12/03/13

DUKE ELLINGTON




Parlare di Edward Kennedy Ellington è come raccontare la storia della musica del 20°secolo condensandola in una parola perchè Ellington è la musica del secolo scorso. Per quel che mi riguarda si può semplicemente condensare l’intero discorso partendo da una parola di quattro lettere, semplice e veloce, comprensibile in ogni lingua perché Ellington è universalmente riconosciuto come the DUKE.

La sera del 29 aprile 1969 Duke Ellington compiva 70 anni ed era alla Casa Bianca per ricevere la Medaglia della Libertà, l’ennesimo riconoscimento per una carriera senza limiti e senza soste: la sera seguente avrebbe diretto la sua orchestra al Civic Center di Oklahoma City. Strada… sempre in strada. La sua casa era la strada da oltre mezzo secolo. Da dove trarre ispirazione se non dalla propria casa? Ellington iniziò a suonare il piano giovanissimo, in adolescenza era già un band leader riconosciuto e stimato nella natia Washington. Poi, nel 1922 si trasferì a New York, per suonare nel complesso di Wilbur Sweatman ed entrare a far parte della prima storica big band, la Snowden’s Novetly Orchestra, in uno dei più eleganti locali di Harlem.

Harlem. Il centro della musica, il cuore del suono del ghetto. Il cuore della musica pulsante nelle notti, pieno di vita, di suoni di voglia di emergere. Harlem, culla dello swing in cui i temi orchestrali che rientravano nelle sonorità definite “growl” e “jungle” erano apprezzati e ricercati dai bianchi. Il jungle, in particolare, era gradito dai bianchi che vedevano nella gente nera creature non sviluppate e semplici, quasi primitive e legate alla loro terra madre, l’Africa, con giungle e savane i cui suoni esotici il jungle riproduceva. Lo stesso stile di Ellington, legato alla compiacenza della clientela – di prevalenza white - del Cotton Club, non era emancipato e raffinato. Lasciamo perdere gli arricciamenti di naso all'ennesima manifestazione razzistica della civiltà americana e contestualizziamo il periodo. Siamo negli anni 20, subito dopo la prima guerra mondiale e prima della grande depressione (in realtà il periodo di crisi fece compiere grossi passi verso l'integrazione sociale tra bianchi e neri: la povertà colpiva indistintamente tutti) e la popolazione afroamericana, nella maggior parte del territorio statunitense, viveva in vecchie capanne in zone senz'acqua e senza luce. Le grandi città, poi, accentuavano il divario con la creazione di agglomerati ghetti. Occorreva fare molta strada in tutti i sensi e la musica era lo strumento più facile ed immediato da utilizzare.
La musica, secondo Ellington, era quello strumento che doveva far allontanare i pregiudizi ed unificare le popolazioni. Solo ballando allo stesso ritmo e amando gli stessi pezzi si potevano fare passi avanti. Cosa si poteva fare di meglio se non ascoltare il suono della vita e della gente? Imparare dalla “terra” quello che la gente ascolta. Imparare ad ascoltare la vita. Nella storia della musica americana i baluardi imprescindibili e determinati di ogni suono ed evoluzione musicale sono Blues e Swing. Il blues è il suono della vita, della sofferenza e della passione. Il blues è quella parte di musica che ti prende e ti stende e non ti fa rialzare o che ti fa dire: Dove cazzo sono stato sino ad ora? Il blues governa le passioni, i suoni, le emozioni. Il blues parla. Il blues grida. Il blues ride e stride e frigna. Lo swing, invece, è l’amore. E’ ciò che unisce e prende corpo. E’ quella parte della musica che permette a due strumenti di stare insieme e di parlarsi, di ascoltarsi, di dire di se dichiarando il proprio blues. Si può descrivere lo swing prendendo ad esempio il sentimento che nasce tra due persone, ciò che c’è prima di ogni parola, di ogni gesto. Ecco… si può dire che il bacio, la parola, sia il blues e che il sentimento, ciò che spinge verso l’altro, che spinge a baciare a dire a cercare, sia lo swing. Lo swing è ciò che unisce portando con se le parole, i gesti, le storie. In quest’ottica, parlare del più prolifico tra i musicisti americani diventa semplice ed immediato. Elemento centrale della sua vita e fonte d’ispirazione assoluta è la straordinaria capacità seduttiva che Edward Kennedy aveva. Seduceva con eleganza e con passione e per un personaggio eternamente sul palcoscenico appare come antitetico rispetto al gioco di distanze che si crea tra personaggio pubblico e