrazioni – la musica non è altro che produzione di vibrazioni a determinate frequenze - come se tutto fosse sigillato da questa straordinaria forma di espressione. Dal momento in cui nasciamo sino a quello in cui ritorniamo alla terra, siamo accompagnati da suoni.

La musica ci insegna ad essere quel che vorremmo: ci spiega cosa fare.

La musica ci fa sentire parte di qualcosa: ci indica la via.

La musica non ha un tempo: non ha luogo, non ha inizio e non ha fine.

Non esiste la musica perfetta, quella assoluta. Non esiste la musica bella, ne la musica brutta. Esiste quel che “mi piace” e quel che “non mi piace”. Esiste quel che so ascoltare e quel che non riesco ad ascoltare. Esiste quel che vorrei ascoltare per sempre…

Se penso ad una musica: penso jazz. E se dovessi pensare ad una scala di valori dei musicisti, stilare una classifica di jazzisti per ogni strumento, oppure parlare di musica, così, in senso di dare una definizione complessiva di quel che intendo come "musica", non potrei fare a meno di parlare di John Coltrane.

Coltrane è sinonimo di musica. di musicalità a tutti gli effetti. E' quel musicista che suonando un qualunque pezzo mi farebbe mettere, subito, un "mi piace". E' quel musicista in grado di rendere jazz ogni cosa.

John Coltrane sarebbe ai primi posti di quasi tutte le classifiche che possono venirmi in mente: dell’abilità nello suonare gli strumenti che suonava – dal sax tenore, soprano e contralto al flauto al basso alla batteria e al piano ( scriveva i suoi pezzi partendo dal piano e costruendoci su la ritmica. Solo in un secondo momento si occupava dei fiati, del sax…) – e dell’abilità che avrebbe mostrato avere nel suonare gli strumenti che avrei voluto vedergli suonare. Sarebbe anche ai primi posti della musica che voglio sempre ascoltare, quella che non mi stanco mai di sentire. Sarebbe ai primi posti dei musicisti che avrei voluto vedere dal vivo… di quelli che vorrei resuscitare. Sarebbe ai primi posti di quelli che vorrei clonare e di quelli che avrei voluto, anche solo fortuitamente, sfiorare. Quest’ultimo desiderio, in un certo senso, nel 1998, l’ho esaudito: ho stretto la mano di Ravi Coltrane a Foggia, durante un festival organizzato da Gegè Telesforo. Ma la soddisfazione, ad essere sincero, non è stata la stessa…

John Coltrane. Cosa dire di lui??? Tacere… forse annullarsi e spegnere tutto e chiudere le imposte. Nulla. Di Coltrane non si può parlare. Di Coltrane si può solo tacere e lasciare che siamo i suoi dischi a parlare.

Ma anche questo non è semplice. Quale disco scegliere? Forse My Favourite Things con il sax soprano che gira le note ( Davis gli aveva consigliato di provare a suonare il soprano) su sonorità orientaleggianti (Lateef gli aveva”suggerito” i giri armonici orientali). Forse A Love Supreme… dedicato a Dio e – dice la leggenda – scritto dopo aver sognato il Signore e il suo amore ( resta il dubbio che il disco sia, cmq, dedicato alla moglie…) in una sola notte. Forse Giant Steps con il suo vorticoso giro armonico di scale e di toni... Forse Ascension dalla copertina semplicemente bellissima…

Facciamo così: inizio scrivere, inizio a raccontarvi qualcosa di Coltrane ( è solo un inizio, sia chiaro… il resto lo leggerete altre ed altre volte…) e voi, semplicemente cliccando sul tubo o facendo girare le puntine sui vostri dischi a casa, nelle vostre camerette, ascoltate My Favourite Things, Giant Steps, Oleo, Naima e Woodyn’You…

Andiamo…

All’inizio del 1959 Coltrane non aveva un gruppo fisso ed era alla ricerca di una dimensione propria, di un suo modo di fare musica che potesse racchiudere, nelle scale e nelle note, la sua straordinaria formazione culturale. Coltrane era un divoratore di testi, leggeva di tutto, da trattati scientifici a testi di teologia e filosofia, da libri di architettura a volumi di psicologia e medici. Non trascurava nulla, la sua era una cultura poliedrica vastissima spinta da una curiosità in continuo fermento che lo spingeva ad approfondire ogni cosa. “…Ho vissuto per molto tempo nell’oscurità perché mi accontentavo di suonare quello che ci si aspettava da me, senza cercare di aggiungerci qualcosa di mio… “ ( Coltrane).

