"Puoi ascoltare Billie e percepire la sua grandezza ed anche amarla, a qualunque eta'. Ma per capirla e' necessario che prima la vita ti abbia consumato un po'. Devi avere avuto i tuoi blues. Allora e soltanto comprenderai i suoi." (Eddy Cilìa)
Sebbene il titolo della sua più' famosa biografia "Lady sings the blues" lasci pensare che il suo repertorio sia stato ricco di blues e invece questi si contino a stento su una mano, mi sento di condividere in pieno questa affermazione perche' i 44 anni della vita di questa straordinaria donna son stati un lungo e interminabile blues. In ogni pezzo da lei cantato viene fuori l'immenso assurdo di una vita segnata da dolori e umiliazioni inimmaginabili ma che solo negli ultimi anni l'hanno inginocchiata e portata alla resa.
Nel 1927 aveva appena 10 anni quando raggiunse la madre a New York e cominciò a prostituirsi nei bordelli di Harlem. Un luogo in cui, certamente, una bambina non dovrebbe mai entrare. In cambio, la tenutaria del bordello le permetteva di ascoltare sul vecchio fonografo i dischi di Bessie Smith e Louis Armstrong. Quando la polizia scoprì il bordello lei venne arrestata e solo quando uscì, per evitare di tornare a prostituirsi, ad appena 15 anni, cercò lavoro come ballerina nei locali di Harlem. Immediatamente si accorsero che possedeva una voce che ammaliava. L'esperienza della reclusione, che più di una volta provò nella sua vita, ne segnò moltissimo il carattere e il temperamento al punto tale che non poté fare a meno di ricorrere all'uso di droghe e alcool nel tentativo, come sempre fallimentare, di alleviare il peso delle sue sofferenze. Ma lei stessa, in una delle dichiarazioni più intense implorò coloro che le stavano accanto di non far uso di droghe poiché era perfettamente cosciente, a dispetto della stragrande maggioranza degli artisti della storia del jazz e non, delle limitazioni infinite sulla qualità del suono, che l'uso di certe sostanze producesse.
Proprio per questo non stupisce che la sua voce, seppur non caratterizzata da una estensione ampia, a differenza di altre sue colleghe, quali Ella Fitzgerald e Sarah Vaughan, abbia lasciato un segno indelebile nei ricordi dei musicisti che hanno avuto il piacere di suonare con lei, di quelli a cui le si son ispirati e in tutti coloro che ascoltano la meravigliose interpretazioni che sembrano non avere tempo.
Il clarinettista e pianista Tony Scott, uno dei tanti musicisti che collaborò con lei e con cui ebbe una grande amicizia, vedendola irrigidirsi in un moto di stizza nei confronti delle abilita' vocali di Sarah Vaughan, le disse: "Quando Sarah canta My Man Is Gone si capisce che e' andato a comprare le sigarette, quando la canti tu, e' scontato che non tornerà' mai più". E questo aneddoto non fa altro che confermare il fatto che la Holiday possedesse una capacità straordinaria di "cantare" con l'anima in una maniera talmente istintiva da non lasciare gara neppure alla Vaughan che, pochi anni dopo, sarà' eletta Bop Singer d'eccellenza. In ogni caso le abilità tecniche del canto della Holiday sono rintracciabilissime con un ascolto attento e appaiono efficaci nell'arrivare a destinazione dell'ascoltatore, anche con orecchie meno "preparate". Lei stessa sosteneva di usare la voce come fosse uno strumento a fiato, come nelle improvvisazioni di Armstrong o Lester Young, e di lasciarsi andare alle emozioni pure che quelle note prodotte le davano. Nel suo cantare cambiava le note ogni volta per “appropriarsi a fondo” del pezzo e questo è il motivo per il quale i testi delle canzoni da lei cantate, come Fine and Mellow, come Body & Soul, o Angel Eyes, o God Bless the Child, assumevano la stessa forza evocativa delle note su cui ogni parola si poggiava.
