Il suo vero nome è Jorge Mario Da Silva e come la maggior parte degli artisti brasiliani anche lui ha il suo nome d’arte: Seu Jorge.
Nato in una delle più grandi favela del mondo, Rio De Janeiro, e cresciuto nel Belford Roxo, uno degli innumerevoli sobborghi situati nella zona più povera di Rio, la Baixada Fluminense, realtà distante dall’apparente moderna facciata di grande metropoli occidentalizzata che siamo abituati ad immaginare come paradiso di spensieratezze.
La storia dell’infanzia di Seu Jorge, il primo di quattro fratelli, possiede tutti gli aspetti delle difficili condizioni sociali delle favelas brasiliane, in cui a farne le spese sono quasi sempre i bambini: costretto a vivere in strada tra lavoretti occasionali per riuscire a sbarcare il lunario, serate in cui si cimentava come musicista nelle “rodas de samba cariocas” e le frequenti, violente irruzioni della polizia, in una delle quali suo fratello perde la vita a soli 16 anni.
È il 1991 quando, al funerale del fratello, incontra Gabriel Moura, nipote del sassofonista e clarinettista brasiliano Paolo Moura, che decide di mettere in contatto Jorge con altri aspiranti musicisti con l’ambizione di formare una band.
Nei successivi tre anni perfeziona la sua tecnica studiando chitarra da autodidatta per poi essere finalmente assunto come attore e musicista dalla Tuerj, una troupe teatrale promossa dalla Universidade do Estado do Rio De Janeiro, compagnia viaggiante di teatro di strada grazie alla quale comincia ad esprimere il suo talento come musicista e attore.
Il suo esordio discografico arriva nel 1998 col disco Moro no Brasil, insieme al gruppo Farofa Carioca, di cui è cantante e compositore della maggior parte dei brani: un susseguirsi di ritmiche tipiche della tradizione classica brasiliana: dalla bossanova al samba sfrenato fatto di percussioni insistenti, ma anche tante influenze di musiche “nere” come il raggae, il jongo, il funk e addirittura il rap.
Ma in tutto ciò non c’è molto di originale: partendo dal fatto che l’intero Brasile è un misto genetico apparentemente infinito e confuso, ma che ogni sfumatura di colore di capelli o occhi ha la sua ben definita radice, si può capire come istintivamente, prima ancora che per una questione di cultura, questo popolo abbia innata in se una propensione naturale nel mescolare espressività artistiche differenti ottenendo misture e sfumature di generi spesso molto diversi tra loro, con risultati spesso abbastanza innovativi. E’ qui che Seu Jorge fa la differenza, proprio nell’aver saputo creare una miscela decisamente nuova, mantenendo ben salde le sue radici ed esprimendo così, attraverso i suoi testi a volte leggeri o spesso impregnati di esperienze di vita vissuta non del tutto felici, tutta la sua estrema eleganza e sensibilità poetica.
Questo suo grande estro lo spinge a lasciare il gruppo e ad intraprendere la carriera solista: nel 2001 arriva il suo primo disco “Samba esporte fino”, poi ripubblicato a livello internazionale con il nome “Carolina” dall’etichetta Regata Musica, nel quale si respirano melodie meno carnevalesche e più elaborate, con susseguirsi di ipnotici archi, percussioni e cori meno pungenti, un esempio su tutti il brano “Em Nagoya eu vi Eriko”.
Con questo disco, Seu Jorge conferma di ricoprire una posizione del tutto peculiare nel mondo della musica brasiliana, in cui il “malandro”, ovvero la poesia di strada della tradizione di quel paese, raccorda con semplice efficacia la componente africana e le influenze tradizionali del samba, sapientemente unite alle schegge di suoni che cadono dalle radio (come ricomporre pezzi di dub in Hagua) con una spontanea attitudine funk.
Per questo motivo il primo nome che viene alla mente ascoltando le dodici canzoni di questo disco è quello di Jorge Ben, con l’unica differenza che la vocalità appare più morbida, quasi levigata dalle tante avventure attraversate (alcune mica tanto piacevoli), mentre disegna i contorni delle parole con una malinconia piuttosto cruda e asciugata, sensazioni che spiccano nella title-track, ma anche nella dolcissima Madà.
Questo suo album solista vede la co-produzione di Mario Caldato, già produttore dei Beastie Boys e quindi personaggio particolarmente sensibile alle espressioni musicali di strada.
L’anno successivo interpreta (e chi meglio di lui) Manè Galinha nel film candidato a ben quattro premi Oscar, City of God, pellicola che racconta, mettendo in scena fatti realmente accaduti, la più drammatica delle piaghe sociali brasiliane, la vita delle bande di meninhos da rua, attivi nelle favelas fin dagli anni sessanta: ottima la qualità della regia come altrettanto sapiente è la colonna sonora, ovviamente a cura di Jorge.
Nel 2003 prende forma “Cru”, il disco più essenziale di questo artista, e secondo me anche il più intimo, nel quale si evince tutta la sua poetica brasiliana classica: è il momento della sua maturità.
In questo album ci sono pochi e mirati strumenti che fanno da cornice alle sue parole, scandite con la sua tonalità a tratti cupa e al tempo stesso rassicurante, su note dolci di sola chitarra, un po’ di basso e qualche percussione quasi impercettibile come in “Tive razao”.