Il suo viaggio, nella musica, era iniziato anni prima quando, all’età 13 anni, iniziò a suonare il clarinetto nella banda di boy scout di High Point e proseguì suonando il sax contralto durante gli anni del liceo. Agli inizi degli anni ’50, collaborando con varie band, tra cui l’orchestra di Dizzy Gillespie, passò, più volte, dal sax contralto al sax tenore. Nel 1955 sposò Juanita Grubbs ( Naima) ed iniziò a collaborare con Miles Davis.

Davis, all’inizio, non fu entusiasta della cosa: tra lui e Trane c’erano troppe differenze e, Sonny Rollins, che Coltrane era stato chiamato a sostituire nella formazione davisiana, aveva, secondo i canoni di Miles, un suono di gran lunga superiore.

Davis era già un divo, abituato a gestire le cose in assoluta autonomia ed indipendenza e gli altri musicisti, per lui, non erano altro che uno strumento per arrivare alla produzione della “nota perfetta”, oggetto della ricerca davisiana. Per far questo, Miles, nell’organizzare la sua musica, non diceva nulla, non spiegava niente a nessuno, manteneva il segreto sulle soluzioni armoniche e sulle strutture, e dirigeva i suoi musicisti a gesti, a sussurri, a sguardi, con le spalle rivolte al pubblico. Il risultato era un suono liscio e perfetto, senza cuciture visibili. Difficile da capire e da smontare.

Coltrane aveva una visione più dinamica, libera, pronta ad osservare altri punti di vista, in grado di “sentire” piccole variazioni all’interno di ogni nota e con la capacità di essere avvolgente e sfuggente nel suo suono. Voleva esser parte della musica, capirne le dinamiche, mostrarle ad altri, impararne e diffonderne i segreti. Era spirituale, credente e, musicalmente, si trasformava in un sassofonista materiale e pragmatico: voleva conoscere ogni piccola variazione racchiusa in una nota.

Il provino di Coltrane fu entusiasmante: conosceva alla perfezione ogni nota ed ogni accordo. Era come se avesse suonato da sempre con Davis, come se ne conoscesse i segreti delle dinamiche e sapesse smontare la costruzione armonica di ogni singolo pezzo.

Il periodo davisiano di Coltrane produsse, con Davis, capolavori assoluti - pezzi come Two Bass Hit, Little Melomane, If I Were A Bell, I Could Write A Book e Budo e Oleo e Woodyn’You. In dischi come Milestones (1958), Cookin’ (1956), Relaxin’ (1956), Workin’ (1956), Streamin’ (1956) – e come band leader - Blue Train ( 1957) e Coltrane Time ( 1958) per la Blue Note, Lush Life (1957) e Soultrane (1958) per la Original Jazz Classic e The Stardast Session (1958) per la Prestige – dischi che rappresentano un Coltrane non ancora in grado di spiccare il volo, legato alle sonorità Bop, innamorato del suono del sax di Parker, ma che lasciano, al primo ascolto, la precisa sensazione di trovarsi su un trampolino in attesa di un balzo.

Con Miles, fu amore ed odio. Amore per la capacità di far proprio il suono. Odio, per le enormi differenze caratteriali. Miles era un orso presuntuoso e con la sindrome della primadonna, John era un chiacchierone giocherellone entusiasta e, soprattutto, un leader nato. La collaborazione, durata senza interruzioni per un periodo di circa 5 anni, poi ripresentatasi in forma estremamente estemporanea sino al 1962, produsse autentici capolavori come Budo, Oleo e Woodyn’You. Oggi, col senno di poi, possiamo considerare questi pezzi l’espressione reale della perfezione coltraniana, prima degli sviluppi modali, e vedere Miles Davis come se fosse un intruso capitato per caso. I canoni stilistici musicali riportati in questi brani indicano il momento storico di passaggio da epoche jazzistiche: sono, questi pezzi, indicatori della nascita del jazz modale. In poche parole, in questi brani ritroviamo l’essenza di quella che sarebbe stata la rottura del sodalizio con Miles Davis e l’inizio di una vera e propria nuova era del jazz.

Budo – ad esempio - ha un assolo coltraniano perfetto, senza sbavature, senza “code” sciatte o frasi interrotte a mezz’aria.

