10/10/10

SLY & THE FAMILY STONE


Quando Sly Stone e la sua “Family” salgono sul palco di Woodstock è già l'una passata della mattina di Domenica 17 Agosto 1969: il livello di energia è all'apice, le sostanze stupefacenti sono ormai in circolo nel sangue ed è ancora viva l'eco delle corde vocali della “perla” del blues, Janis Joplin.

Una veloce intro (Chip Monck / M'Lady) e poche note di “Sing A Simple Song” sono sufficienti per intraprendere un viaggio sul sentiero del funk, accompagnati dalla calda voce di un maestro che della musica ha fatto la propria missione. Il live della band è un crescendo di energia che si espande sulle note di “I Want To Take You Higher”, passando per “Dance To The Music”, adagiandosi infine sulla melodia di “Stand!”, degna conclusione di un'esibizione perfettamente inserita nel contesto della “Tre giorni di pace, amore e musica” che il festival rappresenta.

Sly & The Family Stone sono qui per portare al mondo il messaggio della black music, mescolando sapientemente soul, rock, funk, psichedelia, abbagliando con i loro colori sgargianti, giocando con suoni ricercati ma allo stesso tempo così primordiali, raggiungendo spazi sconosciuti della mente, creando uno stato alterato di coscienza unico. Il concetto di “famiglia” è perfetto per l'occasione: Sylvester Stewart aka Sly Stone (dal nome di un Dj californiano), capo famiglia carismatico e polistrumentista dotato, il fratello Eddie alla chitarra, Larry Graham al basso e, alla batteria, un musicista bianco (Gregg Errico); completano il quadro due donne, una alla tromba (Cynthia Robinson) ed una alla tastiera (Rose Stone), ed il sassofono di Jerry Martini. Tante personalità (altre si susseguiranno negli anni), un solo desiderio: scuotere l'animo di milioni di persone, colmandone il cuore di pure vibrazioni black.

L'avventura dell'istrionico cantante ha inizio nel Texas ma è nell'assolata San Francisco che trova il proprio habitat naturale: siamo sul finire degli anni '60, gli acidi la fanno da padrone, l'aria ha l'odore acre della sovversione, è il momento ideale per dare sfogo alla creatività e per far sentire la propria voce. Il sound collettivo che ribalta gli stilemi ritmici del soul più classico e la presenza di donne e uomini di colore su di uno stesso palco in uno stesso gruppo musicale sono il messaggio migliore da lanciare ad una società che ormai ha più poco da dire a propria difesa; se si aggiungono liriche dai testi sovversivi ed uno stretto legame con le Black Panthers, la miscela è esplosiva. Fu proprio questa scomoda amicizia di Sly Stone con gli esponenti del Black Power, intenti ad imporre il proprio pensiero in toto sulla carriera e la vita dell'artista, uno dei motivi di tensione tra lui e i membri della band, in aggiunta all'uso ed abuso di droghe che nel corso degli anni si fece sempre più pesante, gravando sulla produzione artistica del gruppo: dal 1969, per quasi due anni, pubblicarono un solo singolo “Thank You (Falettinme Be Mice Elf Agin)”, brano che segnò una svolta importante nel modo di porsi del cantante (ormai deciso ad “essere se stesso” a dispetto delle buone maniere), e nella tecnica musicale, essendo infatti il primo pezzo in cui venne utilizzata la tecnica dello “slap”, ideata dal bassista Graham (futuro leader dei Graham Central Station).

Ed è nel 1971 che vede la luce l'album capolavoro. Interamente scritto e arrangiato dal solo Sly Stone, “There's A Riot Goin' On”, a partire dalle strepitose “Luv'n'Haight”, “Family Affair” (uno dei primi brani per i quali si fa uso di una “drum machine”) per giungere, ansimanti, alle note della title track (e questo solo per citare il Side 1!) è uno sconvolgente mix di sonorità diverse che ora richiamano, come sirene, la lussuria nascosta nei più reconditi meandri del corpo e della mente, e ora creano proiezioni visive e sonore di lisergici universi.

La magia di Sly Stone e della sua famiglia rende percepibile un mondo possibile, dove il rock convive con il soul, la psichedelia va a braccetto con il funk e la musica tutta è lo strumento per abbattere le barriere. Parte integrante di una vera e propria rivoluzione in un'epoca in cui il sogno americano stava svanendo, Sly Stone, e chi in lui ha creduto, ha combattuto la violenza a colpi di musica, sfondando il muro del razzismo e dell'oppressione e, anche solo per questo, a lui, e a chi come lui ha vissuto e ha fatto della musica la propria arma, va un emozionato e sincero “Grazie”.

Astrid Majorana

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