Di rilievo è la sua apparizione, l’anno successivo, nel film “The life aquatic with Steve Zissou”, diretto dal fantasioso Wes Anderson, in cui si narrano le sventurate vicende di uno sfortunato capitan Zissou (interpretato da un divertentissimo Bill Murray) e del suo figlio ritrovato, in una ambientazione surreale che stupisce ad ogni scena. Seu Jorge interpreta un marinaio molto silenzioso, ma che al momento giusto sfodera la sua chitarra per riarrangiare i grandi classici di David Bowie; ne deriva la pubblicazione della colonna sonora nel romanticissimo album The life aquatic studio sessions, realizzata su specifiche richieste del regista, in cui Seu Jorge, traduce in portoghese e rielabora con il suo stile inconfondibile le hit dell’eclettico cantante americano.
Il film, prodotto a Hollywood ma girato in Italia e distribuito in tutto il mondo, è l’occasione perfetta per mostrare un volto nuovo, crearne un personaggio di successo e quindi illustrare la sua cultura: Pelè Dos Santos, col suo essere impacciato, responsabile dell’equipaggiamento della nave sulla quale si svolge questo “The life aquatic”, con la sua inseparabile chitarra, interpreta melodie già conosciute e apprezzate in ogni parte del mondo, ma la lingua, i temi espressi e cantati sono in Portoghese. Nulla è meglio di un pugno di canzoni per lanciare un messaggio al mondo intero: quello di mostrare un Brasile diverso, lontano dagli stereotipi negativi, ma sempre innamorato dell’amore, un Brasile che vive il presente afferrando il futuro con ottimismo.
Arriva il successo a livello internazionale ed arrivano anche le prime importanti collaborazioni: prima su tutte quella con la cantante Ana Carolina; il loro disco, registrato live a San Paolo il ferragosto del 2005, contiene varie cover che spaziano da Chico Buarque e Djavan in Tanta Saudade al cantante Irlandese Damien Rice con la bellissima “E’ isso aì”, che nella versione originale è “The blower’s daughter” tratta dal film Closer. Il connubio tra le caratteristiche vocali è qualcosa di eccezionale, sono solo in due sul palco, alternandosi e cambiando strumenti, creando ogni volta un vortice di sonorità così potenti da scuotere l’anima: le voci si muovono in maniera così perfettamente sincronizzata da sembrare un’unica sorgente sonora!
Nel 2007 arriva l’ultimo album intitolato America Brasil, al quale seguirà un DVD del live al Citibank Hall a Rio de Janeiro nel 2009.
L’album è un riuscitissimo e ordinato assemblaggio di strumenti e musicalità che fa l’occhiolino all’ormai dilagante genere del samba pop; quindi una rivisitazione dei classici ritmi in chiave moderna. Ma è nel live che si possono ritrovare le vere innovazioni artistiche di Jorge: una su tutte la coinvolgete Orquestra Imperial, che lo accompagna durante tutto il concerto.
Il palco è allestito come una vera e propria giungla, dove un numero indefinito di musicisti crea magistralmente quello spirito coinvolgente tipico del carnevale brasiliano.
La formazione di questa Big Band brasiliana risale al 2002, quando Seu Jorge, Berna Ceppas e Kassin mettono in piedi un progetto in cui l’obiettivo è quello di esibirsi in uno dei più antichi sambodromi di Rio de Janeiro; un progetto di enorme successo, con lo scopo di ricreare il tipico suono del Samba Gafiera, al quale prendono parte molti nomi famosi della scena del nuovo pop Carioca come Rodrigo Amarante, Moreno Veloso, il cantante e percussionista samba Wilson das Navas, Rodrigo Bartolo (il quale collabora con Arnaldo Artunes), il chitarrista di Caetano Veloso Pedro Sa.
A questo punto si può ben dedurre che Seu Jorge è un artista poliedrico a tutti gli effetti, che ricopre una posizione fondamentale all’interno del panorama musicale del suo paese, e che riesce sempre a sorprendere con innovative performances. Lui che a vent’anni ha impugnato una chitarra per riuscire ad incuriosire la gente, è ormai un artista maturo: con la sua tonalità vocale così cupa, e allo stesso tempo leggera e sinuosa su note inspiegabili, esprime quella ricercatezza musicale che solo il Brasile è capace di offrire.
In realtà non è un virtuoso, è semplicemente un comunicatore nella migliore tradizione brasiliana.
Effettivamente le sue musiche bizzarre incuriosiscono, ma la sua è poesia comunicativa, pregna di un messaggio che racconta la realtà che lo circonda, non certo come uno scatto da cartolina, bensì vista dagli occhi di uno che ce l’ha fatta, ma che mantiene salde le sue radici che, anche se dolorosamente, hanno segnato la sua sensibilità artistica.
Claudio Valerio
For anyone after some more information on the work Mario Caldato Jr. has done in Brazil have a look at one of our new articles over at Sounds and Colours. We look at all the Brazilian albums he's worked on, with views by the man himself. It's incredible how many great albums this guy has worked on! The article can be read here.
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