Oltre ad un innato senso dello swing, le caratteristiche del canto e dell'enfasi che Billie riusciva a trasmettere derivavano proprio dalla consapevolezza delle pause che usava prima di alcune note. La pausa le consentiva una “sottolineatura” del testo e imprimendo maggior forza espressiva sul senso della frase. Stessa discorso utilizzato per i “ritardi” usati rispetto al tempo di battuta con cui cominciava le frasi o le improvvise variazioni di registro. Tutte modalità' da lei sapientemente usate che le permettevano di catturare l'attenzione quasi come si stesse sentendo un monologo teatrale. Perchè lei cantava si, ma "recitava" il brano. Motivo per cui il suo stile resta tutt'oggi ancora inimitabile.
Billie suonava spesso con Lester Young (per il quale coniò il nomignolo Prez, il presidente), che considerava il migliore tra i sassofonisti sulla scena jazzistica, raggiungendo un’affinità tale che spesso sembrava che l'uno sapesse esattamente cosa stesse pensando l'altro durante l'esecuzione. L’alchimia tra i due trasmetteva una limpida sensazione di fluidità ed empatia come se in entrambi continuasse il pensiero ed il sentire dell’altro. Ascoltate il brano She's Funny That Way in cui sax tenore e voce esprimono perfettamente l’alchimia, anche di profonda amicizia, tra Billie e Lester.
Sembra stupefacente che i due si siano spenti nello stesso anno, il 1959, a distanza di pochi mesi, ma non sorprende affatto il rammarico e il dolore che la Holiday provò nel non poter cantare al funerale del suo amatissimo amico, poiché ricoverata sotto stretta sorveglianza della narcotici in uno squallido ospedale di New York e trattata come una criminale qualunque.
Ecco la fine ingloriosa che si e' potuta destinare ad una donna di tal grandezza! Provo un moto di vergogna ogni volta che ci penso…
Nel '33 Era appena diciottenne quando incontro' uno dei suoi due pigmalioni, l'allora giovanissimo produttore Jhon Hammond il talent scout che successivamente scoprirà prima Aretha Franklin e, poi, Bob Dylan. Hammond la presentò al cognato Benny Goodman, col quale Billie incise un paio di brani che passarono per lo più' inosservati. Ma nonostante questo inizio un po' in sordina, dal ‘35 al ‘38, la Holiday conobbe il raffinato pianista Teddy Wilson e sempre guidata da Hammond, sotto l'etichetta della Columbia record, incise gran parte di quel suo repertorio swing che la fece conoscere al grande pubblico.
In quegli anni fece capolino in sala di registrazione con Count Basie - con quale incise più di 100 brani in meno di due anni - e col suo amico di sempre Lester Young. In seguito cantò nell'orchestra di Art Shaw.
Nella raccolta "The Quintessential Billie Holiday" che racchiude appunto la produzione dal ‘36 al ‘38 sotto l'etichetta Columbia record, si trovano brani di una grande leggerezza, di uno swing pulito e fluido come Me, Myself And I, In Your Down Blackyard o Miss Brown To You ed eleganti e sentimentali come A Fine Romance, o che ti strappano dalla sedia e t'inducono al ballo sfrenato come in He Ain't Got Rhytm, o la delicata Easy To Love e la meravigliosa e struggente God Bless the Child, uno dei pochi brani che lei stessa scrisse e che dedicò alla madre, seppur sempre assente nella sua vita.
God Bless the Child, insieme ad Angel Eyes, I'll Be Seeing You e You've Changed, è capace di catapultare in dimensioni parallele, in cui c'e' assenza di gravita, ma non di suono, in cui si lievita avvolti da sensazioni uniche che restano appiccicate addosso per ore.
Nonostante la solarità' che caratterizzo alcuni di questi sui brani, il peso intenso della sua condizione di donna di colore negli stati del Sud non tardò a manifestarsi. Nel ‘38 comincio a far uso di droghe pesanti e il suo umore risentì delle innumerevoli forme di razzismo perpetrate nei suoi confronti.