Oleo è una continua ghirlanda di frasi, come trovarsi in un giardino fiorito, inebriato dagli odori e avvolto dal vento. Solo che vento ed odori sono note e scale e accordi e frasi, e il tappeto erboso è la costruzione ritmiche di batteria basso e la tromba suonata da un certo Miles Davis assume un ruolo di singola spettatrice.

Eppoi Woodyn’You… il solo di Coltrane è altra musica. È espressione di uno stato d’animo che contrasta con la perfezione cercata da Davis. È un suono, da se, perfetto e straripante, un grido dell’anima, una ribellione voluta e cercata. C’è, in Woodyn’You, una nota lamentosa che fa capolino da dietro la tromba di Davis, contrastando con essa e lasciandola, quasi di sasso. Era il jazz modale che faceva capolino. Era espressione, prolungamento dell’emozione, variazione di tempi e di temi. Tutto con una sola nota.

Sono tre pezzi in cui, in un certo senso, con i suoi soli pieni di citazioni, Coltrane preannuncia un passaggio ad una fase più intellettuale e colta della sua musica che verrà vista come un elemento del mondo e base per comunicare sensazioni, necessità in un linguaggio universale e libero.

Il canto del cigno dell’esperienza con Miles Davis fu Kind of Blue, quello che è considerato il disco perfetto. Davis impostò le soluzioni armoniche facendo un passo avanti verso le posizioni musicali di Coltrane. Nella session di registrazione, Davis non diede istruzioni ai suoi musicisti e mostrò loro lo schema dei pezzi con l’indicazione di semplici scale. Per la prima volta, fu data massima libertà e i musicisti non erano più, solo, strumenti ma uomini, collaboratori da dirigere e far entrare in un quadro. Il ruolo di Coltrane è perfettamente indicato in Flamengo Sketches con una struttura molto ardita: i musicisti non ebbero altro che l’indicazione di cinque scale da suonare nell’ordine e l’assolo di Coltrane è uno spettacolo di armonie che si prolungano oltre il richiamo di Davis. La quarta scala, quella Flamengo, prende in contropiede Bill Evans al piano e lo lascia spiazzato, muto, per qualche istante isolato.

Nel 1959, Coltrane era, ancora, all’età di 33 anni, alla ricerca della sua via, ma nei circoli intellettuali si parlava ampiamente di lui. “…Quando Coltrane cominciò ad incidere era praticamente impossibile sentire alla radio i suoi dischi. Eppure gli album vendevano molto bene e noi continuavamo a chiederci chi li comprasse… Poi andai in tour assieme a Stan Keton… e quando arrivai in un campus e mi ritrovai tra studenti musicisti, capii: volevano parlare solo di John Coltrane. Avevano tutti i suoi dischi…”. (Bob Thiele jr).

Coltrane mal sopportava Davis e aveva un’idea di musica che gli ronzava per la testa…“…Stavo provando a fare qualcosa… C’era qualcosa che volevo fare musicalmente e arrivai alla conclusione che potevo fare due cose. Avere un gruppo che suonasse nel modo in cui eravamo soliti suonare, o un gruppo che seguisse le direzione che ora ha preso il mio gruppo…” (Coltrane).

Nel 1959 prese la storica decisione: lasciare l'ensamble davisiana e iniziare un nuovo viaggio.

La formazione che entrò in sala di registrazione il 4 e il 5 maggio 1959, con Coltrane, non era, ancora, quella che avrebbe prodotto dischi di valore assoluto, il celebre John Coltrane Quartet, ma, Tommy Flanagan al piano, Art Taylor alla batteria e Paul Chambers al basso ( considerato da Trane uno dei maggiori contrabassisti di sempre al punto da dedicarli un brano, Mr P.C. ndr), hanno contribuito a cambiare il senso della musica jazz. Nacque Giant Steps ( Atlantic).

