Durante un caldo pomeriggio estivo, lavorando al pc e in sottofondo una puntata di Radio Soleluna di Lorenzo Cherubini, ho scoperto la fantastica ritmica dell’Afrobeat e la storia dei suoi pionieri: una puntata dedicata a Fela Anikulapo Kuti, ovvero il musicista e soprattutto l’attivista politico e sociale della Kalakuta Republic, che aveva come obiettivo quello di lottare contro la repressione militare dei ricchi africani per preservare i diritti fondamentali della popolazione africana più povera. Al suo seguito si muove un vero e proprio esercito di musicisti, il cui comandante e inventore, colui che è riuscito a donare il giusto battito cardiaco a questa nuova ed originale ritmica, è il batterista Tony Oladipo Allen.
Nato in Lagos, Nigeria, nell’agosto del 1940, all’età di diciotto anni comincia a suonare la batteria da autodidatta, nel periodo in cui collabora come tecnico per una radio locale nigeriana, che trasmetteva per lo più musica jazz americana, ma anche i ritmi tradizionali Yoruba e il jazz africano denominato highlife.
Abbandonata la carriera universitaria in ingegneria, si lascia catturare dal fuoco sacro della musica, seguendo il richiamo del beat; ma a Lagos la vita del musicista privato non è delle più facili: Tony non può permettersi una sua batteria, strumento perlopiù reperibile nei grandi alberghi o nei club più rinomati, i quali mettono a disposizione la loro strumentazione privata ai musicisti.
È l’incontro con “Sir” Victor Olayia, uno col fiuto per i giovani talenti, che sprona il giovane Allen incentivandone le capacità, fino a farlo diventare batterista leader dei Cool Cats, un buon gruppo di highlife di Mensah, una sorta di pop-dance africana molto diffusa in Nigeria.
Proprio in questi anni sviluppa una crescente curiosità per la sperimentazione di nuove fusioni ritmiche, studiando la rivoluzionaria batteria di Guy Warren, il quale mixava il tribale ghaniano col bop di Dizzy Gillespie, Charlie Parker, Thelonious Monk e Max Roach.
In seguito allo scioglimento dei Cool Cats, Allen collabora con i Nigerian Messengers, i Melody Makers e gli Heatwaves.
Fela Kuti, deluso dallo scarso successo ottenuto dal Fela Ramsone Kuti Quintet, un jazz tra cool e be-bop troppo distante dall’highlife orecchiabile e ballabile molto in voga in Nigeria, decide di sciogliere il gruppo con l’intenzione di orientarsi verso un ibrido denominato highlife-jazz.
È il 1964 quando, al rientro da Londra, Fela Kuti incontra per la prima volta Tony Allen: l’obiettivo è quello di rifondare i Koola Lobitos, e una volta arrivato il turno di Allen durante i provini, non ci fu nessuna esitazione: il suo drumming non era paragonabile a nessun batterista nigeriano, da solo valeva una intera ensamble di percussionisti Yoruba, siamo agli esordi dell’Afrobeat!
Su questa ritmica Fela introduce tutti gli elementi che definiscono la sostanza compiuta di quel sound: chitarra ritmica e una seconda chitarra tenore assieme al basso, i fiati ripresi dall’highlife che, come nel funk, diventano parti fondamentali con riffs semplici, i talking drums ripresi dalle percussioni Yoruba. La lingua usata nei testi è il pidgin english, ovvero la lingua parlata nell’Africa anglofona, e i temi affrontati sono sempre più critici e pungenti in brani arrangiati come lunghe suite, cioè la condizione ideale per alternare strumentali e cantato corale.
La grande capacità musicale di Allen è quella di aver ridotto radicalmente il numero di elementi percussivi all’interno del nucleo orchestrale, ponendosi come regista ed elemento portante: i raddoppi tra gran cassa e rullante, i bombs ai tamburi bassi e molto jazz ai piatti caratterizzano il suo drumming; nelle orchestre Yoruba le percussioni arrivano anche a dieci elementi, mentre con la sua ritmica incalzante, basta l’accompagnamento di qualche congas, sticks e shekere.
Sotto la direzione artistica di Fela Kuti, il gruppo Africa ’70 produce svariati dischi di successo fra cui Roforofo Fight, Expensive Shit, Upside Down, in cui l’unico musicista svincolato da qualsiasi autorità è proprio Allen, in quanto, in fase compositiva, è proprio Fela ad adeguare il resto dell’orchestra al batterista ed alla sua ritmica.
Un periodo florido di produzioni musicali, ma di crescente malessere nei confronti dell’autoritario Fela Kuti, il quale si proponeva di utilizzare il denaro guadagnato dal gruppo per finanziare la lotta politica, anche sottopagando i musicisti. Questi dovevano anche sopportare la repressione governativa, che spesso si tramutava in veri e propri attacchi militari nella residenza di Fela, in uno dei quali la madre di Allen rimase gravemente ferita per poi morire poche settimane dopo.