spettatore. Ellington, in realtà, seduceva ed amava tutti allo stesso modo ed era affascinato dalle manie insolite dell’animo umano. Se due membri della sua prodigiosa orchestra litigavano o non andavano d’accordo, assegnava loro gli assolo uno dietro l’altro, costringendo il primo alla chiamata del secondo ed osservando quel che succedeva. Era il potere dello swing. L’orchestra di Ellington era riconoscibilissima dalla forza dell’insieme e dalla straordinaria comunicativa di ogni strumento. Gli arrangiamenti, le composizioni, ogni singola nota era studiata in propensione della resa orchestrale consentendo, al tempo stesso, ad ogni strumento di essere valorizzato nelle sue funzioni. Nella musica afro americana dei primi tempi il contrabbasso e il piano svolgevano, sino a quel momento, funzioni ritmiche dando spazio solistico ai fiati ed alle voci. Ellington stravolse questo concetto organizzativo e assegnò ad ogni strumento un valore individualistico che accresceva il portato costruttivo orchestrale. Fu l’ingresso di Jimmy Balton (contrabbasso), nel 1939, a consentire questa rivoluzione concettuale e il contrabbasso venne aggiunto alla lista di strumenti in grado di esprimersi in parti solistiche vere e proprie. Sino a quel momento il double bass svolgeva il compito di motore dell’orchestra e controllore dei tempi della batteria. Ogni strumento è importante come parte dell’insieme e ogni strumento è importante per la capacità espressiva che può dare. Il blues e lo swing. Questo concetto consentì ad Ellington di mantenete unita la sua orchestra per oltre trent’anni, cosa non facile se si pensa alla litigiosità, all’individualità, all’esigenza di valorizzazione personale che muove l’animo di singoli individui, siano essi musicisti o meno, a cui furono contrapposti swing e seduttività carismatica del band leader. Se ci soffermiamo a riflettere su queste dinamiche individualistiche ciò che risalta è la difficoltà teorica e comprovata di gestire un’orchestra per tanti anni. Difficoltà consistente nell’elemento caos che ciascun istinto disgregativo porta in un insieme. Ellington aveva a che fare con gente come Paul Gonslaves che dormiva sul palco e poi si svegliava per sparare profondissime e bellissime parti di blues; Johnny Hodges che tra una ballad e l’altra chiedeva soldi strofinando indice e pollice; Ray Nance strafatto al punto tale da non riuscire a trovare il bocchino. Come gestire tutto ciò e mantenere unita la band? Duke usava la forma, l’insieme teorico, per accogliere il caos, l’elemento disgregante, e la sua orchestra era salva. Il jazz, divenne, con Ellington, “libertà di parola musicale” e la musica che aveva fatto ballare generazioni di americani bianchi (swing) iniziò ad intingersi di espressività e passione (blues). Ogni strumento aveva la sua parte orchestrale e la sua parte solistica. Tutti i musicisti divennero, così, protagonisti del suono che producevano. Il matrimonio tra blues e swing era sancito. La musica di Ellington non invecchia mai, anche oggi a distanza di 40 anni dalla sua morte, perchè non smise mai di arricchirla. Mentre molti compositori americani copiavano la musica europea credendo che quella fosse il futuro, Ellington americanizzava il suo repertorio e il suo suono inventando nuovi modi per fare jazz. “Noi abbiamo la nostra musica. Non ho bisogno di studiare Stravinskij o Scriabin o Schonberg perché diventi più raffinata. Mi basta uscire di casa e guardarmi attorno e fare quello meglio quello che faccio già.”.

Avrete notato che non ci sono titoli discografici. Non è una disattenzione ma un atto voluto. Ho cercato di raccontarvi l’uomo e il personaggio, inserendolo nel contesto della musica e cercando di descrivere quello che ha rappresentato ed ancor oggi rappresenta. La musica di Ellington, del resto, fa parte del patrimonio culturale di ciascuno di noi e se ne trovano le radici in ogni cosa ascoltiamo. Il concetto è semplice: Ellington ha modificato profondamente il jazz e la musica nera andando oltre i pregiudizi ed inserendo nella bellezza della musica la bellezza delle passioni. L’invito di chi vi scrive è quello di ascoltare Ellington (tutto quello che vi viene a portata di mano) e di fare digging nella vostra mente considerando cosa sarebbe stato della musica se DUKE non ci fosse mai stato.

Buona musica.

Vincenzo Altini




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