Il disco ha una struttura da live, così come Coltrane la intendeva, con i musicisti che possono allungare a piacere i propri giri armonici. La tecnica richiedeva che i soli fossero richiamati dalla ritmica con un fraseggio continuo e non ascendente di battuta e che l’intervento della ritmica fosse, a sua volta, richiamato, dal sax e dal piano e dal basso, con dei piccoli segnali di avvertimento: frammenti di variazioni del tema nascosti nell’assolo. Per far ciò occorrono, ovviamente, una straordinaria sicurezza e affiatamento tra le parti con meccanismi che, interiorizzatisi, verranno, poi, ripetuti tutti d’un fiato. Ciò che è straordinario è la continua ed incessante opera di esplorazione e di scavo all’interno del giro armonico con una ricerca infinita, fatta di piccoli grandi progressi, di un suono portatore di un messaggio. Il titolo - Giant Steps – allude, non solo, ai continui progressi che Coltrane va facendo di giorno in giorno ma, anche, ai paurosi salti che l’improvvisatore deve affrontare di continuo. La tecnica non è semplice. L’improvvisatore deve sentirsi completamente padrone della melodia, deve vederla con i propri occhi, sentirne le differenze e le diversità come se la stessa melodia fosse suonata da tutte le popolazioni del mondo.“…Non so esattamente ciò che sto cercando, qualcosa che non è stato ancora suonato. Non so che cosa è. So che lo sentirò nel momento in cui me ne impossesserò, ma anche allora continuerò a cercare… - ancora... - E’ cominciato, per me, il periodo modale. Se ne suona di musica modale nel mondo. In Africa per esempio, essa ha un rilievo straordinario, ma verso qualunque altro paese cui si indirizzi lo sguardo – alla Spagna, alla Scozia, all’India o alla Cina – è sempre lo stesso tipo di musica che si impone all’attenzione. Esiste dunque una base comune. Ed è questo aspetto universale della musica che li interessa e mi attira, fungendo da traguardo…” (Coltrane ).

Giant Steps, il brano che da il titolo all’album, è, all’interno della sua costruzione armonica, un esempio della credenza numerologica di Coltrane. Le scale sono, infatti, costruite attorno alla continua ripetitività della sequenza di note invertite da un passaggio all’altro in una sorta di modulazione e rimodulazione della stessa sequenza. Con il numero 3 - sono tre le note usate - che si ripete all’infinito. È come se prendendo tre colori in un ordine prestabilito iniziassimo a cambiarne l’ordine, spostandone uno alla volta di posizione, o cambiando la tonalità del singolo colore, in un gioco che non avrebbe mai fine.

Con Giant Steps il jazz passa definitivamente da una dimensione popolare ad una dimensione colta ed intellettuale. Non è più, solo, espressione danzante e godereccia dei neri d’America. È qualcosa che ha, al suo interno, un messaggio ben preciso: spiritualità e forza ed espressività. Coltrane: “Il mio compito di musicista è trasformare gli schemi tradizionali del jazz, rinnovarli e soprattutto, migliorarli. In questo senso la musica può essere un mezzo capace di cambiare le idee della gente.”.

Giant Step si colloca lì, in mezzo, tra le progressioni Bop e le forza ascendente, intellettuale, curiosa e cercatrice del jazz modale. È un passaggio perfetto, un gradino oltre il quale c’è il futuro del suono, del jazz, e al di sotto il trascorso, il passato da comprendere e guardare con distacco. lo sguardo rivolto al futuro, nella ricerca e nell'apprendere nuove e nuove cose. Il sax di Coltrane dice a chiare lettere, con la sua forza, con la sua continuità di scale e progressioni, che prima di lui c’era solo il vuoto e che gli esercizio Bop sono stati solo, appunto, esercizi.

Giant Steps decretando la morte del boppismo, fece di Coltrane un icona al punto tale che la Impulse, quella casa discografica i cui dischi sono caratterizzati da copertine con bordo arancione e dalla presenza della “I!” su tutti i front, gli assegnò una sorta di corsia privilegiata che nessun altro musicista ebbe e avrebbe mai avuto

Larry Newton: “ Avevamo Max Roach, Chico Hamilton, Sonny Stitt, Charles Mingus, oltre a Freddie Hubbard, Coleman Hawkins e Johnny Hodges. C’era Ray Charles che guidava le classifiche con le sue Hit… Ma per noi, John Coltrane era l’artista jazz più importante. E di gran lunga…”.

Con la Impulse, Coltrane, chiuso a suo piacimento nelle sale di registrazione, per giorni interi e per pochi minuti, confezionò capolavori, elaborò il futuro della musica jazz.

Ma questa è un’altra storia…

Buona musica.


Vincenzo Altini

2 commenti:

  1. Grande Marco!
    Uno degli articoli più belli di BV!
    L'ho riletto oggi dopo un pò!
    Aspetto il seguito ;)

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  2. Non dimentichiamo il Coltrane più sperimentale... Ascension, Meditaions, Impressions per finire fino ad Om!

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