Motivazioni abbastanza valide per decidere di intraprendere la carriera solista, nel 1978 Tony Allen e la maggior parte dei musicisti degli Africa ’70 lasciarono il gruppo.
Già nel 1975 sperimenta in Jealousy la possibilità di una carriera solista, poi con Progress nel 1977 e nel 1979 con No Accomodation for Lagos sancisce la definitiva strada da solista accompagnato da tutti quei musicisti degli Africa ’70 che, come lui, hanno come obiettivo la divulgazione di un messaggio sociale più pacato e pacifico.
Il disco No Discrimination segna il bivio, ma non una rottura totale, tra Fela Kuti e la nuova potente anima del padre dell’Afrobeat con il suo nuovo gruppo chiamato Afro Messengers.
Fino al 1984, anno in cui si trasferisce a Londra, sviluppa e perfeziona il suo personale stile in Lagos, e dopo la breve esperienza londinese si trasferisce a Parigi, città in cui trova nuove collaborazioni con King Sunny Ade, Ray Lema e Manu Dibango, dando vita, nel 1985, all’album N.E.P.A. (Nigerian Electric Public Agency) rinominato successivamente da Allen Never Expect Power Always.
Questo periodo post Fela è caratterizzato dalla ricerca di un nuovo suono ibrido, in cui decostruisce e fonde nuovamente la ritmica Afrobeat con quella elettronica, dub, R&B e ovviamente rap, per ottenere una sintesi denominata Afrofunk.
Dopo la morte di Fela nel 1997, Allen torna meritatamente alla ribalta dopo un periodo di assenza dalla scena discografica, è il momento in cui la forza pulsante dell’Afrobeat riprende a battere, a partire dal 1999 con il visionario album Black Voices e successivo remix, Afrobeat…No Go Die! del 2000, Homecooking uscito nel 2002 nel quale si possono avvertire tutte le perfette simbiosi di generi che compongono l’Afrofunk, e nel 2006 arriva il nostalgico album Lagos No Shaking, prodotto dalla etichetta Honest Jons di quel genio creativo di Damon Albarn che già col suo indie rock cantava “Tony Allen dancing / Tony Allen gets what a boy can do”.
Si susseguono altre collaborazioni: Sebastian Tellier (Air), la all-star band The Good, the Bad & the Queen fino ad incontrare la folle genialità del sassofonista tenore Jimi Tenor, con la loro session durata cinque giorni, danno vita al raffinato Ispiration Information.
È del 2009 l’ultima produzione di Tony Allen, disco prodotto dalla prestigiosa World Circuit Record, dal titolo che è in sé un messaggio diretto e preciso: Secret Agent.
Il suo Afrobeat ormai definito e colorato da note r’n’b contemporaneo e sintesi elettroniche, è il frutto di quell’evoluzione che rappresenta la più genuina evoluzione della scena naija underground e sperimentale che pulsa nelle comunità africane di Londra e Parigi.
Questo progetto coinvolge musicisti e ospiti di diversa provenienza, ma le parti vocali sono affidate ai cantanti nigeriani come Ayo, King Odudu, Switch, Kefeo Obareki, Wura Samba e lo stesso Allen nella title track d’apertura e nel brano finale Elewon Po.
A partire dal coro fino ai riffs dei vari strumenti si può dedurre come gli intrecci tra questi elementi creino una musica quasi anti melodica, che, anche se non orecchiabile, non stanca mai, perché è fusione, perché è in continuo divenire, ti sorprende il suo jazz che è anche rap e fusion, ma anche soul e anche il tradizionale naija. È la sua ritmica che ti cattura, ti mette in movimento le gambe senza sapere il perché, senza nemmeno aver mai ascoltato e apprezzato questa musica.
Personalmente ho avuto il piacere di assistere ad un suo concerto nel 2009 a Melbourne in una location cupa, ma che ben incorniciava le lunghissime e ipnotiche sequenze musicali; un’esperienza indiscutibilmente unica, fatta di vibrazioni ricche di storia ed intrise di un messaggio sempre vivo ed attuale: testi di differente intensità, alcuni di matrice tradizionale, altri a volte politici e altri apertamente esortativi alla danza, ma sempre con un esito di immensa consapevolezza espressiva.
Claudio Valerio
Bell'articolo..
RispondiEliminanon ho mai saputo nulla del background musicale di Tony Allen, eppure dopo averlo senito suonare (Disoanze 2008, storico..) l'ho continuato ad ascoltare indiscriminatamente.. Grazie per tutte le preziosissime informazioni, e adesso inizia il digging serio!
Grazie a te monkeyman, l'obiettivo del blog è proprio quello.
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Black Vibrations staff