Benché fosse l'elemento di spicco delle orchestre dovette più' volte ricorrere ad espedienti per potersi fare "accettare". Nell'orchestra di Count Basie il suo colore della pelle era giudicato troppo chiaro e doveva colorarla con del cerone nero e, al contrario, in quella di bianchi di Art Shaw la sua pelle era fin troppo scura per poterle permettere l'accesso nei locali e negli alberghi dalle entrate principali. Si racconta che una volta in un albergo che ironia della sorte aveva il nome di Lincoln, le imposero di utilizzare il montacarichi di servizio per poter accedere ai piani superiori. Nonostante questo mantenne sempre una certa fierezza e rispetto per se stessa e le sue origini suscitando a tal punto invidie e gelosie. Fierezza che manifestò anche nel periodo di vita nei bordelli di harlem: le sue "colleghe" le diedero il soprannome di Lady Day, poiché si rifiutava di prendere la mancia dalle cosce dei clienti come facevano tutte.
In quegli anni, negli Stati Uniti, le cronache dell'epoca denunciavano, per il periodo tra il 1889 e il 1940, più di 3000 linciaggi, il cui 90% era a danno della popolazione afroamericana. Nonostante la fine dello schiavismo la Corte Suprema degli Stati Uniti, accettando la segregazione razziale, continuò a trattare la popolazione di colore come fosse di serie b, con l'apparente apertura del principio "separati ma uguali”.
Un' insegnante ebreo russo del Bronx, membro della sinistra americana, un tale Abel Meeropol, rimase talmente colpito da una foto dell'epoca che ritraeva una folla inferocita dinanzi a due corpi di negri appesi ad un albero negli stati del sud che decise di comporre la poesia BITTER FRUIT, il frutto amaro.
L'intento audace era quello di dar voce alla popolazione di colore e decise di affidare la parte musicale a qualcuno dei musicisti che conosceva. Tutti si rifiutarono e dovette egli stesso mettere in musica il brano dandogli il nome definitivo di Strange Fruit, lo strano frutto.
Nonostante le rivendicazioni che la Holiday fece spesso nei riguardi della genesi di questo immenso capolavoro, pare non ci siano dubbi sulla sua paternità. Ma non ve ne sono nemmeno sull'indiscutibile fatto che Strange Fruit, dal '39 in poi fu consacrato come il manifesto per eccellenza della lotta contro la segregazione proprio grazie alla uniche e irripetibili performances che la Holiday ne fece.
Fu tale la resa artistica e la densità' di dramma misto a pathos e rabbia e forza che venne fuori dalle interpretazioni della Holiday di questo brano che per oltre 50 anni rimase uno scoglio duro per molti musicisti, con cui raramente sceglievano di confrontarsi.
In una delle tante biografie a lei dedicate infatti qualcuno ha scritto che “Ascoltando molte delle varie cover della canzone, si ha l'impressione di ascoltare una bellissima versione di una bellissima canzone; ascoltando Billie, si ha l'impressione di stare esattamente ai piedi dell'albero".
Personalmente son solo due le cover che considero all'altezza di una ipotesi di paragone: quelle di Nina Simone e Cassandra Wilson. In ogni caso l'interpretazione della Holiday resta unica nel suo genere. Al punto tale che la rivista Time che nel 1940 aveva boicottato il brano come "propaganda in musica" 60 anni dopo lo ha eletto "canzone del XX secolo".
Per poter cantare questo brano era necessario un posto in cui le idee liberali e rivoluzionarie avessero spazio. L'unico posto che sul finire degli anni 30 concedeva l'accesso a neri e bianchi senza distinzione di sorta, cenacolo di intellettuali e papponi, studenti e appassionati di buona musica era il CAFE SOCIETY di New York. Fu lì che Lady D, alla fine del suo consueto repertorio, cantò per la prima volta Strange Fruit.
Qualcuno ha detto che l'atteggiamento che lei ebbe nel proporre questo brano fu quello di chi sta dicendo: "…fino ad ora vi ho intrattenuto, ora ascoltatemi!" catturando così l'attenzione assoluta delle platee.
Lei stessa disse una volta che "questa canzone aiuta a distinguere le persone a posto dagli idioti e dai cretini". Un'affermazione fortissima ma anche comprensibilissima.
Persino la Columbia record si rifiuto di incidere il brano e la Holiday dovette cercare qualche casa discografica disposta e credere nel progetto e così nacque la collaborazione con la Commodore Records, una piccola etichetta indipendente. Con la Commodore incise tra il 39 e il 42 ben 16 brani tra cui una meravigliosa versione di Fine and Mellow in cui canta il non-amore in maniera calda e straziante. Ne viene fuori un cofanetto complessivo col nome di "THE COMPLETE COMMODORE RECORDINGS".
Ben presto però, dopo l'eco fortissima avuta dagli spettacoli della Holiday, la Commodore risultò troppo piccola per stare al passo della sua ritrovata notorietà e così lo stesso produttore le creò il contatto con la Decca. Fu la prima volta che la Lady D ebbe l'opportunità di suonare accompagnata da un coro di archi e il risultato fu entusiasmante.
Quando approda alla Verve nel 1952 la sua voce era parzialmente compromessa dagli abusi di alcool e droga ma ancora si sentiva quella forza espressiva e quella capacità teatrale che, insieme alla maturità' e duttilità' raggiunta, la rendevano ancora unica. Sino a Lady in Satin, controversa registrazione che precede l'anno della sua morte, in cui si vede il tramonto inglorioso di una dea, la discesa agli inferi di una voce dilaniata dall'eco profondo che la chiama verso la fine.
Può darsi che le mie parole nel descrivere la vita e l'anima di questa DIVINA del jazz non abbiano stupito gli appassionati sfegatati e può' darsi anche che abbia solo ripetuto cose che si possono leggere ovunque nello sconfinato materiale cui tutti ormai abbiamo accesso guidati anche solo dalla semplice curiosità di conoscenza e approfondimento. E certamente i canali di musica permettono di accedere e vedere continuamente video delle sue meravigliose interpretazioni e ascoltare in religioso silenzio la magnificenza della bellezza delle sue incisioni.
Ma se posso, vi chiedo un piccolo momento di astrazione. Una piccola esperienza di immedesimazione. A me piace farlo.
Per un attimo, chiudete gli occhi e immaginate di essere in quel lontano 1939 al Cafe' Society di New York e di essere in attesa di vivere uno dei momenti più' importanti della storia della musica. Siete li seduti ai tavolini rotondi dall' aria bohémien. Il suono ovattato del tintinnio dei bicchieri, odore di rum e whisky e strani intrecci fumosi a disegnare arabesche nell'aria.
Ad un certo punto i camerieri smettono di servire ai tavoli, tutto si ferma, i musicisti non suonano più, nessun tappeto di fiati o battuta ritmica Solo una introduzione del pianoforte a creare suspense. Le luci si spengono e un solo faretto illumina il suo volto delicato e i suoi occhi di nocciola, le labbra rosso fuoco, i capelli raccolti in un elegantissimo chignon e l'immancabile gardenia bianca ad incorniciare cotanta purezza. Lei, Lady Day, bellissima e intensissima, con gli occhi chiusi come raccolta in preghiera.
Ed ecco, prendete fiato e lasciatevi condurre dal suono di queste note. Queste note che son parole e le parole son coltelli che affondano la loro lama nella parte più profonda dello stomaco, sentite come toccano corde mai pizzicate del vostro animo, e come scivolano nei meandri della vostra anima. Silenzio. Un silenzio assordante. E dopo,applauso. Un interminabile fragoroso applauso.
Ogni volta,tutto questo mi toglie il fiato per lunghissimi istanti,minuti, spesso ore.
Non mi resta che dire: Chapeau Miss Holiday, God bless you.
Maria Giovanna Cortellino
bellissimo...
RispondiEliminaBrava MJ.....bellissima emozione finale!
RispondiEliminaLuigi
Brava, non credevo che sapessi anche scrivere cosi' bene!
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